Libano al voto dopo 9 anni
Il Libano torna alle urne dopo 9 anni per le elezioni legislative. I seggi sono aperti e oltre 3,6 milioni di cittadini hanno la possibilità, come non accadeva dal 2009, di scegliere i 128 membri del parlamento in un sistema elettorale articolato in 15 collegi.
I cittadini residenti all’estero, invece, hanno già espresso le proprie preferenze ad aprile. Il voto, i cui risultati verranno resi noti lunedì, rappresenta anche il primo test per la legge elettorale varata dal parlamento a giugno dello scorso anno.
Il provvedimento riduce il numero di collegi e introduce il proporzionale. L’altra novità è rappresentata dalla concentrazione del voto in un’unica giornata: in precedenza, le elezioni avvenivano separatamente in ciascun distretto.
AFFLUENZA – Affluenza del 20,2% alle 12 in Libano nelle prime elezioni dal 2009. Lo rende noto il ministero dell’Interno. Secondo gli osservatori, poche code ai seggi nella capitale Beirut. Affluenza maggiore, invece, in alcune aree del sud del paese, dove le urne dovrebbero premiare Hezbollah.
Nucleare, tensione Iran-Usa
“Uno storico pentimento” attende gli Stati Uniti se Washington deciderà di uscire dall’accordo nucleare firmato nel 2015 dall’Iran e dalle potenze occidentali. E’ quanto ha detto il presidente iraniano Hassan Rouhani, come riferisce ’Al Jazeera’, in un discorso trasmesso dalla tv di Stato. Teheran, ha affermato Rouhani, è in grado di far fronte a qualsiasi decisione adottata dal presidente americano, Donald Trump.
Il numero 1 della Casa Bianca dovrebbe comunicare entro il 12 maggio la propria decisione in relazione all’accordo, ripetutamente bocciato nelle dichiarazioni rilasciate nelle ultime settimane. “Le direttive necessarie sono state impartite alle organizzazioni coinvolte e all’Organizzazione iraniana per l’energia atomica” ha detto Rouhani. “Se l’America lascia l’accordo nucleare, tutto questo comporterà un pentimento storico” per Washington.
L’ACCORDO – “Trump respingerà l’accordo o, se non lo fa, continuerà a sabotarlo”. Per questo, ha aggiunto Rouhani, per l’Iran è più importante il fatto che “i Paesi europei prendano le distanze da questa linea”. L’intesa siglata nel 2015 coinvolge, oltre a Iran e Stati Uniti, anche Russia, Cina, Regno Unito, Francia e Germania. L’accordo prevede controlli rigorosi sul programma nucleare di Teheran, con l’obiettivo di impedire la produzione di armi atomiche nel Paese che avrebbe, in cambio, ottenuto la rimozione di sanzioni economiche.
L’Iran mira all’implementazione totale della sezione economica dell’intesa, che non è stata applicata in maniera integrale nemmeno prima dell’arrivo di Trump alla Casa Bianca. Per questo, nell’ottica di Teheran, la decisione che Washington si appresta ad annunciare nei prossimi giorni non avrebbe comunque un impatto decisivo. Dopo la firma del 2015, l’Iran ha varato una serie di accordi e progetti commerciali con partner dell’Unione europea. Ed è per questo, come ha affermato Rouhani, che sarebbe fondamentale una linea Ue autonoma rispetto all’orientamento degli Stati Uniti.
TRUMP – Intanto Trump ha sottolineato il proprio impegno a garantire che l’Iran non entri mai in possesso di armi nucleari in una conversazione telefonica con il premier britannico Theresa May.
Al centro del colloquio, oltre alla visita che il presidente americano effettuerà a Londra il 13 luglio, anche i rapporti commerciali – con riferimenti in particolare alla Cina – e la situazione della Corea del Nord, in vista del summit che Trump dovrebbe tenere con Kim Jong-un tra la fine di maggio e l’inizio di giugno.
