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LE TALPE AL GOVERNO

La “politica della talpa” fu un simpatico concetto espresso da  un professore universitario,  che  la sinistra cominciò ad applicare  circa un decennio fa, e che continua ancora oggi.

Un tattica comunicativa molto usata è associare l’avversario, o le sue opinioni, a qualcosa ritenuto sgradevole o negativo; in tal modo l’associazione sgradevole o negativa si trasferisce automaticamente, e quasi sempre irrazionalmente, sull’avversario. E’ una tattica denominare”gufi” coloro che non credono nell’ottimismo di facciata, sminuendo in tal modo le loro critiche, a prescindere se siano valide o meno. Come scrisse un politico famoso “le masse vogliono idee semplici, e hanno poca memoria!”.

I libri, invece,  hanno una memoria lunghissima, a volte millenni, per questo tutte le dittature vogliono controllarli.  I giornali corta.  Radio e televisione hanno una memoria più corta ancora. Il web ha memoria cortissima, e caotica. Anche se sul web è difficile cancellare qualcosa, ogni anno circa l’1% dei dati si perde per ragioni naturali, ma la mentalità del “solo oggi” è così diffusa che gli autori dimenticano comunemente di scrivere l’anno nella pagina. Così cercando qualcosa con un motore di ricerca, sempre più spesso non si riesce a scoprire “di quando” sia quella pagina, e diventa così impossibile sapere se la notizia è vecchia o nuova.

Un essere umano vive qualche decina di anni, ha una memoria di durata corrispondente, e accade che oggi  la memoria degli uomini sia ben superiore a quella dei media, con paradossi gustosi.

Sul “Corriere della Sera” del 10 agosto 2011 il Prof. Pietro Ichino fece l’elogio della talpa, paragonando a questo simpatico animale i politici che continuavano (e continuano, come possiamo vedere) a lavorare per rimuovere il “tabù” del posto fisso. Politici che hanno operato, dopo il “jobs act” di matrice Partito Democratico si può scrivere “con successo”, per eliminare la separazione tra lavoratori protetti e non protetti, spingendo i protetti verso una “non protezione” ancora più diffusa, e i “non protetti” verso una non – protezione ancora peggiore, che oggi è diventata disoccupazione e precariato.

Per ottenerlo le “talpe” ichiniane hanno dovuto scavare sotto sotto per rimuovere questo tabù, anche se (stranamente, ma le talpe sono cieche) lo hanno rimosso solo per altri: i professori universitari (tra cui si annoverava il Prof. Ichino) non sono mai oggetto di provvedimenti legislativi tesi a renderli meno inamovibili dai loro posti; e non solo i professori universitari.

Seguendo la denominazione   del Prof. Ichino (a cui riconosciamo ogni paternità dell’idea), si possono quindi serenamente appellare “talpe” i politici che hanno agito   secondo l’obiettivo designato dal prof. Ichino.

L’ex segretario del Partito Democratico, e Presidente del Consiglio dei Ministri italiano, Matteo Renzi, aveva  la simpatica  abitudine (secondo quanto letto sui giornali, cui afferisce la responsabilità di quanto riportano, perciò ipotizziamo che sia vero) di appellare “gufi” coloro che  avessero opinioni e obiettivi diversi dai suoi. Secondo le categorie del Prof. Ichino il toscano Renzi era  certamente un  esponente della categoria delle “talpe”.

La politica delle talpe opera da anni, e nel 2015 ha ottenuto i risultati voluti da Ichino anche a livello legislativo con il “jobs act” renziano, e poi ha continuato a lavorare. Le talpe sono però note anche per essere cieche, o almeno molto miopi. Chi è miope vede male, malissimo, da lontano. Le talpe scavano gallerie, fino a far crollare ciò che vi è sopra. Distruggono gli orti. I contadini, ovviamente gente sfaticata che gode tutta di un posto fisso, odiano le talpe e amano i gufi (che mangiano topi e altri parassiti, e vedono anche al buio, loro).  Vediamo, a titolo di esempio, le conseguenze della politica delle talpe ichiniane, su un giornale che è dichiaratamente pro-talpe.

Su “La Repubblica” del 3 agosto 2014 era riportato quanto segue:

Crisi, crollano i contratti a tempo indeterminato. In aumento i licenziamenti

Secondo uno studio della Uil, solo il 19,1% delle assunzioni dello scorso anno sono state non a tempo: nel 2008 erano il 27,3%. Un trend confermato anche dai primi tre mesi dell’anno. Nel 2013 le imprese hanno mandato a casa quasi un milione di persone, il 15,6% in più rispetto al 2009.

