
La direzione della mentalità e degli atteggiamenti è cambiata. Secondo Zygmunt Bauman nel suo libro “Retrotopia”, abbiamo invertito la rotta e navighiamo a ritroso. In un futuro difficile da immaginare, il passato viene rivalutato come spazio in cui le speranze non sono ancora screditate. Viviamo gli anni della retrotopia.
Le frustrate speranze di miglioramento, che erano state riposte in un futuro incerto e inaffidabile, -soprattutto dopo i dazi che Trump ha imposto su tutto il resto del mondo con criteri totalmente imprecisi ed arbitrari-, che si rivela molto pericoloso (nel mondo si contano ben 60 guerre e conflitti), sembrano rivolte a un passato considerato per la sua presunta stabilità e grandezza.
In Occidente, il futuro, da luogo naturale di speranze e aspettative più che legittime, si è trasformato in un futuro da temere, dal terrore di perdere il lavoro e lo status sociale, mentre le nuove generazioni, dal binomio benessere-prestigio, rischiano di ritrovarsi o senza lavoro o nella più totale precarietà, con abilità che hanno perso qualsiasi valore di mercato. La via del futuro sembra andare in un sentiero di degenerazione se non di corruzione dei valori e dei principi.
Che cosa hanno in comune Trump e Putin, Erdogan e Netanyahu, Meloni, Salvini e Orbán passando per Bolsonaro, Milei e Bukele? A renderli simili c’è l’impianto dei loro sistemi politici, quella “democrazia illiberale” che rompe i confini della distinzione dei poteri, che si oppone alla magistratura di cui contesta l’indipendenza e le decisioni, censura stampa e opposizione, che trasforma le elezioni in termometri politici in cui l’affluenza conta meno dei risultati. Ma non sono solo gli elementi procedurali ad accomunarli. Ci sono anche le loro storie, le comuni traiettorie che hanno portato molti di loro a trasformarsi da campioni della democrazia liberale ai suoi attuali più temibili nemici, quelli che potrebbero davvero liquidarne l’esperimento storico.
Quella che era una sparsa destra populista adesso appare strutturata da un telaio di relazioni tra partiti, think-tank, opinionisti, fondazioni e poderosi finanziatori: lo spettro di una Internazionale illiberale è in fieri e si prepara a sferrare dei colpi “mortali” alla democrazia.
Ma se queste sono le traiettorie di ieri e di oggi, qual è il futuro della pericolosamente emergente internazionale illiberale? Uno spettro si aggira per l’Europa e per il mondo: la democrazia illiberale. Ma che cos’è la democrazia illiberale? Perché sta diventando sempre più centrale nei dibattiti odierni? È possibile coniugare democrazia e illiberalismo?
Coniata all’inizio degli anni Novanta dal giornalista americano Fareed Zakaria, ma in realtà con una lunga storia alle spalle, l’espressione “democrazia illiberale” nasce come una categoria descrittiva impiegata da opinionisti e analisti politici per dare senso a un ampio spettro di regimi molto diversi tra loro ma accomunati da un unico obiettivo: utilizzare le procedure elettorali per portare avanti posizioni politiche liberticide.
In realtà, la filosofia della democrazia illiberale ha antecedenti importanti nel mondo premoderno e nel pensiero antilluminista otto-novecentesco, ma è soltanto recentemente che essa si è trasformata in una categoria fondamentale di interpretazione della politica internazionale e successivamente, soprattutto negli ultimi anni, in una vera e propria filosofia politica militante coltivata da alcuni ideologi e leader del populismo.
Sulla base dell’esperienza recente, la formazione di autocrazie dipende da due fattori, che a loro volta sono tra loro correlati: il livello di sviluppo socioeconomico e il livello di consolidamento delle istituzioni democratiche. In altre parole, le democrazie di più lunga durata e con economie avanzate si sono finora dimostrate resilienti, mentre le democrazie di più recente instaurazione e con economie in via di sviluppo si sono dimostrate più instabili.
