Nell’ottobre del 1991 (n. 44) Patrizia Valduga ci presentava un nuovo lavoro: le poesie di Mallarmé (1842-1898), tradotte (appunto) da Patrizia Valduga, inaugureranno a novembre la nuova collezione “Mondadori – Poesia” riservata a classici italiani e stranieri dell’800 e del ‘900.
Il volume conterrà un saggio di Jacques Deridda centrato sull’intraducibilità del senso nella poesia di Mallarmé, una conversazione tra il filosofo francese e Maurizio Ferraris e un commento di Jean-Charles Vegliante sull’effetto traduzione.
Il libro, attualmente non disponibile negli stores (forse una ricerca più accurata potrebbe smentirci), viene così descritto: La poetessa italiana Patrizia Valduga traduce la poesia di Stéphane Mallarmé, respingendo ogni pretesa esplicativa e riproducendo il sistema di ambiguità lessicali, foniche e sintattiche dell’originale, nel rispetto della sua complessità metrico-linguistica. Il volume è introdotto da Jacques Derrida e contiene uno scritto di Paul Valéry. Altri traduttori di Mallarmé furono Ungaretti, Luzi, Frezza, Ortesta e, più recentemente Chetro De Carolis, il quale ha affermato su https://www.lindiceonline.com: Tradurre Mallarmé. Ho sempre ritenuto feconde le contraintes, ma tradurre Mallarmé… Sempre che la poesia possa essere tradotta. Eppure continuo a farlo, istintivamente, come se tradurre fosse il mio modo di penetrare l’opera nel più profondo, di assimilarla quasi cannibalescamente. Non starò a ripetere con parole troppo povere quanto sia unica la sua poesia, unica anche in quanto non univoca. Come renderne la polisemia? in una lingua come l’italiano, poi, priva del tessuto di omofonie del francese che spesso sono strumento dell’ambiguità mallarmeana? E come farlo, soprattutto, non storpiando la musica e i silenzi originali? Ho voluto tuttavia raccogliere la sfida, consapevole che questo mio “idumeo” travaglio poteva originare, nel migliore dei casi, un enfant non del tutto mostruoso. Innanzitutto mi sono data dei principi; aggrappandomici, malgrado avessero anche svantaggi. Ma erano miei, e per lo meno avrebbero distinto la mia versione dalle tante precedenti edizioni in italiano […]. Proponiamo ora alcune brevi note biografiche (tratte da www.treccani.it) che chiunque potrà approfondire dettagliatamente. Poeta francese (Parigi 1842 – Valvins, Fontainebleau, 1898). Fu uno dei massimi esponenti della poesia simbolista. Nei suoi versi cercò di raggiungere la “poesia pura”, mediante un linguaggio che, con ermetica oscurità, comunicasse al lettore attraverso la musicalità del ritmo e dei suoni e la suggestione delle immagini; la sua poesia, che con un linguaggio raffinato e involuto cerca di attingere al fondo misterioso della vita e ai suoi rapporti con il cosmo, è accompagnata da un senso costante di fallimento e di disperazione. Tra le opere: l’egloga L’Après-midi d’un faune (1876) e il poema Hérodiade (1864-67).
Studiò a Parigi e a Sens, con risultati ora brillanti, ora mediocri. Dal 1862 cominciò la sua collaborazione, con articoli e poesie, alle riviste letterarie. Nel 1863 fu nominato professore d’inglese al liceo di Tournon, e proseguì la sua modesta carriera nei licei di Besançon (1866), di Avignone (1867) e infine in quelli parigini (Fontanes, Janson-de-Sailly, Rollin), dal 1871 al 1894. Nel 1894 chiese il collocamento a riposo e si ritirò con la famiglia a Valvins, in una casetta sulle rive della Senna, dove poté proseguire il suo ostinato lavoro di poeta tormentato, assorto in una meditazione d’arte che avrebbe esercitato una grande influenza sulle nuove generazioni letterarie.
Consigliamo a chi ci segue di proseguire la lettura (sul sito Treccani o su altri) almeno per consultare l’opera omnia, così da non riprodurla integralmente: siamo dinanzi a un mostro sacro del simbolismo francese e qualsiasi ricerca oggi è facilitata dalla tecnologia. Usiamola, quando serve.
Intanto pubblichiamo Angoisse, un sonetto di Mallarmé tradotto da Patrizia Valduga.