Mentre si dibatte per una soluzione alla crisi migratoria concordata in sede UE, , una europolitica operativa viene comunque realizzata dalla CEDU; con un conflitto tra quanto previsto nei Trattati costitutivi della UE e i problemi attuali di un mondo non più eurocentrico.
Se la Natura aborre il vuoto, il vuoto viene immediatamente riempito. Se vi è una assenza di politica, la realtà provvede a realizzare una politica più ampia che provvede anche all’assenza della prima. Se una Europolitica dei popoli manca, altri provvedono a realizzarla.
Europolitica è una parola ricca di possibili significati: potrebbe indicare le scelte politiche dell’Europa, ma è evidente che quando l’Europa occidentale (oggi l’Unione Europea) è in lite con l’Europa Orientale ( la Federazione Russa) l’Europa ripete i conflitti interni che hanno portato alle due guerre del XX secolo, quindi non è una politica “europea”. Potrebbe indicare le scelte politiche dell’Europa Occidentale, e via via restringendo la politica estera dell’Unione Europea, come avviene oggi, ma una analisi delle scelte attuate dalla Commissione Europea è desolante.
Nella fede ideologica che il mercato “aggiusti tutto” e che tutto si aggiusti introducendo sempre più mercato e meno regole, più privato e meno stato (la delinquenza organizzata ringrazia), crescono nella UE caos sociale e conflitti. La scelta di consentire liberi spostamenti di popolazione intraeuropea senza considerare le reali disomogeneità culturali, di reddito e di valori condivisi tra i vari popoli europei è stata miope; evidentemente chi l’ha fatta era certo di non subirne le conseguenze.
E’ ancora più fonte di caos la sequela inerzie (di molti Stati membri della UE, tra cui l’Italia) di fronte agli eventi innescati dagli spostamenti di popolazione extra-europea, dove sono contemporaneamente presenti la scelta di concedere (di fatto) ingresso illimitato e del conferimento automatico (di fatto) degli stessi diritti degli autoctoni (ma senza pretendere gli stessi obblighi), e la scelta di ostacolarli (di fatto) con l’inerzia. La scelta del “tutti dentro” è ancora più devastante nell’ambito di una struttura del diritto europeo costruita ottanta anni fa, e fa sì che la scelta del “tutti fuori” sia sempre più difesa sia nel mondo di coloro che devono risolvere i problemi reali dell’Europa di oggi, sia dalle classi povere autoctone europee che subiscono le conseguenze del “tutti dentro”.
Si assiste a un palleggiamento di responsabilità, dove gli stati del Nord Europa chiedono che siano quelli del Sud Europa a farsi carico del problema degli extraeuropei, omettendo di ricordare che senza più le frontiere interne all’Europa gli extraeuropei si spostano verso il Nord Europa quanto più rapidamente possono per godere di un welfare migliore e per sfuggire alla crisi che attanaglia l’Europa del Sud .
Le classi dirigenti del Sud Europa, oltre a non avere attuato da trenta anni politiche regolatorie realistiche, sembrano avere ormai abbandonato ogni volontà di gestire il problema, e lasciano passare chiunque voglia andare verso il Nord Europa purché se ne vada più rapidamente possibile. Si confida così di trasferire il carico di tanti stranieri sul welfare nord-europeo, proprio quando le istituzioni dell’Unione Europea puntano a distruggere quello del Sud Europa (come è accaduto in Grecia).
L’europolitica viene continuamente modificata dai giurisit. Ad esempio, la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo (CEDU) ha dichiarato che l’Italia non offre sufficienti garanzie ai richiedenti asilo. La modalità espressiva usata è ovviamente ben più sottile: secondo la Corte respingere i richiedenti asilo in Italia senza garanzie viola i diritti dell’uomo. Pertanto la Svizzera non può quindi rinviare una famiglia di rifugiati verso l’Italia nell’ambito dell’accordo di Dublino, a meno di non aver ottenuto dalle autorità italiane indicazioni su come si prenderanno cura delle persone in questione.
Questa dichiarazione è inclusa nella decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo (CEDU) presa nel caso di una famiglia di afghani – padre 43enne, madre 33enne e sei figli nati tra il 1999 e il 2012 – che vivevano a Losanna. La famiglia – allora con cinque figli – sbarcò sulle coste calabresi nel luglio 2011, proveniente da un viaggio attraverso Pakistan, Iran e Turchia.
In base al Regolamento di Dublino la famiglia afgana venne sottoposta a procedura di identificazione, iscritta nella banca dati Eurodac e trasferita in un centro di accoglienza a Bari, in attesa di valutazioni.
Come è ormai prassi consolidata, i sette uscirono abusivamente dal centro , lasciando la Puglia senza ostacoli e raggiungendo l’Austria, dove furono nuovamente registrati in Eurodac. Gli afgani presentarono domanda d’asilo all’Austria, che venne respinta. Il primo agosto 2011 Vienna chiese all’Italia di seguire il dossier, richiesta che venne accolta; evidentemente però la famiglia afgana preferiva il Nord Europa, con il suo welfare ben più ricco di quello italiano, così nel frattempo la famiglia si spostò in Svizzera, dove il 3 novembre 2011 venne presentata istanza d’asilo. Nel gennaio 2012 l’Ufficio federale svizzero della migrazione (UFM) decise di non prendere in considerazione la domanda: in base all’accordo di Dublino spettava infatti all’Italia esaminare la questione. L’UFM svizzero ordinò perciò il rinvio dei rifugiati in Italia.La famiglia afgana presentò però ricorso, temendo che (questa fu la motivazione) in Italia le condizioni di vita sarebbero state inadatte, soprattutto per i bambini.