Naturalmente, tale riflessione deve essere inserita all’interno del contesto internazionale liberale, sempre più incalzato da sfide impegnative; l’atteggiamento illiberale che si sta instaurando negli Stati Uniti con la presidenza di Trump, insieme con la Cina e la Russia come stati imperialisti (basta vedere la guerra di aggressione della Russia sull’Ucraina e indirettamente sull’Europa, così come le minacce sempre più consistenti della Cina su Taiwan) rappresenta una sfida per il futuro della pace nel mondo, oltre che dell’ordine democratico nel suo complesso, in particolare per l’Europa che per molti versi è un cardine indispensabile di quest’ordine.
Se diversi sono i fattori da considerare per comprendere l’effettiva portata della sfida fra queste stati che aspirano all’egemonia culturale e politica, sebbene si tratti di potenze “revisioniste” rispetto agli attuali assetti internazionali, anche se le loro traiettorie e i loro obiettivi non coincidono né sono compatibili, i motivi di saldatura fra loro risiedono nell’ egemonia che vogliono instaurare nel mondo grazie alla superiorità economico-militare, basata sulla forza e sulla coercizione.
Dal nostro versante filosofico, anche se il termine “democrazia illiberale” è in auge da qualche anno, essa presenta a livello concettuale un carico di problematicità non trascurabile. Se la teoria delle ondate e dei riflussi di Samuel Huntington ha senz’altro il merito di cogliere alcune dinamiche macro -corsi e ricorsi storici nella diffusione globale della democrazia-, non deve essere presa come una profezia che si autoavvera. Infatti, se l’epoca contemporanea può essere correttamente interpretata come una nuova fase di riflusso, non c’è nessuna ragione – in base alla teoria di Huntington – di ritenere che tutte le democrazie siano in pericolo né che alcune democrazie siano del tutto sicure.
All’orizzonte si intravedono almeno due problemi. Il primo è pratico e riguarda i leaders populisti e sovranisti che hanno costruito la propria ascesa sulla progressiva e sistematica cancellazione dello stato di diritto, fino ad arrivare alla cancellazione dalla scena politica dei propri potenziali avversari (per esempio, il presidente russo Putin che elimina sistematicamente i propri avversari con mezzi violenti, il veleno, l’incarcerazione, come nel caso dell’avversario politico Navalny o Recep Tayyip Erdoğan che ha recentemente fatto incarcerare il suo maggiore avversario nelle prossime elezioni per la presidenza della Turchia, Ekrem İmamoğlu’).
Il secondo problema è ancora più profondo e ha a che fare con la natura stessa di questi regimi. Al contrario delle identità liquide dei sistemi liberali, che cambiano e si sovrappongono, questi regimi hanno strutturato la propria ragion d’essere su identità narrate e riconfigurate dall’alto, radicate spesso in passati ancestrali e mitizzati, appoggiandosi sulla religione, come Putin e Trump, che addirittura invocano Dio per legittimare le loro ambizioni autocratiche. E poiché l’identità si alimenta nel confronto e nella divisione fra un “noi” e un “loro”, il campo del “loro” è costituito dall’odiosa “dittatura liberale”, per dirla con Putin e Orbán, dalla decadente Europa e, fino alla vittoria di Trump alle ultime elezioni americane, dall’arrogante America.
È questo il vero problema dell’idea illiberale. Ha sempre bisogno di un grande nemico per esistere. E l’opposizione, quando esiste, non è solo l’avversario politico, cui opporsi con le leggi ed i diritti, ma il nemico da combattere e quando non si può batterlo, va eliminato con ogni altro mezzo, legale o no. I decreti sicurezza del Governo Meloni vanno in questa direzione: contenere fino ad eliminare le proteste, siano essere dei lavoratori, degli studenti, nelle università, nelle fabbriche e nelle carceri, in una parola, imbavagliare e neutralizzare la società civile.
Sono i simboli incarnati della nuova grande onda ideologica del momento, denominata “nazionalismo”, o “sovranismo”, che Zygmunt Bauman ha definito Retrotopia. Da Vladimir Putin a Erdogan, passando per l’ungherese Viktor Orbán e dall’Italia di Meloni e Salvini, dagli Stati Uniti di Trump alla Cina di Xi Jinping dopo la riforma della leadership, queste autocrazie guardano al futuro con le “retrotopie” del passato: il grande impero sovietico-zarista, la gloria ottomana, le mitologie guerriere dell’Ungheria o gli Stati Uniti, da rendere GREAT AGAIN.