JOHNSON – Per quanto riguarda l’Iran, il ministro degli Esteri britannico, Boris Johnson, volerà a Washington per provare a convincere gli Stati Uniti sull’opportunità di non uscire dall’accordo nucleare. Lo riferisce il quotidiano ’The Guardian’, precisando che la missione di Johnson durerà due giorni.
Il Foreign Secretary, si legge, dovrebbe incontrare diversi membri dell’amministrazione Trump, a partire dal vice presidente Mike Pence e dal consigliere alla sicurezza nazionale John Bolton. In calendario, anche summit con esponenti del Congresso.
Nessuna camera segreta nella tomba di Tutankhamon
Non esistono camere segrete nella Tomba di Tutankhamon. Lo hanno stabilito gli studi condotti da archeologi italiani, come rende noto il ministero egiziano per le Antichità di Stato. “Le scansioni effettuate con il radar all’interno della tomba hanno dimostrato che non ci sono camere o tracce di telai di porte o di ingressi”, ha affermato Mostafa Waziri, a capo del Consiglio Supremo egiziano per le Antichità di Stato.
I risultati degli studi smentiscono quindi la teoria che ipotizzava l’esistenza di altri locali o di passaggi, adiacenti o interni alla camera mortuaria di Tutankhamon, scoperta nel 1922.
Lo studio è stato condotto dai ricercatori di Archeo-Fisica del Politecnico di Torino coordinati dal professor Franco Porcelli che all’inizio dell’anno hanno ottenuto il via libera dall’Egitto per le misure geo-radar decisive dall’interno della Tomba di Tutankhamon nella Valle dei Re a Luxor. Le misure, come aveva annunciato il Politecnico, sono state condotte tra il 31 gennaio e il 6 febbraio con l’obiettivo di verificare l’eventuale presenza di spazi vuoti e/o di corridoi nascosti dietro le pareti della camera funeraria. Secondo una teoria avanzata dall’egittologo inglese Nicholas Reeves, la tomba KV62 avrebbe fatto parte, infatti, di una più ampia tomba appartenente forse alla Regina Nefertiti.
A gennaio, il Politecnico aveva reso noto che i tre diversi sistemi radar di ultima generazione utilizzati avrebbero potuto fornire una risposta sicura al 99% riguardo all’esistenza di strutture nascoste di rilevanza archeologica adiacenti alla tomba di Tutankhamon.
Governo, la hit delle crisi più lunghe
La svolta è attesa tra domani e dopodomani, quando, salvo fatti nuovi che dovessero emergere dalle consultazioni, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, prenderà un’iniziativa per cercare di arrivare alla formazione di un governo cosiddetto di tregua che guidi il Paese almeno fino a dicembre. Due mesi ormai sono passati dalle elezioni, 44 giorni dalle dimissioni del presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, presentate il 24 marzo, dopo l’avvio della diciottesima legislatura con le sedute inaugurali e l’elezione dei presidenti di Senato e Camera.
Una crisi lunga ma non lunghissima, nell’Italia che in diciassette legislature, a partire da quella iniziata dopo le elezioni del 18 aprile 1948, ha visto susseguirsi 61 governi, spesso con intervalli di parecchie settimane, pur in presenza di un quadro politico più definito di quello attuale e con protagonista uno dei leader più longevi. Ad esempio all’epoca del pentapartito basato sul cosidetto Caf e con Giulio Andreotti premier.
66 GIORNI PER AMATO – Siamo ancora lontani dai 66 giorni che nel 1992 trascorsero dall’avvio dell’undicesima legislatura e la nascita del primo governo di Giuliano Amato o dai 64 che passarono dalle dimissioni di Ciriaco De Mita all’avvento del sesto governo Andreotti. Spesso le lunghe impasse sono state intervallate da elezioni anticipate, con esecutivi in carica solo per gli affari correnti, e naturalmente prima di avviare le procedure per averne uno nuovo occorreva necessariamente aspettare lo svolgimento della campagna elettorale, il voto e i venti giorni prima dell’insediamento del nuovo Parlamento.
