L’ascesa di Macron all’Eliseo è stata molto più che un’iniezione di fiducia. Un segno di forza in un momento delicato, in cui di scontato non c’era nulla. Un treno che passa una volta, da portare a destinazione nel più breve tempo possibile. Un evento che ha scandito la necessità di una nuova marcia, dalla tabella più che serrata e attentissima a non muovere alcun passo falso. Si è aperta una possibilità di futuro, non solo per l’Europa, obbligata a rivedere i trattati, pena la sua stagnazione, ma per l’Italia, il cui futuro deve giocarsi necessariamente adesso. E varrebbe la pena ricordarsi delle parole di Cavour quando disse che lo sviluppo sarebbe passato per la valorizzazione delle sue ricchezze, che andavano pertanto ben vendute. Non si poteva pretendere allora di competere col carbon coke dell’Inghilterra, quando il nostro era scarso e combureva male o con la sua produttività industriale, quando, togliendo Torino, Genova, Milano, sul piatto della bilancia restava ben poco. C’era qualcosa però che nessuno avrebbe potuto imitare in Italia: la terra scaldata dal sole e dissetata da fonti pure e numerose, i frutti sipidi, i vitigni, gli oliveti e una tradizione che il Sud preunitario, analfabeta, ma maestro nell’agricoltura, aveva reso potenziale ricchezza. Lo aveva capito bene Cavour che, già da Ministro del Regno di Sardegna, fece crescere, come mai si era fatto prima, le esportazioni. C’era l’arte e una cultura millenaria che oggi sembrano cadute nel dimenticatoio. Occorre un’opera di forte rivalutazione del patrimonio, del turismo e di incremento – se possibile – dell’export “made in Italy”.
Sono queste le carte che la Penisola deve giocarsi sul tavolo delle trattative, entrandoci a gamba tesa, assieme alla Germania, forte di una tradizione storica che le rende sorelle. Se l’Italia resta indietro, sarà destinata all’emarginazione, soffocata dal debito. Serve competitività, digitalizzazione che possano valorizzare i suoi punti di forza. Occorre una gestione capace di dialogare e operare in tal senso, ora che l’Europa ha scelto di percorrere la via della globalizzazione e dell’unificazione perché “la frammentazione – come ben disse il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan al G7 – non conviene a nessuno”. Non conviene all’Occidente che deve, perché ci sia benessere, garantire lo sviluppo di tutti. “Sono certo che l’Italia e la Francia lavoreranno insieme per un’Europa più forte e vicina a cittadini – ha detto il premier Paolo Gentiloni in conferenza stampa col presidente francese Emanuel Macron – Sarà una gioia lavorare insieme”. Per il premier italiano, in visita a Parigi, occorre “lavorare insieme”. Lo ha ribadito nel cortile dell’Eliseo, prima della cena di lavoro che avrebbe scandito i ritmi di “un’agenda densa su temi importanti – come ha asserito il presidente francese – dal clima all’immigrazione e, naturalmente all’Europa […] Penso che non abbiamo ascoltato abbastanza presto il grido d’aiuto lanciato dall’Italia. Il mio auspicio è che si possa andare avanti per una vera riforma del diritto d’asilo e delle regole comuni per meglio proteggere gli Stati che sono più esposti a questa pressione migratoria”. Macron ha fatto brevemente il punto anche sulla questione lavoro: “Voglio che insieme si possa progredire anche su un’agenda per proteggere meglio i nostri lavoratori”. Sono i temi scottanti. Quelli che in questi anni hanno acuito il disagio sociale, accendendo il populismo, e che vanno risolti, integrando “le azioni in termini di difesa e sicurezza” per usare le parole di Gentiloni. Atto dovuto e intrinseco di un piano di “ulteriore sviluppo” in direzione di una “Unione bancaria e fiscale”, per cui l’abbattimento delle differenze è presupposto essenziale. “Gli italiani non hanno dimenticato” la scia di sangue che ha investito la Francia, ringraziando il presidente per le parole rivolte ai fatti di Milano: l’aggressione di un poliziotto e due militari alla Stazione Centrale.
Il premier italiano è il secondo leader europeo che Macron ha incontrato dal suo insediamento, dopo Angela Merkel a Berlino. Del resto per realizzare l’ulteriore step evolutivo – la “creazione di un budget comune per la zona euro” – che renda l’Europa effettivamente Unione, occorre procedere insieme nella condivisione dei valori.