Non a caso, il premier israeliano ha scelto proprio l’Ungheria per il suo primo viaggio in Europa dopo la condanna della Corte penale internazionale. Più o meno nelle stesse ore in cui Donald Trump si preparava a rivelare i dettagli dei suoi piani di guerra commerciale contro il resto del mondo, a cominciare dall’Unione europea, Benjamin Netanyahu faceva rotta verso Budapest. Per il suo primo viaggio in Europa da quando, l’anno scorso, la Corte penale internazionale ha emesso un mandato d’arresto contro di lui, il primo ministro israeliano ha scelto infatti l’Ungheria di Viktor Orbán, che ha annunciato proprio durante il loro incontro, come dono di benvenuto, l’uscita del paese dalla CPI.

Netanyahu sta facendo del suo meglio, tra un bombardamento su Gaza e un attacco alla Cisgiordania e ai paesi vicini, per trasformare Israele in una democrazia illiberale sul modello ungherese, sostituendo il capo dei servizi segreti, nonostante un pronunciamento contrario della Corte suprema, all’indomani di un’inchiesta su due suoi stretti collaboratori e con una legge mirata ad aumentare l’influenza del governo di estrema destra sulle nomine dei giudici. È il modello seguito negli Stati Uniti da Donald Trump, non per niente il principale sostenitore di Netanyahu, con il suo osceno piano di deportazione e ristrutturazione rivierasca esclusivamente affaristica per Gaza.
Nel frattempo, la trasformazione degli stessi Stati Uniti in una democrazia illiberale di tipo orbaniano procede a ritmo serrato. Negli ultimi giorni Trump ha preso di mira le principali università e i maggiori studi legali, oltre ovviamente alla stampa, tagliano i fondi a Columbia, Harvard, Princeton, firmando ordini esecutivi che impediscono ai principali studi legali di poter entrare negli edifici federali e di avere rapporti con il governo, e facendo cause milionarie ai media liberi allo scopo di intimidirli.
A ben guardare, l’’analfabetismo economico di Trump ha tre chiavi di lettura: la prima è che i dazi di Trump esprimono le ambizioni scopertamente imperiali della sua politica estera, la seconda è che sono strumenti punitivi, sanzionatori e ricattatori, la terza è che sono l’espressione di un atteggiamento suppostamente virile e decisionista. Da questo punto di vista, lo spettacolo più ripugnante è quello offerto dai multimiliardari delle piattaforme, a cominciare da Elon Musk. Nel caso degli sceicchi del web è difficile dire fino in fondo chi obbedisca a chi, ma certo la finanza e la politica si intersecano e si incontrano per opportunismo e per gli interessi incrociati.
Fra tutte queste autocrazie, al di là dei simboli e delle retoriche, le analogie ci sono. Loro se ne sono accorti prima di tutti, e infatti si avvicinano sempre di più. Le tendenze filo-putiniane dell’Ungheria di Orbán sono da tempo la spina nel fianco di Bruxelles. Per quanto non si possa prevedere quanto possa durare l’avvicinamento attuale tra Putin e Trump, certamente la loro prima vittima sarà l’Ucraina, contro la sua voglia di libertà e di democrazia, insieme con il sacrificio e l’abnegazione dell’intera società ucraina.
Storicamente, la democrazia è sempre stata associata alla giustizia sociale. Lo stesso non può dirsi di coloro che difendono la democrazia illiberale tra i populisti di destra, giacché non c’è nessuna giustizia sociale nell’idea di utilizzare il nome della democrazia per attaccare delle minoranze e promuovere un’idea di società che esclude piuttosto che includere, siano essi i poveri, i giovani, le donne, i vecchi, i migranti.
Come possiamo difenderci dalle chiare derive autoritarie implicite in regimi i cui fautori teorizzano e difendono la disuguaglianza?
Ripercorrendo i momenti salienti di questa storia, è possibile una critica dell’utilizzo contemporaneo del concetto di democrazia illiberale, sia come categoria storico-politica che, come ideale normativo o slogan della politica attiva, mira a decostruire questo concetto dall’interno. La difesa della democrazia liberale contro ideologi e politici populisti, dove tornare a riscoprire il nucleo storico originario dell’ideale democratico, quello, cioè, di essere un governo dei poveri e dei meno privilegiati, un governo di tutti.
