Traduci

L’IMMIGRAZIONE DI MASSA IN EUROPA VIA MELILLA

Processi storici come le  “invasioni barbariche” non si realizzarono  in mesi o anni ma in decenni e decenni. Il crollo dell’Impero Romano, che nei libri di storia sembra immediato, richiese secoli, ma le persone coinvolte non si resero conto di ciò che accadeva finché non ne videro la manifestazione catastrofica. Così come i pellerosse impiegarono secoli a capire che quegli immigrati dall’Europa avrebebro distrutto il loro mondo. Come processi storici simili, il processo storico di “invasione a freddo” dell’Europa da parte di extraeuropei parte da lontano. Dati i numeri ormai si può parlare di “immigrazione di massa”, per la difformità d culturale e il rifiuto da parte degli europei di origine di “invasione” , e per le modalità non violente  preferimao  usare la dizione “a freddo”, ricalcata sul concetto di “guerra fredda”.

Una “invasione a freddo” non è un fenomeno catastrofico ma un un processo graduale fatto di tanti piccoli passi il cui risultato è ormai davanti agli occhi di tanti, percepito tanto più  quanto maggiore è la percentuale di extraeuropei nel proprio quartiere e quanto maggiore è la competizione con gli extraeuropei, anche di seconda e terza generazione, per le risorse economiche. Per un pelelrossa un europeo bianco  era unostraniero,  un figlio di europei anche, un discendente solo di europei lo stesso; lo stesso sta accadendo in Europa. Quando gli ascendenti in America si mescolavano, un po’ pellerosse un po’ immigrati europei,  la questione iniziava a diventare complessa, i mezzosangue diventavano una categoria a parte  e valevano  le differenze percepibili: culturali, linguistiche, visive, ideologiche. Quando queste differenze non ci sono allora si può parlare di assimilazione, e il problema immigrazione si trasforma nel classico conflitto di classe tra poveri e ricchi; così è accaduto in America, così sta acaddendo e accadrà in Europa.  Ma finché le differenze sono percepite si ha una società multiconflittuale, perché ogni differenza percepita come negativa genera un conflitto. La frase “le differenze sono una ricchezza” vale solo in determinati contesti, in altri vale l’opposto.

Per evitare che codesti conflitti nascono è necessaria una immigrazione che non li generi nel tempo, quindi una immigrazione non indiscriminata; alcuni Stati la perseguono altri no. Il risultato è dato dall’insieme delle politiche di gestione adottate. Negli Stati Uniti d’America alcune categorie di immigrati dall’Europa si sono perfettamente assimilate tra loro, altre invece no e i conflitti sono rimasti e se ne stanno anche sviluppando di nuovi. Se Donald trum sarà di nuov Presidente degli Stati Uniti d’America è perché ha promesso di bloccare l’immigrazione ed espellere 12 milioni  di immigrati già presenti.

Per far risaltare la lentezza del processo di invasione fredda in Europa, e come si sta evolvendo, ricordiamo un fatterello,  e le sue conseguenze. Nel marzo 2015 la  Spagna apri un ufficio a Melilla per vagliare le richieste d’asilo dei rifugiati siriani che erano arrivati fin lì per cercare di entrare in Europa.  La Spagna, a differenza di altri Stati del Sud Europa, ha un piano per la sicurezza nazionale e lo applica; ha una visione definita  di cosa intenda per “asilo”, ed  è il secondo paese in Europa con il minor numero di rifugiati. La Spagna  ha approvato un emendamento alla legge sugli stranieri;  secondo la legislazione spagnola, attraverso il concetto giuridico di “rifiuto alla frontiera” è legale espellere uno straniero  migrante, anche quando è già in territorio spagnolo. 

Secondo alcuni i rimpatri e le espulsioni  senza garanzie procedurali costituiscono una chiara violazione del diritto europeo e internazionale e mettono a serio rischio di abusi i richiedenti asilo; secondo altri sono una delle soluzioni per gestire un fenomeno imprevedibile quando fu elaborata la normativa e i richiedenti in asilo entro l’Europa erano europei. Sono vere entrambe le affermazioni. La seconda si basa sul fatto che l’Europa, durante e specialmente dopo la seconda guerra mondiale ha visto muoversi al suo interno popoli interi, o perché volevano trovare rifugio in uno Stato coerente con la loro etnìa, o perché respinti da Stati per cui costituivano una minoranza, come gli italiani  nella ex-Jugoslavia.