Ampie parentesi quindi tra un gabinetto e l’altro nei settanta anni che ci lasciamo alle spalle, ma anche inizi di legislatura particolarmente complessi come quello attuale, su tutti quelli nel 1992, già ricordato, e nel 2013, quando si incrociarono con l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro nel primo caso e il riconfermato Giorgio Napolitano nel secondo. Senza dimenticare, con riferimento agli inizi degli anni Novanta, i tumultuosi cambiamenti legati alle inchieste di tangentopoli e drammatiche vicende come l’attentato a Giovanni Falcone.
Un capitolo a parte naturalmente va scritto per il triennio 1976-1979, nel pieno degli anni di piombo culminati con il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, l’artefice con Enrico Berlinguer dell’accordo tra Dc e Pci, base della nascita dei governi di solidarietà nazionale.
IL DUELLO DE MITA-CRAXI – Le contrapposizioni tra Ciriaco De Mita e Bettino Craxi; la creazione dell’asse tra lo stesso Craxi, Giulio Andreotti e Arnaldo Forlani, ricordato con l’acronimo Caf e suggellato nel cosiddetto patto del camper; i contrasti all’interno della Dc tra la sinistra da un lato, il grande centro e gli andreottiani dal’altro; rendono difficile la formazione dei governi che si alternano negli anni Ottanta, anche se poi risultano nella storia tra quelli con una durata maggiore.
Il primo ministero guidato da Craxi nasce il 4 agosto del 1983, a soli 23 giorni dall’insediamento della nona legislatura. Resterà in carica quasi tre anni, risultando così il terzo per durata, ma quando si dimette si apre una crisi particolarmente complessa. Si protrarrà per 35 giorni, dal 27 giugno del 1986 al successivo primo agosto, quando si insedia il Craxi bis basato sul cosiddetto patto della staffetta, che di lì ad un anno avrebbe dovuto portare a palazzo Chigi il segretario della Dc, Ciriaco De Mita.
Il SESTO E SETTIMO GABINETTO ANDREOTTI – Ma sarà un percorso più travagliato del previsto e destinato ad interrompersi presto. Dopo le elezioni anticipate nella tarda primavera del 1987, il governo di Giovanni Goria e la crisi di un mese che si apre dopo le sue dimissioni; il leader della Dc riuscirà ad arrivare alla guida dell’esecutivo il 13 aprile 1988. Tuttavia sarà una stagione di breve durata.
La nomina di Forlani alla segreteria della Dc nel febbraio dell’anno successivo crea le premesse per le dimissioni di De Mita che arrivano il 19 maggio. Ci vorranno 64 giorni, la crisi più lunga della storia repubblicana senza passare per elezioni, prima di vedere nascere il sesto governo presieduto da Giulio Andreotti, il decimo per durata in assoluto. Resterà in carica fino alle dimissioni del 29 marzo 1991. In questo caso si dovranno attendere 14 giorni prima che giuri per la settima ed ultima volta da presidente del Consiglio.
Ed è sempre lui il protagonista di fasi complesse che caratterizzano la formazione dei suoi tre governi nella drammatica legislatura compresa tra il 1976 e il 1979. Il primo nasce il 29 luglio del ’76, con l’astensione del Pci, a 24 giorni dell’insediamento delle nuove Camere.
I MINISTERI DELLA SOLIDARIETA’ NAZIONALE – Si dimetterà il 16 gennaio del 1978 e soltanto 54 giorni dopo, l’11 marzo, cinque giorni prima del rapimento di Moro e dell’uccisione della sua scorta, formerà il nuovo gabinetto, stavolta con il sostegno del Pci. Andreotti andrà avanti fino alle dimissioni 31 gennaio del 1979. Passeranno 48 giorni prima di dar vita ad un nuovo esecutivo, il 20 marzo, destinato a portare il Paese ad elezioni anticipate dopo la mancata fiducia.
