In questi giorni i miliziani dello stato islamico hanno lanciato un violento assedio a Kobane, a ridosso del confine con la Turchia, dimostrando ancora una volta di disporre di competenze logistico-militari sufficienti per allargare il proprio territorio ed estendere l’egemonia del Califfato nella regione.
E, in Turchia, il clima è sempre più teso. Nelle ultime ore, almeno 12 persone sono morte nel corso delle proteste dei manifestanti curdi avvenute in varie località del Paese, soprattutto nelle province sud orientali curdofone.
I dimostranti oltre a denunciare la situazione a Kobane, chiedono la creazione di una Stato Curdo e la liberazione del leader Ocalan. Manifestazioni simili si sono svolte in tutta Europa e anche alla sede del Parlamento Ue dove una settantina di curdi hanno fatto irruzione brandendo bandiere di Ocalan al grido di “Isis terroristi, turchi terroristi”.
Kobane è sotto assedio da ormai tre settimane. E si perpetrano sotto gli occhi di tutti massacri, strage e indicibili violenze. Ci sono 400 mila abitanti, sono tutti curdi e si difendono tutti con grande coraggio.
Da più di due anni l’ISIS combatte nella guerra civile siriana contro il presidente sciita Bashar al Assad, e da circa un anno ha cominciato a combattere non solo le forze governative siriane ma anche i ribelli più moderati, creando di fatto un secondo fronte di guerra. L’ISIS è un’organizzazione molto particolare: definisce se stesso come “stato” e non come “gruppo”. Usa metodi così violenti che anche al Qaida di recente se ne è distanziata. Controlla tra Iraq e Siria un territorio esteso approssimativamente come il Belgio, e lo amministra in autonomia, ricavando dalle sue attività i soldi che gli servono per sopravvivere.
Teorizza una guerra totale e interna all’Islam, oltre che contro l’Occidente, e vuole istituire un califfato non si sa bene dove: ma i suoi capi sono molto ambiziosi. Oggi l’ISIS continua a guadagnare terreno a Kobane. I jihadisti hanno conquistato altri tre quartieri nella zona orientale, quella da cui i miliziani sono riusciti a penetrare, della città a maggioranza curda.
Le milizie del Kurdistan sono assediate dai membri del movimento terroristico e non riescono a frenare la marcia degli uomini in nero che lunedì hanno issato la bandiera nera, simbolo del gruppo, su una collina che sovrasta la città. A Kobane oltre 400 persone sono rimaste uccise in 20 giorni di combattimenti e in massa – uomini, donne e bambini – si stanno muovendo verso la Turchia.
Secondo gli attivisti dell’Osservatorio siriano per i diritti umani, Ong con sede a Londra, tra le vittime si contano sia jihadisti sia militanti curdi, come anche civili. Stando all’Osservatorio, sono 412 le vittime appurate degli scontri, ma i morti potrebbero essere di più.
“La comunità internazionale deve intervenire subito”, a lanciare l’allarme è l’Onu, prima tramite l’inviato in Siria Staffan de Mistura, poi tramite il segretario generale Ban Ki-moon che si è detto preoccupato per la sicurezza dei civili. L’ex generaleJohn Allen, inviato speciale del presidente Obama, e il sottosegretario Brett McGurk, discuteranno della strategia della Coalizione contro l’Isis con i responsabili turchi nei prossimi giorni in Turchia. Lo scrivono i media arabi. A noi, per ora, non resta che osservare gli eventi e aspettare col fiato sospeso quello che tra un giorno, una settimana, un mese accadrà.