MILANO – Tra il 2008 e il 2013, la crisi ha bruciato oltre un milione di posti di lavoro oltre a una pesante eredità: i contratti di lavoro a tempo indeterminato sono crollati del 46,4% con un progressivo spostamento dell’offerta verso i contratti a tempo determinato, aumentati del 19,7%. E’ la qualità del lavoro, oltre che la quantità, dunque, a restare al palo in termini di stabilità e di continuità: l’incidenza delle nuove assunzioni con forme contrattuali “instabili” sale, dal 72,7% del 2008 allo’80,9% del 2013 mentre il peso di quello stabili, dal tempo indeterminato all’apprendistato, scende al 19,1 del 2013 rispetto al 27,3% del 2008. A scattare la fotografia di un mercato del lavoro schiacciato dalla recessione è uno studio del Servizio Politiche del Lavoro della Uil.

Una “fragilità” che non migliora nel primo trimestre 2014: 4 attivazioni su 5 sono temporanee e rimane altissima la quota dei contratti a termine, circa 1.583.808, che sfiorano il 67% sul totale. I nuovi contratti a tempo indeterminato, invece, si sono fermati a 418.396, il 17,6%, le colloborazioni allo’8% (189.922), mentre i rapporti di apprendistato sono stati 56.195 pari al 2,4% del totale.

Una crisi pesante che filtra in controluce dai dati relativi ai rapporti di lavoro attivati dalle imprese e comunicate al ministero del Lavoro dal 2008 al 2013 che forniscono un’analisi asettica ma impietosa della situazione occupazionale del Paese: se nel 2008, infatti, per 11 milioni di volte le aziende hanno  avviato al lavoro una persona, nel 2013 ciò è avvenuto solo in 9 milioni di occasioni.

A confermare il progressivo aumento della temporaneità del lavoro, “che rischierà di espandersi ulteriormente con l’ennesima innovazione normativa del Dl Poletti”, dice ancora la Uil, anche il dato che registra la media di contratti attivati per lo stesso lavoratore: si passa infatti da 1,64 attivazioni del 2009 a 1.78 del 2013. “In sostanza aumentano gli avviamenti a termine ma calano le persone interessate”, spiega il segretario confederale Guglielmo Loy.

E nel 2013 è il Lazio la regione in cui si concentra il maggior numero di attivazioni di contratti, circa 1,4 milioni, sorpassando così la Lombardia che ne denuncia 1,3 milioni al secondo posto, dunque, seguita dalla Puglia con 1 milione di attivazioni. Ma la classifica indica anche come la quantità di contratti sottoscritti non faccia rima con ‘stabilità’: Lazio e Puglia infatti, si legge ancora nel Report, sono anche le Regioni più flessibili considerato che ogni singolo lavoratore sottoscrive almeno 2 contratti ogni anno.

Lo scorso anno, inoltre, si sono chiusi 9,8 milioni di rapporti di lavoro con un saldo negativo rispetto alle attivazioni di oltre 157.000.  Un dato che conduce anche alla quantificazione dei primi effetti della legge Fornero sull’art.18: i licenziamenti nel 2013 ammontano infatti a 927.175, il 10% in meno di quanto registrato nel 2012, anno della riforma, che si chiuse con un 1.380.919 licenziamenti, ma comunque sempre il 15,6% in più di quanto registrato nel 2009.

“Alla faccia di chi sostiene che in Italia è difficile licenziare”, chiosa ancora Loy. Discesa vertiginosa invece, per le dimissioni che nel biennio 2012-2013 sono calate di 400mila. Un effetto, scrive il Report della Uil, dovuto principalmente al blocco sostanziale dei pensionamenti disposti dalla legge Fornero e da una stretta normativa sulle dimissioni in bianco.

In generale comunque, oltre la metà delle cessazioni di contratto ha riguardato i lavoratori under 44 e la cessazione del “termine” è stato il 65% dei motivi alla base della chiusura dei rapporti di lavoro. Circa 1/3 dei contratti cessati è comunque durato non più di 1 mese. Le Regioni con il più alto tasso di “fine lavoro” restano Lazio, Lombardia e Puglia a conferma della forte quota di lavoro fragile in queste realtà. “La bassa crescita continua a provocare danni profondi al nostro mercato del lavoro e che solo affrontando quel tema, appunto la crescita, si potrà guardare con un po’ di serenità il futuro occupazionale di milioni di persone”, conclude Loy.

Vogliamo ricordare, perché è indispensabile adesso che è passato qualche anno, specie se chi legge adesso ha meno di 20 anni, che ai contratti “a tempo indeterminato” si applicava, fino alla legge Renzi denominata “Jobs Act”, un insieme di tutele che trasformavano (in buona percentuale) un lavoro “a tempo indeterminato” in uno di quei “posti fissi” che le talpe ichiniane hanno attivamente operato per demolire riducendo di numero (questione di tempo: man mano che i neoassunti entrano e i vecchi escono. La stessa tecnica usata negli ultimi trenta anni per precarizzare il lavoro) i lavoratori “protetti”.

L’opera del Prof. Ichino sviluppa alcuni parallelismi con  quella del prof. Biagi, che con il suo “libro bianco” propose di creare una molteplicità di contratti per rendere più “flessibile” la prestazione dei lavoratori, in vista di una più facile stabilizzazione successiva. I nuovi tipi di contratti furono approvati dal Legislatore, la precarietà salì, la stabilizzazione non ci fu, e in Italia la quota di lavoratori “non protetti” è vertiginosamente salita. Riportando la tutela dei dipendenti  a quello che era quaranta anni fa.  Contratto a tempo indeterminato, alla lettera, significa  contratto la cui scadenza non è determinata, può essere anche dopo un giorno.

 Con lo “Statuto dei Lavoratori” del Prof. Giugni l’aggettivo “indeterminato” si trasformò in “scadenza non determinata, ma occorre un serissimo motivo per farlo scadere”, cioè in un contratto tutelato. Il Prof. Biagi gli scavò intorno la precarizzazione (ovviamente non da solo, le talpe furono numerose) offrendo in cambio teroricamente  più lavoro (che però non ci fu). Il Prof. Ichino ha continuato a scavare con la flexsecurity, e certamente la flex c’è, di security già non si parla più. Chi legge questo articolo oggi può verificarlo  nella realtà.

Potremmo dire che Biagi stava a Berlusconi come Ichino stava a Renzi? Sarebbe azzardato e complicato provarlo con certezza, non verificabile e quindi non lo si può affermare. Aspetteremo, e nel 2035 qualcuno valuterà.

Certamente dalla legge Renzi in poi , cioè per tutti i neoassunti dal 7 marzo 2015, lavoro “a tempo indeterminato” ha un significato ben diverso da quello precedente.

Per fare un paragone in stile “Il Vernacoliere” (che è un giornale che certamente Matteo Renzi, toscano, conosce almeno per averlo sentito citare dai suoi conterranei), il contratto “a tempi indeterminato” di oggi sta a quello di ieri esattamente come la verginità di una ragazza molto vivace che trova altre vie  per aggirare il problema sta  a quella che un  confessore intende.

Il confessore intende per “stato di verginità” non solo quella fisica scevra da ogni atto concreto, ma financo quella spirituale, cioè quello stato mentale in cui l’anima è scevra da ogni intenzione o malpensiero pertinenti alla sessualità. Alla domanda del monaco se avesse mantenuto la purezza dello stato di verginità  una ragazza (interpretando in senso restrittivo la domanda, cioè limitandola a rapporti vaginali) serenamente e sinceramente, rispose: “Assolutamente e totalmente.”. La valutazione della differenza tra le due interpretazioni la lasciamo ai lettori.

Sicuramente un gufo (che vede anche di notte) afferrerà subito la differenza tra le due concezioni. Le talpe no, sono note per essere cieche anche di giorno.  A rigore quindi sembrerebbe che il Prof. Ichino ritenesse allora necessario un agire politico tale da essere paragonabile a quello di  un governo di persone incapaci di vedere bene lontano, che vedono a fatica persino vicino, che preferiscano lavorare nell’oscurità, che scavando con il loro operare creano buche dove altri possono cadere…e così via. Succede quando si fanno dei paragoni semplici per esprimere idee complesse, ma a volte si ha il dovere di “non” essere semplici.

Ci sembra che oggi che i politici “talpa”, che scavano gallerie distruttive, che non sanno vedere lontano, siano cresciuti di numero. Ci sbagliamo? E’ possibile, lasciamo la valutazione al lettore.

Data:

30 Dicembre 2024

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