Nel continuo avvicendarsi dei governi che ha caratterizzato la storia repubblicana, solitamente le crisi più lunghe hanno avuto una durata compresa tra i trenta e i cinquanta giorni. Ad esempio quelle che portarono ad un susseguirsi di esecutivi guidati dal democristiano Mariano Rumor.
Il secondo nasce il 5 agosto del 1969, esattamente 31 giorni dopo le dimissioni presentate il 5 luglio. Per la nascita del terzo occorrerà invece attendere 48 giorni, dalle dimissioni del 7 febbraio del 1970 alla nomina del 27 marzo.
LA STAGIONE RUMOR – Il 6 luglio successivo presenterà nuovamente le dimissioni, sostituito un mese dopo da Emilio Colombo, alla prima esperienza da presidente del Consiglio. Si dimetterà un anno e mezzo dopo, il 15 gennaio 1972. Dopo 33 giorni di crisi, lascerà il posto al primo governo Andreotti, che non avendo ottenuto la fiducia porterà il Paese alle prime elezioni anticipate della storia repubblicana.
Con la nuova legislatura Andreotti resterà ancora in carica fino al luglio 1973, quando si aprirà una nuova stagione con governi a guida Rumor. Quello che si dimette il 3 ottobre del 1974, aprirà una crisi che si chiuderà soltanto 51 giorni dopo, con l’insediamento del quarto esecutivo a guida Aldo Moro. Succederà a se stesso il 12 febbraio 1976, dopo una crisi iniziata 36 giorni prima con le dimissioni del 7 gennaio.
Tornando indietro nel tempo, è negli anni Sessanta che iniziano a registrarsi crisi di governo particolarmente prolungate. Un mese passa dalle dimissioni di Antonio Segni, il 24 febbraio 1960, alla nascita del governo di Fernando Tambroni.
SPADOLINI E LA PRIMA VOLTA DI UN NON DC – Moro, all’epoca dei primi governi organici di centrosinistra, dimessosi il 21 gennaio 1966, dovrà attendere 33 giorni per succedere a se stesso alla guida del suo terzo esecutivo. Un mese era invece passato tra le dimissioni di Giovanni Leone, il 5 novembre 1963, e la nascita del suo primo gabinetto il 4 dicembre successivo.
Complicate anche le fasi che portano alla formazione dei governi agli inizi degli anni Ottanta, quando per la prima volta si arriverà ad avere un presidente del Consiglio non espresso dalla Dc, vale a dire Giovanni Spadolini, arrivato a palazzo Chigi il 28 giugno 1981, 33 giorni dopo le dimissioni di Arnaldo Forlani.
A partire dagli anni Settanta iniziano gli scioglimenti anticipati delle Camere, spesso alla fine di prolungate crisi di governo. Particolare la situazione del 1987, quando dopo le dimissioni di Bettino Craxi del 3 marzo, il 15 aprile viene nominato presidente del Consiglio per la sesta volta Amintore Fanfani. Ma sarà la Dc, con un voto di astensione alla Camera, a bocciare la nascita dell’esecutivo, per decretare così la fine della legislatura.
MACCANICO E MARINI – Nella cosiddetta seconda Repubblica sono due gli scioglimenti anticipati, che arrivano non prima di aver comunque verificato la possibilità di proseguire la legislatura. Nel 1996, dopo le dimissioni l’11 gennaio del governo di Lamberto Dini che era succeduto al primo gabinetto di Silvio Berlusconi, il Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, il primo febbraio affida ad Antonio Maccanico l’incarico di formare il nuovo governo.
Il tentativo è quello di arrivare ad un esecutivo di larghe intese che consenta la realizzazione delle riforme istituzionali. Ipotesi che si rileva però impercorribile, con la conseguente rinuncia di Maccanico il 14 febbraio, seguita, due giorni dopo, dallo scioglimento anticipato del Parlamento, il secondo durante il mandato di Scalfaro.
