Riepilogare l’odissea che ha sta avendo luogo in Kazakhstan è un’impresa di difficoltà non indifferente. In queste sedi il rischio di tralasciare dettagli che possono essere decisivi ai fini di una narrazione concisa ma esauriente è relativamente alto. Ma ci si può comunque provare. La svolta decisiva inizia due settimane fa, quando su Karim Masimov comincia a pendere pericolosa un’accusa di alto tradimento: l’ex primo ministro avrebbe addestrato i rivoltosi, passati alla storia kazaka come veri e propri terroristi. A renderlo noto è l’intelligence del paese, che non ha esitato a sollevare dal suo incarico il proprio capo, Masimov stesso. L’ex premier, quindi, viene arrestato. Secondo il KNB, il comitato nazionale di sicurezza, si tratta della prima azione di questo tipo contro un alto funzionario del governo. Contestualmente Vladimir Putin ha disquisito a lungo col suo omologo Kassym-Jomart Tokayev, con il preciso scopo di sedare completamente le rivolte e riportare la pace nell’ex repubblica sovietica. “I presidenti si sono scambiati opinioni sulle misure adottate per ristabilire l’ordine in Kazakhstan” si leggeva in una nota ufficiale del Cremlino.
Una settimana dopo si scrive quello che, ad ora, è il penultimo atto della vicenda. Ad Almaty la polizia continua con gli arresti, mentre dalla Russia arrivano i tanto agognati aiuti, nell’ambito del CSTO, il trattato per la sicurezza collettiva. Alla missione per riportare la tranquillità partecipano anche Armenia, Bielorussia, Kyrgyzstan e Tagikistan. “Riteniamo che i recenti eventi in un Paese amico siano un tentativo ispirato dall’estero di usare gruppi di persone armate ed addestrate per minare la sicurezza e l’integrità dello Stato – è il commento di Maria Zakharova, portavoce del mistero degli Esteri – la Russia è interessata a ripristinare lo status quo in Kazakhstan e aiuterà le autorità a fermare la violenza”. Arriviamo quindi all’atto finale, risalente a ieri, sette giorni l’arrivo della cavalleria in terra kazaka.
Le ultime truppe russe inviate, secondo la richiesta avanzata dal presidente Tokayev, hanno lasciato il Paese centroasiatico. Questo è quanto riferito dall’agenzia russa TASS. Il contingente era al comando del generale Andrej Serdyukov, che quindi segue gli ordini del presidente Putin e dichiara la fine delle ostilità. Alla fine, dunque, da delle proteste che si sono velocemente trasformate in una guerra, lo schieramento vincitore è quello del CSTO. L’alleanza di ex repubbliche sovietiche, comandate dalla “grande madre patria” Russia, ha avuto la meglio. In attesa di ulteriori sviluppi, che si auspica siano solo uno strascico innocuo di tutto quello che è avvenuto in quelle zone, il Kazakhstan può tornare a respirare e a saggiare un po’ di pace. In un periodo di grandi sconvolgimenti mondiali, un alleato in più contro i cambiamenti negativi che stanno rivoluzionando le vite di tutti può essere prezioso.