Alessandro Ceni, nel 1990, proponeva Nuove traduzioni di alcune poesie di Edgar Allan Poe. In quell’occasione affermava: “Nel nostro mondo, nella nostra epoca sono ancora molti coloro che temono l’anima romantica. Timore molto facilmente riconducibile all’astio che è nelle menti di quegli uomini i quali non vedono nella storia il canto tragico eppure ilare dell’uomo, bensì il procedere di una prassi di un pragmatico dettato. [ …] Questo preambolo per dire che in Edgar Allan Poe abbiamo una vittima illustre: pochi poeti al pari di lui hanno conosciuto un così lungo destino di fraintendimento critico, pochi al pari di lui hanno subito l’intenzionale soffocazione nel ciarpame pubblicistico, vanto della mediocrità dell’effetto, dello strano, del caso, della maniera e in reiterato silenzio sullo spessore del suo pensiero, lirico non teorico e quindi vulnerabile, indifendibile. Nevermore, mai più, mai più ora, è il sole della poesia di Edgar Allan Poe: su questa parola non si compiono soltanto le proprie significative varianti ma tutto il campo della teoria del Nostro.”
La nota di Ceni non si concludeva certo qui, ma non possiamo pubblicarla integralmente, sia per ragioni di spazio, sia per motivi legati alla riproduzione integrale, i cui diritti – a nostro avviso – devono sempre essere riservati quando si cita una rivista cartacea anziché un blog. Inoltre, a questo punto, sono necessarie alcune note biografiche, attinte da www.treccani.com.
Poeta, narratore e critico statunitense (Boston, Massachusetts, 1809 – Baltimora 1849). Rimasto orfano all’età di due anni di entrambi i genitori, attori di una compagnia itinerante, fu adottato da John Allan, mercante di tabacco di Richmond, Virginia, e da sua moglie Francis. Dopo un lungo soggiorno (1815-20) in Inghilterra e in Scozia, proseguì gli studî a Richmond, componendo le prime poesie d’ispirazione romantica, e frequentò per un anno (1826) l’Università della Virginia (fondata l’anno precedente, a Charlottesville, da Th. Jefferson). In seguito agli screzî col padre adottivo si recò a Boston, dove, arruolatosi nell’esercito, pubblicò la prima raccolta di poesie, Tamerlane and other poems (1827). Due anni dopo si trasferì a Baltimora, presso la zia paterna (madre di Virginia Clemm che P. sposerà, appena quattordicenne, nel 1836), pubblicando il lungo poema Al Aaraaf (1829), ed entrò nell’Accademia militare di West Point (1831), da cui venne espulso dopo pochi mesi per negligenza e insubordinazione. Rotti definitivamente i rapporti con J. Allan, pubblicò una seconda edizione delle sue poesie, cimentandosi intanto con i primi racconti, tra cui Metzengerstein (1832) e The manuscript found in a bottle (1833). Al 1835 risale il suo ingresso nel giornalismo, presso il Southern literary messenger, attività destinata a rimanere la sua maggiore fonte di sostentamento. Nel 1838 pubblicò il suo unico romanzo, The narrative of Arthur Gordon Pym, fantastica ricostruzione di un avventuroso viaggio al polo Sud, mentre apparivano su riviste alcuni dei suoi più famosi racconti, da Ligeia (1838) a The fall of the house of Usher (1839), raccolti poco dopo in Tales of the grotesque and arabesque (1840). Passato dal Gentlemen’s magazine al Graham’s magazine, accrebbe la sua fama di critico e scrittore grazie a penetranti saggi su autori quali Ch. Dickens, H. W. Longfellow, J. F. Cooper e N. Hawthorne, e a racconti di grande richiamo, tra cui The murders of the rue Morgue (1841), The masque of the red death e The pit and the pendulum (1842), e The purloined letter (1844). L’anno successivo la sua produzione si arricchì di una seconda raccolta di racconti, Tales by Edgar A. Poe, e del celeberrimo brano di poesia The raven, raccolto in The raven and other poems (1845), cui farà seguito il suo saggio critico più famoso, The philosophy of composition (1846). Il rapido deterioramento psicofisico di cui fu vittima dopo la morte della moglie (1847) non impedì a P. di trovare un rinnovato impegno in poesia (Ulalume, The bells, la seconda To Helen) e di completare Eureka (1848), summa del suo pensiero filosofico. Morì durante un giro di conferenze dedicate al suo ultimo elaborato teorico, The poetic of principle (1849). Costantemente in bilico tra un’intima predilezione per i canoni estetici del primo romanticismo e una convinta adesione al principio speculativo di derivazione razionalista, la scrittura di P., dalla narrativa alla poesia, dalla saggistica al giornalismo, si caratterizza come un corpus di grande originalità, segnato, da un lato, dal dinamico interagire tra esattezza dell’impianto e precisione del dettaglio realistico e, per l’altro, dalla proiezione fantastica e dalla fuga nelle pieghe del delirio e della follia. Al sostanziale isolamento che tale cifra determinò in un ambito culturale dominato, negli anni Trenta e Quaranta, dal movimento trascendentalista di R. W. Emerson, fece riscontro la progressiva popolarità che la figura di P. incontrò a partire dalla seconda metà dell’Ottocento in Europa, in larga parte grazie all’originaria mediazione di Baudelaire, e l’enorme favore goduto nel periodo simbolista e decadente. L’opera di P. è stata oggetto, nel corso del Novecento, di una vasta riscoperta che ne ha esaltato l’intrinseca modernità, riconoscendo nel virtuosismo che la connota l’espressione di una ricerca conoscitiva e artistica mai scontata né fine a sé stessa, capace di anticipare molteplici esiti e tendenze del dibattito letterario contemporaneo. Nel sito https://edgarallanpoe.it/bibliografia-opere-poe-in-italiano/ chi ha la bontà di seguirci potrà trovare l’elenco dei principali traduttori italiani di Poe (racconti, poesie, epistolario…). Una delle ultime pubblicazioni che vorremmo segnalare è Nevermore. Poesie di un Altrove, traduzione di Raffaela Fazio, Marco Saya Edizioni, Milano 2021. Tre poesie tradotte da Raffaela Fazio sono state pubblicate su www.nazioneindiana.it. Ne proponiamo una.