Festa della Donna trascorsa, posso ricordare – senza tema di aver mancato di riguardo verso tutto il genere femminile – che, nella stessa data, celebra il suo compleanno uno dei più grandi cantautori della scena musicale italiana: Antonello Venditti.
Considerato fra i più popolari e prolifici cantautori della cosiddetta “scuola romana” è stato – ed è – uno dei più amati e seguiti musicisti, capace di parlare ad intere generazioni, coagulando a sé storie, emozioni, sentimenti, paure, entusiasmi. Ha saputo cantare l’amore a 360°, l’amicizia, la scuola, le esperienze di vita, l’impegno sociale, i dubbi e le certezze degli animi, facendo in modo che ognuno si riconoscesse in qualche “pezzo” delle sue canzoni.
Dal 1972, anno del suo debutto discografico, è stato capace di vendere quasi quaranta milioni di copie di dischi!

Venditti nasce a Roma l’8 Marzo del 1949 nell’elegante quartiere Trieste. È figlio unico di una coppia appartenente alla media borghesia: il padre è un semplice funzionario statale che poi diventerà viceprefetto di Roma. La mamma è professoressa di latino e greco. Inizia a studiare musica molto presto, fin dalle scuole elementari. Da ragazzo soffre di obesità e comunque trova la sua espressione profonda attraverso la composizione delle prime canzoni. Prima fra tutte “Sora Rosa” dedicata alla madre, poi “Lontana è Milano” e poi ancora “Roma Capoccia”. Frequenta il liceo “Giulio Cesare” al quale resterà molto legato e a cui dedicherà proprio la canzone “Giulio Cesare”.
Si iscrive a Giurisprudenza, si laurea, e continua gli studi in filosofia del diritto, laureandosi anche in questa facoltà. Ritirerà la laurea solo al compimento dei suoi cinquanta anni, durante una lezione concerto tenutasi nell’Aula Magna della Sapienza di Roma (1999).

Alla fine degli anni sessanta, si presenta la prima occasione di debuttare davanti al pubblico. Lo fa nel prestigioso locale romano “Folk Studio” in cui militano nomi del calibro di Franceso De Gregori, Giorgio Lo Cascio, Ernesto Bassignano. In questo locale colpisce, a parte la voce speciale e personalissima, il suo innovativo modo di accompagnarsi al pianoforte: l’impostazione più ritmica che melodica, una nota grave (bordone) eseguita con la mano sinistra e che viene ripetuta all’ottava, più la terza o la quinta dell’accordo. La mano destra suona l’accordo ad un risvolto particolare (terza, quinta e ottava) senza la tonica. Questo conferiva al tutto una grande estensione di suono (che rendeva mirabilmente le potenzialità del pianoforte) e una avvolgente completezza armonica.
Dal Folk Studio in poi inizia la grande carriera di Venditti, il duo costituito con Francesco de Gregori, i concerti in giro per l’Europa, poi nel mondo, la notevole discografia, il suo amore per Roma di cui si definisce “il sovrintendente” e a cui ha dedicato tutta la sua vita artistica. “Io sono Roma, ho tutte le contraddizioni di questa città” ha affermato spesso.
Attualmente Antonello Venditti vive a Trastevere ed è molto legato al Monte Argentario, dove ha una residenza e dove sono nati capolavori come “Ricordati di me”, “Amici mai” e “Alta marea”, la versione italiana “Don’t Dream It’s Over” dei Crowded House.
Grande tifoso della Roma, ha scritto per essa “Grazie Roma” ed il suo Inno ufficiale “Roma, Roma”. La prima canzone fu composta nel 1983 in occasione della conquista dello scudetto e memorabilmente eseguita al Circo Massimo. “Grazie Roma” è poi divenuta la canzone di chiusura di ogni incontro “in casa”. Durante l’ultimo Festival di Sanremo, gli è stato conferito il Premio alla carriera. In quella sede, Venditti ha pubblicizzato il suo nuovo tour “Notte prima degli esami” che lo vedrà da Giugno a fine anno in giro per la Penisola, da nord a sud.
Termino con una mia considerazione di carattere amaro: per il futuro della nostra musica non abbiamo, purtroppo, eredi di tale livello artistico, culturale, musicale, creativo. Cito, a tal proposito, le parole del grande Enrico Ruggeri:
“A scandalizzarmi è la povertà del lessico, la miseria espressiva di chi scrive canzoni conoscendo un vocabolario fatto di 200 parole. Io alla loro età conoscevo tutti i poeti maledetti. Loro no, e si vede. Non puoi scrivere canzoni se non conosci la lingua nella quale ti vuoi esprimere. Tutto qui. Anch’io scrivevo pezzi arrabbiati, ingenui, però leggevo libri di grandi scrittori che raccontavano un mondo simile a quello che volevo raccontare. Questi non hanno letto neppure il bugiardino dell’Aspirina”.
Null’altro da aggiungere.
(foto interna copertina – frame video Rai)