Traduci

L’ETHOS TRAGICO DI ALEJANDRA PIZARNIK (1936 – 1972) – II^ Parte

“Io assistendo alla mia nascita,
io assistendo alla mis morte.”

La morte, nella sua assolutezza, non è che una circostanza nella catena del divenire: “La morte azzurra, la morte verde, la morte rossa, la morte lilla, nelle visioni della nascita”. L’esistenza della morte non è apparenza: “la morte sempre a portata di mano, ascolto senza dire”, le radici cosmiche del tragico, distruggono l’individualità:

“Qualcuno misura singhiozzando
l’estensione dell’alba.
Qualcuno trafigge il cuscino
alla ricerca del suo impossibile luogo di riposo”.  

Dalla fusione tra nascita e morte, nella colpevole innocenza del nascere, a cui corrisponde l’innocente colpa, emerge il linguaggio, in quella prossimità tra pensiero e poesia, che, nella precarietà di ogni figurazione, indica, da un lato, la condizione di instabilità del linguaggio – nella sua natura primordiale ed elementare, il dolore è innocente, un dolore che si nasconde nel linguaggio come paura, come terrore: “Mi nascondo nel linguaggio, perché ho paura” – e, dall’altro, esprime l’inevitabile destino della ragione danneggiata:

“Parlo del luogo in cui
si fanno i corpi poetici –
come un cesto pieno di cadaveri di ragazze.
Ed è in quel luogo dove
la morte è seduta,
indossa un abito molto vecchio
e pizzica l’arpa sulla riva del fiume tetro”.

C’è talvolta, nella sofferenza, una conoscenza della sofferenza che, nella consapevolezza immediata della sofferenza, esprime la lucidità della catastrofe e la necessità di dover soffrire, in un dolore che evoca parole e silenzio:

“Qualcosa è caduto nel silenzio.
La mia ultima parola è stata io,
Ma mi riferivo all’alba luminosa”.

Nello spazio agonizzante della notte, Alejandra lancia il suo urlo, prologo e passaggio allo stesso tempo verso il silenzio e la morte:

“La notte, ancora la notte,
la magistrale saggezza dell’oscurità,
il tocco caldo della morte,
un momento di estasi per me,
erede di ogni giardino proibito”.

Così Alejandra, prigioniera dell’urlo, lo paragona alla notte, all’ombra della morte: “So urlare fino all’alba, quando la morte riposa nuda nella mia ombra”, così l’urlo, come suprema vertigine, irrompe in tutta la sua potenza, quando la parola è spinta al limite, quando il tremendo esplode, assediato dalla potenza della distruzione, quando la poesia, concepita come luogo di restaurazione dell’assoluto, si contamina sempre più di morte: “Il corpo poetico, quello ereditato, quello non filtrato dal sole del mattino, un grido, una chiamata, un bagliore, un’ invocazione. Sì. voglio vedere il fondo del fiume, voglio vedere se si apre, se irrompe e fiorisce qui al lato, e verrà e non verrà, ma sento che si sta dimenando, e forse è proprio la morte.”  

Il grido diventa la categoria di una dimensione tragica che ne è l’essenza, testimonianza di un’azione liturgica, di un sacrificio espiatorio, in compensazione del male del mondo. La vita di Alejandra è così immersa nel mistero dell’esistenza e, mentre precipita verso l’abisso e il silenzio della morte, ciò che rimane è il silenzio della parola: “Qualcuno entra nel silenzio e mi abbandona. Adesso la solitudine non è più sola”.

Nel cerchio di felicità e crudeltà che è la vita, la bellezza che in essa si trova, è forza e forma, ma anche saggezza e memoria, in un’introspezione costante e avvolgente, nella magica seduzione del silenzio “al nero sole del silenzio“, in cui le parole sono d’oro, in un dire che è anelito al silenzio perfetto, in un silenzio che pesa come lingotti d’oro, in una morte che è una parola tentata dal silenzio.