In assenza  di una politica dell’Unione Europea che sia contemporaneamente concordata ed efficace, la Spagna  intende ridurre allo stretto indispensabile il flusso di stranieri non desiderati, dando asilo solo a stranieri provenienti da paesi in guerra e che fuggono da persecuzioni e massacri. Coerentemente,  ha modificato la prassi di accesso a Melilla aprendo anche un ufficio di valutazione: ad esempio  i Siriani potranno presentarsi al valico di frontiera terrestre ed entrare nell’enclave mostrando il passaporto. Una volta a Melilla, diventano ospiti nel CETI – Centro di Accoglienza Temporaneo – e aspettano di essere trasferiti nella Penisola, seguendo lo stesso processo dei migranti subsahariani.  La Spagna è solo un paese di transito nel tragitto migratorio verso la Germania, la Danimarca e la Norvegia, tuttavia la sua funzione di filtro si rieprcuote per tutta la UE.

“Le persone che vivono al di fuori di tutto il perimetro di confine e nel CETI non sono richiedenti asilo e non hanno diritto all’asilo”, ha ribadito il ministro degli interni  spagnolo nel 2015 durante l’inaugurazione dell’ufficio,  riconoscendo l’immigrazione irregolare motivata da circostanze economiche o sociali un “dramma”, ma ribadendo: “non legittima questi cittadini ad avere protezione internazionale”.  Secondo il governo spagnolo, quindi, la presenza in territorio spagnolo non precostituisce alcun diritto. Evidentemente la Spagna  ha analizzato le conseguenze di politiche diverse seguite da altri Stati, che stanno destabilizzando altri paesi d’Europa sempre di più man mano che il fenomeno progredisce e le differenze conflittuali si manifestano.

Le strutture spagnoe aperte sono due, a Ceuta e Melilla, e le due città autonome spagnole in Marocco sono così  le uniche porte d’ingresso in Europa via terra dove sia possibile chiedere asilo  per chi arriva dall’Africa. La proposta realizzata è parte del nuovo piano di sicurezza nazionale spagnolo. “Una nuova arma per sconfiggere l’immigrazione irregolare in transito dall’Africa”, annunciò Jorge Fernández Diaz, ministro dell’interno spagnolo, presente a Melilla all’inaugurazione della struttura, che è entrata in funzione grazie all’UNHCR.

L’inaugurazione del nuovo ufficio di asilo nel valico di frontiera di Beni Enzar a Melilla aveva il compito di facilitare l’accesso alle procedure legali da parte dei cittadini in transito in Marocco in fuga da guerre e conflitti. La città spagnola di Melilla vide cambiare notevolmente il flusso migratorio in entrata. Dal mese di settembre 2014 al marzo 2015 ci furono  più di 1.350 richieste di protezione a Melilla – secondo i dati diffusi da UNHCR – che paragonate alle 41 del 2013 erano  una valanga. La maggior parte delle domande erano  di cittadini siriani, con una piccola percentuale di iracheni e palestinesi.

Nei mesi seguenti aumentò  notevolmente il numero dei siriani che arrivavano in Spagna. Se fino a marzo 2015  entravano a Melilla dai valichi di frontiera con passaporti falsi marocchini o semplicemente filtrando attraverso la folla del “commercio atipico” nelle ore di punta per poter  transitare per la Spagna regolarmente.  Si può essere a favore o contro il provvedimento, ma almeno dimostrava la volontà di filtrare le richieste d’asilo vere e quelle fittizie. Filtraggio non attuato in altri Stati della UE, con le conseguenze disatrose del caso, perché la notizia si sparge e il numero di extraeuropei che entra in Europa continua a crescere, e l’espulsione implica una organizzazione costosa che molti politici semplicemente non riescono neanche a concepire. Anche per questo adesso molti guardano alla Presidenza Trump: se riuscirà ad espellere circa il 4 % dei residenti negli USA sarà provato che è possibile e in Europa molti politici proporranno gli stessi metodi; sicuramente tutti illegali per il diritto della Unione Europea!

A una facilitazione per i meritevoli di asilo di Melilla corrispondeva un aumento delle difficoltà per i non aventi diritto: vennero irrobustite  le barriere fisiche (la Spagna non ha, come Italia e Grecia, un ampio braccio di mare che la separa dall’Africa, perché Melilla è in Africa, e ricorre ad altri ostacoli);  anche  il Marocco ha ultimato  le  barriere per difendere l’enclave spagnola di Melilla. Si tratta di due recinzioni alte nove metri, vigilate con torrette, dotate di accessori taglienti, e a questo si aggiunge l’uso della violenza necessaria per respingere coloro che tentano di scavarcarle. Tuttavia, se le barriere di Ceuta e Melilla hanno dimostrato qualcosa, è che il movimento delle persone può sì esser reso più difficoltoso, ma non può essere impedito usando i metodi “moderati” o conformi al diritto UE.