Ma possiamo considerare la democrazia illiberale come una nuova forma di stato? Se la formula è sicuramente inadeguata per connotare una pluralità di esperienze molto diverse tra loro, che giustificano l’esistenza di molteplici regimi non-liberali (o a-liberali), tuttavia, alle democrazie illiberali non sembra possibile attribuire un valore assiologico, poiché si riferiscono ad esperienze degradate, che esprimono una forma di “costituzionalismo abusivo”, per le quali è inaccettabile la qualificazione in termini di modello. (D. Landau)

Le componenti giuridico-costituzionali di questa forma di “democrazia illiberale” sono ancora indeterminate, ma, mentre procedono alla limitazione della sfera dei diritti fondamentali e della sostanziale vanificazione della rule of law, con modalità differenti e nella maggior parte dei casi non attraverso riforme costituzionali (anche se in certi casi, come in Ungheria, Turchia, Russia, questo è avvenuto), portano ad una costituzione vivente che si allontana di molto da quella formale.
Mentre A. Di Gregorio considera un ossimoro l’espressione “democratura”, A. Spadaro considera tale solo l’endiadi “costituzionalismo illiberale”. R. Toniatti ritiene che una democrazia illiberale non potrebbe non essere considerata come un ossimoro estraneo ai fondamenti assiologici del costituzionalismo europeo.
E tuttavia, quando si parla di democrazia illiberale si usa sempre un ossimoro, non potendosi scindere la democrazia dalla libertà oltre che dal costituzionalismo. Evocare la nozione di democrazia quando si parla d’altro è un abuso, si tratta sempre di sistemi non democratici, nei quali il livello di compressione delle libertà e del maggiore o minore autoritarismo nell’esercizio del potere politico può variare.
Ciò evidenzia la necessità di dotarsi di strumenti atti a contrastare efficacemente qualsiasi slittamento all’interno dell’Unione, proponendo un modello solido, credibile e coerente con i valori fondativi, limitando le possibilità del verificarsi di uno scenario simile a quello di un’Unione “a due democrazie”.
In definitiva, la consistenza della democrazia illiberale è quella di un regime autoritario in fase di emersione o consolidamento (X. Philippe), si tratta cioè di un puro regime illiberale anche se di intensità differente da quello totalitario (C. Pinelli). Ciò equivale alla negazione di qualunque validità al concetto sul piano del diritto costituzionale.
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BIBLIOGRAFIA
Alessandro Mulieri, Contro la democrazia illiberale, Storia e critica di un’idea populista, Donzelli, Collana Saggine 2024
A. Spadaro, Dalla “democrazia costituzionale” alla “democrazia illiberale” (populismo sovranista), fino alla…. “democratura”
From “constitutional democracy” to “illiberal democracy” (sovereign populism), up to…. “Democrature” Vol. 44 No. 3 (2020): DPCE Online 3-2020 /
Roberto Toniatti La rilevanza della Corte costituzionale italiana in prospettiva comparata, CONSULTA ONLINE, 2021
Lo spazio ex sovietico tra” costituzionalismo” euroasiatico e condizionalità europea, A Di Gregorio – Diritto pubblico comparato ed europeo, 2023 – rivisteweb.it
Samuel Huntington, La terza ondata. I processi di democratizzazione alla fine del XX secolo, Il Mulino, 1995
Zygmunt Bauman, Retrotopia, Laterza, 2020
Fareed Zakaria, The Future of Freedom: Illiberal Democracy at Home and Abroad, WW Norton & Co, 2007
Per chi avesse interesse alle precise caratteristiche del modello ungherese, la cattura delle istituzioni e delle autorità indipendenti sia funzionale alla corruzione e alla vera e propria spoliazione del paese: Questo tipo di corruzione è in gran parte legale, perché le leggi, i contratti e le norme sugli appalti sono scritti in modo da renderla possibile. E anche se fosse illegale, i pubblici ministeri controllati dal partito non aprirebbero alcuna indagine. Ma le dimensioni della corruzione sono tali da distorcere l’intera economia.