Il silenzio è la condizione necessaria perché la metamorfosi delle parole sia possibile, perché la parola diventi espressione: “così le sirene – scrive Kafka nelle “Parabole” – hanno un’arma ancora più fatale del loro stesso canto, il silenzio”. E Kafka aggiunge: “Eppure, se è possibile che qualcuno sfugga al canto delle sirene, non potrà uscire dal proprio silenzio, dal silenzio racchiuso nel proprio canto, dal silenzio racchiuso nelle cose”.

“Ti allontani dai nomi,
che tessono il silenzio delle cose”.

Chiarezza e oscurità, risonanza e silenzio entrano nell’immagine poetica, che suggerisce un abitare non solo estetico, ma anche etico, e il momento della sofferenza che conduce all’innocenza, presuppone una morte su cui si vince, ma dalla quale si è allo stesso tempo, sconfitti.

Commiato
“La morte è una parola.
La parola è una cosa, la morte è una cosa.
È un corpo poetico che respira nel luogo della mia nascita”.

Il tratto disumano dell’urlo di Alejandra indica la disintegrazione che nasce dalla sofferenza. In questo transito, lei – contraddizione nel cuore del mondo – catturata dalle sue voci e dai suoi fantasmi, arriva inavvertitamente a quel luogo dove “la volontà dell’uomo e la legge che un dio, a un certo momento, gli impone” si fondono. (Eschilo) Nel movimentato cammino della vita di Alejandra, un’imperscrutabile saggezza tragica disegnò la superficie della sua anima, dilatando all’infinito l’orizzonte della sua sofferenza, proiettandola nella dimensione dell’enigma e del mistero.

Quanto, nella sua tormentata ragione, è stato affidato al gioco delle circostanze e degli eventi casuali, e quanto Alejandra abbia voluto, provocato, abbracciato il proprio destino, non ci sarà mai rivelato. Nella ferita sempre aperta dell’esistenza, il dolore cerca un significato: delimitando l’orizzonte di senso della sofferenza, l’incommensurabile dolcezza della parola poetica si rivela allo stesso tempo all’interno del linguaggio e nei suoi lati più prossimi.

Il vuoto mai chiarito che Alejandra – creatura definitivamente perduta – ha lasciato, nel tragico evento della sua morte, non elimina l’orizzonte cosmico – sempre aperto – dell’universo del dolore. Nello spazio liberato dalla sua assenza, ciascuno di noi può – e deve – definire i propri orizzonti di senso e consumare, come ha fatto eroicamente Alejandra, la propria agonia quotidiana.

Andare all’incontro di Alejandra Pizarnik ci ha costretto ad abbassare la luce, ad aprirci alle sue parole, senza cercare di catturarle o renderle trasparenti. Andarle incontro implicava garantire quella distanza, rispettare il carattere discreto e sacro della parola poetica, che illumina le parole senza tentare di spiegarle. Andare all’incontro di Alessandra implica un’apertura dell’orizzonte, che nasconde un’inevitabile attenuazione della luce.

È dall’assenza che è avvenuta tutta la nostra meditazione, circoscrivendo la nostra richiesta di verità, aderendo al messaggio che Alejandra ha scelto di darci. Sul letto di morte i suoi ultimi versi: “non voglio andare / nulla più / che fino al fondo”. Pensiamo che una vita e una morte debbano essere trovate non in piena luce, ma rispettando le ombre e la necessità di occultamento di ciascuno.

FINE

——————————————————————————————————————–

Note

 A.Pizarnik, “Salvacion”, en, “La ultima inocencia y las aventuras perdidas”, p. 11 

Alejandra Pizarnik, “La palabra que sana”, en, “El infierno musical”,  p. 43 

Martin Heidegger, Sentieri interrotti, La Nuova Italia, Firenze, 1968 

Rainer Maria Rilke, “Sobre Dios”, en, Historias del buen Dios, Montesinos, 2001 

Alejandra Pizarnik, “Cold in Hand Blues”, en “Infierno musical, p.11 

Alejandra Pizarnik, “La danza inmóvil”, en, “La ultima inocencia y las aventuras perdidas”, p. 35 