Si tratta di barriere che “vogliono far male”; esiste una  ulteriore parte  di lame e filo spinato per rendere più difficile, intralciare ed impedire il passaggio dei migranti che tentano di entrare a Melilla “saltando” il recinto spinato di protezione.  La società spagnola è anch’essa divisa tra xenofobi e xenofili. Una parte della società  spagnola continua a definire illegali i respingimenti, con denunce, petizioni e campagne. Un’altra parte appoggia il Governo perché non vuole ritrovarsi con  minoranze straniere ingestibili e inassimilabili, come si è già verificato in altri Stati  europei i cui Governi  non hanno saputo, o voluto, gestire il problema. In  Spagna, pur se il braccio di mare che la separa dall’Africa può essere superato da una barca a remi, gli “sbarchi” di clandestini sono praticamente assenti e i numeri degli ingressi non voluti sono una frazione di quelli di altri Stati  europei.

Conciliare la scelta del governo spagnolo, che definisce chiaramente chi ha diritto all’asilo e respinge chi non lo ha, con quella di altri Stati europei che hanno abbandonato anche la parvenza dei  tentativi di regolare gli ingressi e a giorni alterni reclamano che se ne faccia carico l’Unione Europea, appariva già dieci anni fa impossibile.  Gli Stati dell’Europa occidentale, nord e sud, si trovavano già dieci anni fa  a dover affrontare un problema di profughi, o entranti, o clandestini che dir si voglia, extraeuropei con normative concepite dopo l’esperienza di una guerra civile europea devastante che produsse milioni di profughi, ma tutti europei. Tutti desiderati, o almeno accettati comunque perché ritenuti omogenei come cultura e fenotipo,  dagli Stati di destinazione, e tutti perfettamente assimilati dopo qualche decennio nelle comunità di arrivo. Tutti costretti a cambiare Stato dalla guerra,  affatto desiderosi di spostarsi,  e senza alcuna prospettiva di assistenza sociale; caratteristiche radicalmente differenti da quelle di  una percentuale degli extraeuropei che sono entrati e  entrano in Europa. Poiché la Russia ha una sua prassi  di gestione degli ingressi illegali, in Europa spetta alla parte occidentale decidere cosa intenda fare e come intenda agire. In mancanza di scelte  attive la spinta di coloro che intendono  far rialzare le frontiere negli utlimi dieci anni è divenuta  inarrestabile. Le conseguenze purtroppo non sono state caricate   sulle spalle dei leader politici europei  incapaci di gestire la tentata immigrazione, ma le pagano gli europei (intndiamo quelli di  origine) con una crescita della conflittualità tra popoli residenti sullo stesso territorio. E le soluzioni proposte diventano sempre più contrarie al diritto dell’Unione Europea : ormai in Germania e altrove si propone esplicitamente l’espulsione di milioni di immigrati ma è indispensabile prima modificare il diritto UE e poi costruire una organizzazione adeguata, processi lunghi e costosi, tanto più costosi quanto più il tempo passa e il numero di entrati in Europa aumenta. Anche se nel 2044 Donald Trump ha vinto le elezioni presidenziali principalmente perché ha promesso di espellere  milioni di immigrati, si richiederà agli USA un impegno organizzativo enorme per realizzarlo: si tratta di trovare, arrestare ed espellere fisicamente una media di 250.000 persone al mese per 4 anni! . Anche il centro  destra in Italia le vinse nel 2022 promettendo il blocco dell’immigrazione; il numero di espulsi effettivi è di circa 4.000 l’anno, e  il tentativo di creare una piccola dissuasione con il detenerli in Albania sta naufragando nel ridicolo perché la magistratura applica le leggi in vigore e nessuno ha pensato che fosse necessario modificarle, e anche pesantemente, il che avrebbe dovuto essere la priorità. A partire dalla modifica dell’art.10 della Costituzione.

Già nel 2015   Sarkozy, commentando a caldo i risultati delle elezioni in Francia, sintetizzò efficacemente i risultati dichiarando  che il voto di allora in Francia mostrava   “la profonda aspirazione dei francesi a un cambiamento chiaro”.  Affermazione indiscutibile:  il Fronte Nazionale propugnatore di una politica decisa di regolazione degli ingressi di extraeuropei saliva ulteriormente al  26% (dal 15% nel 2011), il partito di Sarkozy  era al 29% e il partito al governo, parte della “sinistra storica del XX secolo” scendeva al 21%.  Negli anni seguenti, e fino ad oggi, la salita dei partiti anti-immigrazione è continuata, frenata solo da due fattori: la cittadinanza, con relativo diritto di voto, conferita a tanti immigrati che votano e la separazione degli elettori di origine francesi in xenofobi e xenofili. Fattori presenti in tutti gli Stati della UE.

Quel che stupisce è che l’evoluzione odierna era già evidente dieci anni fa, eppure non è stato fatto nulla. Sembra quasi che la politica si muova “per catastrofi”, cioè non si fa nulla per bloccare un processo che si sa che avrà effetti catastrofici finché la catastrofe non si realizza.

Alberto Perotti

Data:

14 Dicembre 2024