La morte, nella sua assolutezza, non è che una circostanza nella catena del divenire: “La morte azzurra, la morte verde, la morte rossa, la morte lilla, nelle visioni della nascita”. L’esistenza della morte non è apparenza: “la morte sempre a portata di mano, ascolto senza dire”, le radici cosmiche del tragico, distruggono l’individualità:
Dalla fusione tra nascita e morte, nella colpevole innocenza del nascere, a cui corrisponde l’innocente colpa, emerge il linguaggio, in quella prossimità tra pensiero e poesia, che, nella precarietà di ogni figurazione, indica, da un lato, la condizione di instabilità del linguaggio – nella sua natura primordiale ed elementare, il dolore è innocente, un dolore che si nasconde nel linguaggio come paura, come terrore: “Mi nascondo nel linguaggio, perché ho paura” – e, dall’altro, esprime l’inevitabile destino della ragione danneggiata:
C’è talvolta, nella sofferenza, una conoscenza della sofferenza che, nella consapevolezza immediata della sofferenza, esprime la lucidità della catastrofe e la necessità di dover soffrire, in un dolore che evoca parole e silenzio:
Nello spazio agonizzante della notte, Alejandra lancia il suo urlo, prologo e passaggio allo stesso tempo verso il silenzio e la morte:
Così Alejandra, prigioniera dell’urlo, lo paragona alla notte, all’ombra della morte: “So urlare fino all’alba, quando la morte riposa nuda nella mia ombra”, così l’urlo, come suprema vertigine, irrompe in tutta la sua potenza, quando la parola è spinta al limite, quando il tremendo esplode, assediato dalla potenza della distruzione, quando la poesia, concepita come luogo di restaurazione dell’assoluto, si contamina sempre più di morte: “Il corpo poetico, quello ereditato, quello non filtrato dal sole del mattino, un grido, una chiamata, un bagliore, un’ invocazione. Sì. voglio vedere il fondo del fiume, voglio vedere se si apre, se irrompe e fiorisce qui al lato, e verrà e non verrà, ma sento che si sta dimenando, e forse è proprio la morte.”
Il grido diventa la categoria di una dimensione tragica che ne è l’essenza, testimonianza di un’azione liturgica, di un sacrificio espiatorio, in compensazione del male del mondo. La vita di Alejandra è così immersa nel mistero dell’esistenza e, mentre precipita verso l’abisso e il silenzio della morte, ciò che rimane è il silenzio della parola: “Qualcuno entra nel silenzio e mi abbandona. Adesso la solitudine non è più sola”.
Nel cerchio di felicità e crudeltà che è la vita, la bellezza che in essa si trova, è forza e forma, ma anche saggezza e memoria, in un’introspezione costante e avvolgente, nella magica seduzione del silenzio “al nero sole del silenzio“, in cui le parole sono d’oro, in un dire che è anelito al silenzio perfetto, in un silenzio che pesa come lingotti d’oro, in una morte che è una parola tentata dal silenzio.
Il silenzio è la condizione necessaria perché la metamorfosi delle parole sia possibile, perché la parola diventi espressione: “così le sirene – scrive Kafka nelle “Parabole” – hanno un’arma ancora più fatale del loro stesso canto, il silenzio”. E Kafka aggiunge: “Eppure, se è possibile che qualcuno sfugga al canto delle sirene, non potrà uscire dal proprio silenzio, dal silenzio racchiuso nel proprio canto, dal silenzio racchiuso nelle cose”.
Chiarezza e oscurità, risonanza e silenzio entrano nell’immagine poetica, che suggerisce un abitare non solo estetico, ma anche etico, e il momento della sofferenza che conduce all’innocenza, presuppone una morte su cui si vince, ma dalla quale si è allo stesso tempo, sconfitti.
Il tratto disumano dell’urlo di Alejandra indica la disintegrazione che nasce dalla sofferenza. In questo transito, lei – contraddizione nel cuore del mondo – catturata dalle sue voci e dai suoi fantasmi, arriva inavvertitamente a quel luogo dove “la volontà dell’uomo e la legge che un dio, a un certo momento, gli impone” si fondono. (Eschilo) Nel movimentato cammino della vita di Alejandra, un’imperscrutabile saggezza tragica disegnò la superficie della sua anima, dilatando all’infinito l’orizzonte della sua sofferenza, proiettandola nella dimensione dell’enigma e del mistero.
Quanto, nella sua tormentata ragione, è stato affidato al gioco delle circostanze e degli eventi casuali, e quanto Alejandra abbia voluto, provocato, abbracciato il proprio destino, non ci sarà mai rivelato. Nella ferita sempre aperta dell’esistenza, il dolore cerca un significato: delimitando l’orizzonte di senso della sofferenza, l’incommensurabile dolcezza della parola poetica si rivela allo stesso tempo all’interno del linguaggio e nei suoi lati più prossimi.
Il vuoto mai chiarito che Alejandra – creatura definitivamente perduta – ha lasciato, nel tragico evento della sua morte, non elimina l’orizzonte cosmico – sempre aperto – dell’universo del dolore. Nello spazio liberato dalla sua assenza, ciascuno di noi può – e deve – definire i propri orizzonti di senso e consumare, come ha fatto eroicamente Alejandra, la propria agonia quotidiana.
Andare all’incontro di Alejandra Pizarnik ci ha costretto ad abbassare la luce, ad aprirci alle sue parole, senza cercare di catturarle o renderle trasparenti. Andarle incontro implicava garantire quella distanza, rispettare il carattere discreto e sacro della parola poetica, che illumina le parole senza tentare di spiegarle. Andare all’incontro di Alessandra implica un’apertura dell’orizzonte, che nasconde un’inevitabile attenuazione della luce.
È dall’assenza che è avvenuta tutta la nostra meditazione, circoscrivendo la nostra richiesta di verità, aderendo al messaggio che Alejandra ha scelto di darci. Sul letto di morte i suoi ultimi versi: “non voglio andare / nulla più / che fino al fondo”. Pensiamo che una vita e una morte debbano essere trovate non in piena luce, ma rispettando le ombre e la necessità di occultamento di ciascuno.
Alejandra Pizarnik (Avellaneda, 29 aprile 1936 – Buenos Aires, 25 settembre 1972)
Figlia di immigrati ebrei russi – il cognome originario era Požarnik che fu traslitterato all’arrivo in Argentina in Pizarnik -, che si stabilirono ad Avellaneda.
Nel 1954 entrò nella facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Buenos Aires. I suoi primi maestri furono esponenti del surrealismo, sebbene tra le sue letture e i suoi primi scritti figuri una fascinazione notevole per l’esistenzialismo e la psicoanalisi. Legge con fervore Sartre, Faulkner, Joyce ma anche Mallarmé, Artaud, Kierkegaard, incontrando in loro non solo temi e ispirazione ma anche “tracce della sua stessa identità”, innovando la sua poetica e unendovi l’esplorazione dell’inconscio e della soggettività.
Dal 1960 al 1964 lavorò a Parigi per la rivista Cuadernos, ma collaborò anche con Sur e Nouvelle Revue Française . Parigi fu per lei un rifugio letterario ed emotivo, ebbe modo di conoscere Georges Bataille, Italo Calvino, Roger Caillois e Simone de Beauvoir, strinse poi amicizia con Julio Cortázar, Ivonne Bordelois e il poeta messicano Octavio Paz, che scrisse il prologo ad Árbol de Diana (1962), la sua quarta raccolta di poesie. Nel 1962 conobbe la poetessa italiana Cristina Campo, per cui provò una profonda attrazione e con cui scambiò per alcuni anni poesie e lettere. A Cristina Campo Alejandra Pizarnik dedicò la poesia Anelli di cenere.
Tornata a Buenos Aires scrisse alcuni dei lavori più conosciuti ed apprezzati, come I lavori e le notti, Estrazione della pietra della pazzia e L’inferno musicale. Nel 1967 il padre morì di infarto; questo avvenimento viene descritto nei suoi diari come una “Morte interminabile, oblio del linguaggio e perdita di immagini. Come mi piacerebbe stare lontano dalla follia e la morte (…) La morte di mio padre rese la mia morte più reale” e segna l’inizio di un progressivo incupimento dei suoi scritti. In alcune lettere successive dichiara apertamente di provare una fatica nel riuscire a dire per davvero ciò che vorrebbe dire, di percepire una “abissale distanza tra desiderio e atto”.
Compie un ritorno in Francia cercando un approdo verso ciò che credeva rimasto del suo precedente periodo parigino. Disillusa fa ritorno in Argentina, iniziando un processo di chiusura e disgregazione che culminerà in due tentativi di suicidio e un internamento in una clinica psichiatrica. Muore a 36 anni, il 25 settembre 1972, dopo aver ingerito cinquanta pastiglie di seconal, mentre era in permesso dalla clinica.
Dopo la sua morte, lo scrittore argentino Julio Cortázar le dedicò la poesia Aquí Alejandra. È sepolta nel cimitero ebreo di La Tablada. È una delle poetesse più importanti del XX secolo.
FINE
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Note
A.Pizarnik, “Salvacion”, en, “La ultima inocencia y las aventuras perdidas”, p. 11
Alejandra Pizarnik, “La palabra que sana”, en, “El infierno musical”, p. 43
Martin Heidegger, Sentieri interrotti, La Nuova Italia, Firenze, 1968
Rainer Maria Rilke, “Sobre Dios”, en, Historias del buen Dios, Montesinos, 2001
Alejandra Pizarnik, “Cold in Hand Blues”, en “Infierno musical, p.11
Alejandra Pizarnik, “La danza inmóvil”, en, “La ultima inocencia y las aventuras perdidas”, p. 35
Alejandra Pizarnik, “Los de lo oculto”, en, El infierno musical, p. 45
Alejandra Pizarnik, “El ausente”, en, “La última inocencia…”, p. 57
Alejandra Pizarnik, “Muchos más allá”, en, “La última inocencia…, p. 55
Alejandra Pizarnik, “Endechas”, en, El infierno musical, p. 53
Alejandra Pizarnik, “El despertar”, en, La ultima inocencia…”, p.52
Alejandra Pizarnik, “Ojos primitivos”, en, “El infierno musical”, p. 19
Alejandra Pizarnik, “Caminos del espejo”, en, “Extracción de la piedra de locura”, p. 41
Alejandra Pizarnik, “Origen”, en, “La ultima inocencia…”, p.47
Alejandra Pizarnik, “El despertar”, en, La ultimas inocencia…”, p.52
Alejandra Pizarnik, “Los poseídos entre lilas”, III, en, “El infierno musical”, p. 73
Alejandra Pizarnik, “Noche compartida en el recuerdo de una
huida”, en, “Extracción de la piedra de locura”, p.66
Alejandra Pizarnik, “Caminos del espejo”, XI, en, “Extracción
de la piedra de locura”, p. 43
Alejandra Pizarnik, “El sueño de la muerte o el lugar de los cuerpos
poéticos”, en, “Extracción de la piedra de locura”, p. 63
Alejandra Pïzarnik, “Los trabajos y las noches”, p. 42
Alejandra Pïzarnik, Los trabajos y las noches”, p. 46
Alejandra Pizarnik, “El poeta y su poema”, en, “Antología
consultada de la joven poesía argentina”, p.60
Alejandra Pizarnik, “Caminos del espejo”, XVII, en, “Extracción
de la piedra de locura”, p. 45
Alejandra Pizarnik, “El poeta y su poema”, en, “Antología
consultada de la joven poesía argentina”, p.60
Alejandra Pizarnik, “La haula”, en, “La ultima inocencia…”, p.33
Alejandra Pizarnik, “El sueño de la muerte o el lugar de los cuerpos poéticos”, en, “Extracción de la piedra de locura”, p. 61-62
Alejandra Pïzarnik, Los trabajos y las noches”, p. 17
Alejandra Pizarnik, “Obras completas”, Corregidor, Buenos Aires, 1990, p. 214
Alejandra Pizarnik, “El sueño de la muerte o el lugar de los cuerpos poéticos”, en, “Extracción de la piedra de locura”, p. 62
Annotazione: La traduzione delle poesie di Alejandra Pizarnik sono dell’autrice in forma quasi letterale. Per una lettura diretta, rimando alla versione originale, di cui alle note.
Bibliografia
Alejandra Pizarnik, “La ultima inocencia y las aventuras perdidas”, Botella al mar, Buenos Aires, 1976
A.Pizarnik, “El infierno musical”, Siglo XXI Editores, Buenos Aires 1971
Martin Heidegger, Sentieri interrotti, presentazione e traduzione di Pietro Chiodi, La Nuova Italia, Firenze 1968
Rainer Maria Rilke, “Historias del buen Dios, Montesinos, 2001
Gabriella Bianco, NEST. La metafísica de la ausencia, Corregidor, Buenos Aires, 1992
Gabriella Bianco, En el camino de la palabra, Torres Agüero Editor, Buenos Aires, 1994
Alejandra Pizarnik,“Extracción de la piedra de locura”, Sudamericana, Buenos Aires, 1968
Alejandra Pïzarnik, “Los trabajos y las noches”, Sudamericana, Buenos Aires, 1965
Alejandra Pizarnik, “Antología consultada de la joven poesía argentina”, Fabril, Buenos Aires, 1968
Alejandra Pizarnik, “Obras completas”, Corregidor, Buenos Aires, 1990
Franz Kafka, Parábolas y paradojas, Longseller, S.A., 2011
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FINE
Gabriella Bianco