La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha dato ragione agli afgani: i giudici hanno infatti stabilito, con una sentenza definitiva, che qualora la Svizzera dovesse rinviare la famiglia in Italia senza prima aver ricevuto da questa dettagliate informazioni su dove e come la famiglia verrebbe alloggiata, si concretizzerebbe una violazione del loro diritto a non essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti, previsto dalla CEDU (Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo). Secondo la maggioranza dei giudici, “tenuto conto della situazione attuale del sistema di accoglienza in Italia non è infondato ritenere che i richiedenti l’asilo rinviati da altri paesi europei, in base al regolamento di Dublino, corrano il rischio di restare senza un luogo dove abitare o che siano alloggiati in strutture insalubri e dove si verificano episodi di violenza”. Il paradosso è che degli italiani senza un luogo dove abitare o che vivono in strutture insalubri quasi nessuno si preoccupa.
Spetta quindi alle autorità elvetiche assicurarsi presso quelle italiane che al loro arrivo in Italia i richiedenti asilo siano accolti in strutture e in condizioni adatte all’età dei bambini e che l’unità della famiglia sia ben preservata. Berna deve quindi ottenere da Roma “una garanzia individuale concernente da una parte una presa a carico adatta all’età dei bambini e dall’altra il mantenimento dell’unità familiare”. Il tribunale ha anche imposto alla Confederazione Elvetica di versare al ricorrente 7.000 euro quale risarcimento per le spese. Il giudizio proviene direttamente dalla Grande Camera della Corte di Strasburgo: una procedura che viene scelta quando il caso concerne importanti questioni interpretative della CEDU, oppure quando si prevede che la sentenza possa divergere da pareri precedenti espressi dallo stesso consesso.
Quindi la Corte di Strasburgo si è pronunciata contro un rinvio in Italia di richiedenti asilo da un altro stato europeo. Una decisione simile finora era stata presa solo nei confronti della Grecia, ma evidentemente lo stato di crisi indotto dal flusso continuo di stranieri si sta estendendo dal paese più in crisi al secondo più in crisi, con il passare degli anni. In base alle informazioni fornite dalla Corte di Strasburgo ci sono circa una ventina di altri ricorsi pendenti simili a quello della famiglia afghana.
In questo processo, la grande assente è proprio una europolitica attenta sia ai diritti dell’uomo, che ai diritti delle etnìe autoctone, e alla realtà. Una Europolitica che di fatto ha scelto di non scegliere perché aborre l’ovvia conseguenza dello scegliere, il dover cambiare comportamenti passando dal lasciare accadere all’agire, perché l’agire costringerebbe ad ammettere che gli ultimi trenta anni di politica (o se il lettore preferisce, di non-politica) dell’immigrazione intra- ed extra europea sono stati totalmente errati, sia nelle scelte sia nella prassi. Il dilemma della classe dirigente europea è drammatico: se fosse confermata la scelta del “tutti dentro” avremo una Europa piena di non-europei, inaccettabile sia per i partiti della destra storica che per le classi povere. Se si cambiasse, optando per la scelta del “tutti fuori” avremo una Europa che dovrà attuare una serie di distinzioni sui diritti umani inaccettabile per i dirigenti dei partiti delle sinistre “storiche”.
Qui l’aggettivo “storiche” viene usato per indicare i partiti di sinistra che fanno riferimento alle ideologie imperanti prima del 1990, o già esistenti prima di allora; da quell’anno ci separa ormai una generazione, e sono nati altri movimenti politici con percentuali ormai a due cifre “a sinistra” delle sinistre “storiche”. Sinistre “storiche” che in buona parte sono indistinguibili dalle “destre”.
Ad ingarbugliare ancora di più la scelta, le sinistre “storiche” stanno attuando, verso le classi povere europee che un tempo rappresentavano, politiche che qualche decennio fa sarebbero state definite “di destra”, e quindi non le rappresentano più. Quando però le forze politiche presenti non offrono più soluzioni, è il momento propizio per la nascita di “nuove” forze politiche, o tramite una operazione di “mutazione genetica” che lascia immutati i nomi rivoluzionando l’ideologia (fenomeno che in Italia si è ripetuto già più volte) o per la nascita di nuovi soggetti politici che offrano rappresentanza ai “senza voce”.
La Corte di Strasburgo ha valutato secondo princìpi stabiliti quasi un secolo fa, ma ha comunque valutato. Sarebbe stata scontato che il Governo modificasse di conseguenza la legislazione, ma non è stato fatto: un Governo Europeo non c’è. Così come non esiste una legislazione europea diversa da quella desumibile da altissimi princìpi giuridici, quindi senza agganci alla realtà europea di questi anni. Nella Costituzione della Repubblica Romana era scritto che la Repubblica avrebbe concesso la cittadinanza a chiunque l’avesse richiesta. Era sottinteso che i richiedenti sarebbero stati repubblicani in fuga dalle persecuzioni dei loro governi, o comunque perseguitati politici europei. Cosa accadrebbe oggi se si applicasse detto principio? Eppure si tratta di un principio proclamato più di 150 anni fa, allora validissimo; e validissimo ancora oggi ogni qualvolta uno Stato concede asilo “politico” a perseguitati da altri governi.
La conclusione di questo elenco di esempi di conflitti tra i diritto UE, applicato dalla CEDU, e la necessità di bloccare l’immigrazione extraeuropea nell’area UE è che sarà possibile regolare l’immigrazione solo dopo profonde modifiche al Diritto della UE. Anche attuando un aggiornamento di alcuni principi ritenuti irrinunciabili ma che, pur ottimi nella teoria, davanti a una realtà di immigrazione oltre ogni immaginazione si sta rivelando totalmente inadeguata.