René Magritte: Il falso specchio, 1928
Lo spazio intorno a lei le sembrava arginato da dune, dove le onde del mare si tuffavano sulla riva di sabbia e la spensieratezza dei bagnanti era accompagnata da maliziosi sorrisi. Le montagne invadevano lo spazio, pretenziose si ergevano verso l’alto, imprigionando e costringendo lo sguardo ad osservare l’involucro della terra, piuttosto che la bellezza e l’infinitudine dell’orizzonte.
Lei si ritrovò, improvvisamente, dopo un lungo cammino, nell’arido deserto: il vento spazzava oltre la rena rendendole difficoltosa la salita. Tutto intorno a lei, era concentrato lì, in una matassa, dove i colori, i luoghi che entravano in contrasto e in dissonanza tra di loro, creavano uno spazio idilliaco, ma soffocante.
Tentava di respirare un’aria non respirabile nella natura severa e cruda dei sogni. Invano era il desiderio di mortificare e maltrattare quella parte infantile di sé che esercitava violenza e rabbia: fu così che decise di scaraventarla a terra con forza. Il colpo non fu letale, ma avvertì che di lì a poco si sarebbe rinchiusa, di nuovo, nella prigione della colpa.