Risale all’ottobre 1989 un articolo firmato da Franco Buffoni intitolato appunto Poesia alla Libertà, sonetto da lui tradotto e che pubblicheremo, che così esordiva: “In due periodi della vita di Oscar Wilde è particolarmente concentrata la produzione poetica: nella fase giovanile con la pubblicazione dei poems nel 1881 e negli ultimi due anni dell’esistenza dell’artista successivi ai venti mesi di carcere duro trascorsi nella prigione di Reading. […]
Come scelta del genere letterario la poesia appartiene dunque alle due fasi più scopertamente ingenue o sincere o nude della vita di Wilde. Quasi a racchiudere idealmente al proprio interno quei tre lustri forsennati di talento dedicato all’arte e di genio dedicato alla vita. E grandi spazi di poesia sono tuttavia presenti in tutta la produzione wildiana e ancora più incidentalmente bisogna ricordare quanto peculiare il rapporto intrattenuto dall’artista coi generi letterari, riuscendo egli a fare del vaudedville con la tragedia, della tragedia con gli ingredienti più tipici della commedia […]”. Ora qualche breve nota biografica, che non possiamo omettere anche se ci piacerebbe continuare con l’analisi – sempre acuta – di Franco Buffoni. Scrittore irlandese (Dublino 1854 – Parigi 1900). Il suo nome intero era Oscar Fingal O’Flaherty Wills Wilde. Assimilatore di gran talento, esponente dell’estetismo e decadentismo inglesi, W. ha dato il meglio di sé nelle commedie, che si riconnettono alla tradizione gallicizzante della Restaurazione e i cui dialoghi sono fitti di battute e paradossi (tra queste The importance of being Earnest, 1895). Recatosi per gli studi a Oxford, subì l’influsso delle idee estetiche di J. Ruskin (di cui però non accettò la teoria d’una base morale dell’arte) e di W. Pater, imitando a un tempo il preziosismo dei parnassiani francesi, in particolare Th. Gautier. Faceva frequenti visite a Parigi, dove studiò anche pittura. Il suo poema Ravenna (1878) vinse il premio Newdigate; gli editori fecero a gara per stampare i suoi Poems (1881). Recatosi negli Stati Uniti a divulgare in conferenze le dottrine dell’estetismo, tornò in Europa nel 1882 e si stabilì a Parigi, sostituendo al suo atteggiamento da esteta l’imitazione delle affettazioni di Balzac. La sua brillante conversazione e il suo tratto umano e cortese ne fecero una figura popolare sia nei salotti sia nei bassifondi che si compiaceva di frequentare. A Parigi terminò due drammi romantici: Vera e The Duchess of Padua, e lavorò a varie riprese (1874-94) al poemetto The Sphinx, in cui è palese l’imitazione di Baudelaire. Tra il 1885 e il 1891 scrisse fiabe, raccolte nei volumi The happy prince and other tales (1888) e A house of pomegranates (1891); racconti tra gli altri, Lord Arthur Savile’s crime and other stories (1891), che contiene The portrait of Mr. W. H., favola intessuta sui Sonnets di Shakespeare; il romanzo The picture of Dorian Gray (pubbl. nel Lippincott’s Monthly Magazine del 1890 e in volume nel 1891, forse la sua opera più conosciuta nel mondo, NdA ); alcune poesie e gl’importanti saggi raccolti poi in Intentions (1891). A Parigi scrisse in francese per Sarah Bernhardt il dramma Salomé (tradotto poi in inglese da lord A. Douglas), in cui è sensibile l’influsso del teatro simbolista di M. Maeterlinck. Dal 1893 la vita privata di W. aveva cominciato ad alienargli i favori della buona società. Nel 1895 intentò causa per diffamazione contro il marchese di Queensberry, padre di lord Douglas; perdutala, fu condannato per omosessualità a due anni di lavori forzati. Frutto della prigionia furono il De profundis (pubbl. post., in parte nel 1905 e per intero non prima del 1949) e The ballad of Reading gaol, terminata durante un soggiorno a Napoli con Alfred Douglas e pubblicata nel 1898. Stabilitosi a Parigi, visse con l’aiuto di amici e sotto il nome di Sebastian Melmoth. Le sue lettere sono state pubblicate nel 1962. (Da www.treccani.it). I suoi aforismi sono ancor oggi molto citati, estrapolati dalle sue opere: viveva (e si compiaceva) dei suoi paradossi. Fu un paradosso anche il suo matrimonio (con prole), anche se l’inizio fu promettente; un tenore di vita dispendiosissimo e la frequentazione di numerosi amanti furono causa di ulteriori débacle finanziarie e della condanna cui alludono le nota sopra riportate. Tali e tante furono le vicissitudini di questo tenore che ci è impossibile riassumerle in un articolo. Ma chi ha la bontà di seguirci non avrà difficoltà ad approfondire. Numerosissimi i traduttori italiani di Oscar Wilde, data anche la vastità della sua opera: non possiamo citarli tutti. Vogliamo ricordare tuttavia Raffaello Piccoli e Massimo Venditti, nonché l’importante pubblicazione, su questo argomento, di Rita Severi (1998), L’anima dell’uomo: “attraverso lo studio delle prime edizioni delle opere di Wilde tradotte in italiano si cerca di ricostruire la sua ricezione e l’immagine del suo pubblico di lettori. Si tratta di un’indagine sociologico-letteraria che ha consentito di allestire una mostra delle prime edizioni italiane di Oscar Wilde a Palermo, Villa Whitaker 18-30 dicembre 1998, durante il Convegno Internazionale: Oscar Wilde, le arti, l’Italia. E’ il primo studio sulle traduzioni italiane delle opere di Oscar Wilde citato anche alla International Conference su Oscar Wilde a Oxford, nel 2008”. Siamo consapevoli delle omissioni commesse, ma al tempo stesso fiduciosi che non pochi fra i nostri lettori – con semplici, brevi ricerche – potranno facilmente colmare. Ecco intanto Poesia della Libertà tradotta dal notissimo Franco Buffoni, che non avrebbe bisogno di presentazioni. Dobbiamo tuttavia ricordarci che siamo in Italia.