E’ salito a 97 morti e 400 feriti il bilancio degli scontri tra milizie nella sola città di Tripoli, da quando, il 13 luglio scorso, è cominciata la battaglia per il controllo dell’aeroporto della capitale.
Gli ultimi tentativi del primo ministro al-Thani di fermare lo scontro tra le milizie per il controllo dell’aeroporto di Tripoli sono risultati vani e non solo la battaglia continua sanguinaria, ma l’allarme è così alto che dopo gli Stati Uniti che hanno evacuato tutto il personale dell’ambasciata, in questi giorni anche Gran Bretagna, Olanda, Germania e Francia hanno esortato i propri concittadini a lasciare la Libia.
E se l’ambasciata italiana resta ancora operativa perché si trova in una zona sicura della città, non coinvolta negli scontri, tuttavia da settimane la Farnesina lavora per il rientro di decine di connazionali che si trovano nelle zone a maggiore rischio. Infatti, già 100 italiani, sotto protezione, hanno lasciato il paese. Il vero problema però è che la situazione non accenna a placarsi. Durante i combattimenti per il controllo dell’aeroporto, due notti fa un razzo ha colpito un serbatoio di carburante a poche miglia dalla capitale causando un gravissimo incendio che rischia di provocare un disastro ambientale, al punto che lo stesso governo di Tripoli ha lanciato un appello per ricevere aiuti internazionali e, ancora, un altro razzo finito per sbaglio su un’abitazione ha ucciso 23 egiziani e altre 38 persone sono morte a Bengasi, mentre 21 aerei delle compagnie aeree libiche rimangono distrutti sulle piste rese inutilizzabili da colpi di mortaio e razzi Grad.
Sono trascorsi tre anni dalla rivoluzione del 2011 battezzata come “Primavera araba”. Sono trascorsi tre anni da quando le proteste contro la corruzione dei poteri, contro le tirannie, contro le monocrazie che generano assenza di libertà, violazione di diritti umani, ma soprattutto condizioni di vita molto dure affratellavano l’intero universo arabo, cavalcavano l’onda del malcontento popolare e si traducevano in desiderio di rinnovamento del regime politico.
Sono trascorsi tre anni da allora e la Libia soffre problemi gravissimi, anzi il quadro politico, istituzionale ed economico è molto meno incoraggiante di quello che pervadeva gli animi del paese subito dopo la rivoluzione. Sin dagli ultimi mesi del 2013 si è registrato un forte deterioramento sia della sicurezza interna e dell’ordine pubblico – molti membri di quella élite capace di guidare il paese in questo periodo di transizione sono stati assassinati, sia della stessa situazione politica e soprattutto economica, i cui progetti per lo sviluppo delle infrastrutture rimangono fermi e il governo libico non ha registrato alcun progresso nella creazione di posti di lavoro per la prestazione di servizi.
Tutti questi fattori, messi insieme, si sono combinati creando, agli occhi di quella popolazione che aveva creduto e lottato per il cambiamento, una progressiva delegittimazione proprio delle nuove istituzioni libiche. Quando venerdì scorso una folla di cittadini è scesa in piazza per manifestare contro la violenza, contro le milizie e contro il caos in cui il paese si ritrova dopo la tanto sofferta caduta di Gheddafi, sembra difficile credere ancora a quanto le rivoluzioni, le lotte, le rivolte, quelle stesse che hanno infuocato gli animi della primavera araba, servano a creare giustizia, dignità e libertà; servano a migliorare le situazioni e a determinare i cambiamenti; servano a creare democrazia.