Anche nel 2008, dopo le dimissioni il 24 gennaio di Romano Prodi, il presidente del Senato, Franco Marini, la settimana successiva viene incaricato dal Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, di verificare tra le forze politiche le possibilità di consenso su una riforma delle legge elettorale e di sostegno ad un governo che accompagni l’approvazione di tale riforma, assumendo nel frattempo le decisioni più urgenti.
IL FALLIMENTO DI BERSANI – Preso atto del fallimento del tentativo, il Presidente della Repubblica il 6 febbraio scioglie le Camere, con le elezioni fissate per i successivi 13 e 14 aprile.
Napolitano sarà poi al centro di uno degli avvii di legislatura più tormentati della storia repubblicana, che in qualche modo ricorda quello attuale. Cinque anni, fa dopo il voto del 24 e 25 febbraio, il centrosinistra ottiene la maggioranza soltanto alla Camera.
Pier Luigi Bersani, ricevuto il 22 marzo l’incarico di verificare l’esistenza di un sostegno parlamentare che consenta la formazione del governo, una settimana dopo è costretto a gettare la spugna. Nel frattempo, alle difficoltà legate alla formazione del nuovo esecutivo, si somma la necessità di procedere all’elezione del Capo dello Stato. Dopo la duplice bocciatura di Franco Marini e Romano Prodi ad opera dei franchi tiratori, Napolitano accetta la rielezione il 20 aprile. La situazione si sblocca il 24 aprile, con il conferimento dell’incarico ad Enrico Letta, che giura il 28, 44 giorni dopo l’insediamento delle nuove Camere.
L’INCARICO A PELLA – Non furono facili neanche le prime settimane della seconda legislatura, apertasi il 25 giugno del 1953. L’ottavo governo di Alcide De Gasperi, nominato il 16 luglio, non ottenne la fiducia e soltanto il 17 agosto, a quasi due mesi dell’insediamento delle Camere, fu nominato presidente del Consiglio Giuseppe Pella, incaricato dal Capo dello Stato, Luigi Einaudi, senza procedere prima alle consultazioni.
Dieci anni dopo, ci vollero 36 giorni, dal 16 maggio, primo giorno della quarta legislatura, al 21 giugno, per la nascita del governo di Giovanni Leone, esecutivo di transizione prima della stagione dei governi organici di centrosinistra. Dopo vari incarichi andati a vuoto, fu Francesco Cossiga che il 4 agosto del 1979 riuscì a formare il primo governo dell’ottava legislatura, apertasi 45 giorni prima.
Complicato e drammatico nel 1992 l’inizio dell’undicesima legislatura, che si inaugura il 23 aprile, dopo elezioni che hanno consegnato una maggioranza risicata alla Dc e ai suoi tradizionali alleati. Il 28 si dimette il Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, anticipando di qualche settimana la scadenza naturale del mandato.
UN RECORD DESTINATO A RESISTERE – Gli succede Oscar Luigi Scalfaro, eletto il 25 maggio, due giorni dopo l’attentato a Giovanni Falcone. Il 28 giugno nascerà il primo governo guidato da Giuliano Amato, 66 giorni dopo l’insediamento delle nuove Camere.
Un record che comunque potrebbe resistere, se nei prossimi giorni, su input di Mattarella, si arriverà alla formazione di un nuovo governo. Anche se con tutte le incognite legate alla durata di questo nuovo ipotetico esecutivo.
Maggioni: “I fatti parleranno per me”
“C’è una procura che sta facendo il suo lavoro – e mi auguro lo farà in termini brevissimi – Dopo di che saranno i fatti una volta per tutte a parlare per me“. Così la presidente della Rai, Monica Maggioni, ospite al Festival della Tv e dei nuovi media a Dogliani, commenta la sua iscrizione nel registro degli indagati per abuso d’ufficio e peculato nell’ambito di un’inchiesta relativa a presunti illeciti risalenti ai tempi della sua direzione di Rainews.
Si tratta di “una vicenda che è in ballo da tantissimo tempo, di cui si è parlato a più riprese e che riguarda due punti – ha precisato – La questione del libro è facilmente spiegabile: io nel 2015 ho scritto un libro che si chiama ’Terrore mediatico’ e che comincia nella redazione di Rainews quando arrivano le notizie sugli attentati di Parigi. In quel libro racconto la nostra esperienza come redazione e la incrocio con la comunicazione che in quelle stesse ore i terroristi stavano facendo degli attacchi”.
“Alla Rai interessava molto che io andassi a parlare come direttore di Rainews24 di questi temi perché dava il senso alle persone di quello che stavamo facendo”, ha sottolineato Maggioni, che ha spiegato come perciò “completamente d’accordo con la Rai sono andata in giro”. Per quelle otto trasferte “io di fatto ho presentato due biglietti di treno e uno di taxi, tanto che qualcuno mi ha detto ’ridai quelle due lire lì e la finisci così’ – ha chiarito – Ma io ne ho fatto una questione di principio: quello era un libro che parlava del mio lavoro, che parlava di Rai, che ne parlava con Rai e che la Rai voleva che io portassi in giro”.
Quanto all’altra questione al centro dell’inchiesta, prosegue la presidente Rai, “è legata ad appalti che sarebbero stati dati all’epoca in cui ero direttore di Rainews e che riguardavano il sito web, ma – ha concluso – sono cose che prescindevano completamente da me”.
Ancora maltempo
Anche la seconda settimana di maggio sarà condizionata dal maltempo su moltissime regioni. I temporali e le piogge non molleranno il nostro Paese.
Oggi – spiegano gli esperti del sito ilmeteo.it – i temporali interesseranno al mattino buona parte del Nordovest, con fenomeni localmente intensi a Milano, Cuneo, Torino, Asti, a sulle province di Piacenza, di Parma, Modena e sul veronese.
Dopo metà giornata e in serata attenzione sulla Toscana, soprattutto tra Pisa, Firenze, Livorno, Siena, in direzione del grossetano, dell’Umbria e poi il Lazio, con piogge su Roma, Viterbo, Rieti, Frosinone. Precipitazioni a carattere temporalesco, ma alternati a schiarite, sulla Campania fino a Napoli e Salerno, Benevento e sulla Basilicata. Il maltempo non lascia nemmeno la Sardegna, specie l’Ogliastra.
Da metà settimana un nucleo fresco e instabile è pronto a raggiungere il mar Adriatico, dopo essere partito dal Nord Europa.
Mercoledì 9 prime piogge e temporali interessano subito le province venete, specie il vicentino, il trevigiano, il bellunese, il Friuli Venezia-Giulia e l’Emilia-Romagna con piogge sparse su ferrarese, ravennate e bolognese. Instabile anche sull’Appennino tosco-emiliano, con possibili confinamenti verso lo spezzino e l’alta Toscana.
Al pomeriggio e poi in serata i temporali raggiungono tutta la Pianura Padana e i rilievi alpini: temporali a Milano, Torino, Asti, Cuneo, Aosta, Novara, Vercelli, Verbania, sul varesotto e province più settentrionali della Lombardia.
Tempo ancora perturbato sul Veneto occidentale, specie sulle province di Verona, Vicenza e Padovano, a Trento e Udine. Sulle regioni centrali qualche piovasco interessa la Toscana e l’Umbria, attenzione all’instabilità pomeridiana sui rilievi appenninici meridionali fino ai rilievi della Basilicata e tra barese e tarantino.
Dopo metà settimana proseguono i fenomeni temporaleschi lungo la dorsale appenninica centro-meridionale, mentre al Nordovest si avranno nuove occasioni di piogge e locali temporali fino a venerdì 11.
Dando uno sguardo alle temperature, gli esperti si attendono un generale calo a metà settimana a seguito dell’arrivo del nucleo fresco: emblematica la città di Trieste, che passerà dagli attuali 28°C ai 23°C di mercoledì.
Un più importante cambiamento del tempo potrebbe però verificarsi a partire dal prossimo weekend di sabato 12 o domenica 13 di o nei giorni immediatamente successivi ad opera di un ciclone atlantico in avvicinamento.