Alejandra Pizarnik, “Los de lo oculto”, en, El infierno musical, p. 45 

Alejandra Pizarnik, “El ausente”, en, “La última inocencia…”,   p. 57  

Alejandra Pizarnik, “Muchos más allá”, en, “La última  inocencia…, p. 55 

 Alejandra Pizarnik, “Endechas”, en, El infierno musical, p. 53 

 Alejandra Pizarnik, “El despertar”, en, La ultima inocencia…”,  p.52 

 Alejandra Pizarnik, “Ojos primitivos”, en, “El infierno musical”, p. 19  

 Alejandra Pizarnik, “Caminos del espejo”, en, “Extracción de la piedra de locura”, p. 41 

 Alejandra Pizarnik, “Origen”, en, “La ultima inocencia…”, p.47 

 Alejandra Pizarnik, “El despertar”, en, La ultimas inocencia…”,   p.52 

  Alejandra Pizarnik, “Los poseídos entre lilas”, III, en, “El infierno musical”, p. 73 

  Alejandra Pizarnik, “Noche compartida en el recuerdo de una  

  huida”, en, “Extracción de la piedra de locura”, p.66 

  Alejandra Pizarnik, “Caminos del espejo”, XI, en, “Extracción                          

  de la piedra de locura”, p. 43 

  Alejandra Pizarnik, “El sueño de la muerte o el lugar de los cuerpos     

  poéticos”, en, “Extracción de la piedra de locura”, p. 63 

  Alejandra Pïzarnik, “Los trabajos y las noches”, p. 42 

 Alejandra Pïzarnik, Los trabajos y las noches”, p. 46 

 Alejandra Pizarnik, “El poeta y su poema”, en, “Antología   

 consultada de la joven poesía argentina”, p.60 

 Alejandra Pizarnik, “Caminos del espejo”, XVII, en, “Extracción  

 de la piedra de locura”, p. 45  

Alejandra Pizarnik, “El poeta y su poema”, en, “Antología   

 consultada de la joven poesía argentina”, p.60 

Alejandra Pizarnik, “La haula”, en, “La ultima inocencia…”, p.33  

Alejandra Pizarnik, “El sueño de la muerte o el lugar de los cuerpos poéticos”, en, “Extracción de la piedra de locura”, p. 61-62 

Alejandra Pïzarnik, Los trabajos y las noches”, p. 17 

Alejandra Pizarnik, “Obras completas”, Corregidor, Buenos Aires, 1990, p. 214 

Alejandra Pizarnik, “El sueño de la muerte o el lugar de los cuerpos poéticos”, en, “Extracción de la piedra de locura”, p. 62 

Annotazione: La traduzione delle poesie di Alejandra Pizarnik sono dell’autrice in forma quasi letterale. Per una lettura diretta, rimando alla versione originale, di cui alle note.

Bibliografia 

Alejandra Pizarnik, “La ultima inocencia y las aventuras perdidas”, Botella al mar, Buenos Aires, 1976 

A.Pizarnik, “El infierno musical”, Siglo XXI Editores, Buenos Aires 1971 

Martin Heidegger, Sentieri interrotti, presentazione e traduzione di Pietro Chiodi, La Nuova Italia, Firenze 1968 

Rainer Maria Rilke, “Historias del buen Dios, Montesinos, 2001 

Gabriella Bianco, NEST. La metafísica de la ausencia, Corregidor, Buenos Aires, 1992 

Gabriella Bianco, En el camino de la palabra, Torres Agüero Editor, Buenos Aires, 1994 

Alejandra Pizarnik,“Extracción de la piedra de locura”, Sudamericana, Buenos Aires, 1968      

Alejandra Pïzarnik, “Los trabajos y las noches”, Sudamericana, Buenos Aires, 1965 

 Alejandra Pizarnik, “Antología consultada de la joven poesía argentina”, Fabril, Buenos Aires, 1968 

Alejandra Pizarnik, “Obras completas”, Corregidor, Buenos Aires, 1990 

Franz Kafka, Parábolas y paradojas, Longseller, S.A., 2011 

                                                   …………………

FINE

Gabriella Bianco

Data:

14 Novembre 2024

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *