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Londra, ecco i volti e i nomi dei terroristi

cms_6429/terroristi_londra_tw.jpgScotland Yard ha diffuso i nomi e rilasciato le immagini di due degli attentatori che sabato notte hanno condotto l’attacco terroristico di Londra. Si tratta di Khuram Butt, 27 anni, sposato con dei figli che ha vissuto a Barking, per diversi anni. E di Rachid Redouane, 30 anni.

Il capo dell’antiterrorismo britannico, Mark Rowley, ha confermato che Butt era noto ai servizi di sicurezza, ma non c’era alcuna prova che stesse “pianificando degli attacchi”. Secondo i media britannici è lui l’uomo che appare in un documentario di Channel 4 mentre srotola una bandiera dello Stato islamico a Regent’s Park, a Londra.

Butt era sostenitore del gruppo islamista al-Muhajiroun, organizzazione terroristica salafita messa al bando nel Regno Unito che lo scorso mese faceva campagna a Londra contro la partecipazione alle elezioni politiche. Secondo le testimonianze della gente di Barking, nella parte est di Londra, dove risiedeva, il 27enne – figlio di una coppia di Jhelum, nella provincia pachistana del Punjab – è cresciuto in Gran Bretagna, è anche diventato tifoso dell’Arsenal, tanto che indossava la maglietta della squadra durante l’attacco. A quanto pare, parlava con accento londinese.

Putin: “Russiagate? Una stupidaggine”

cms_6429/putin_1_afp.jpg“Questo è solo un altro carico di stupidaggini”. Così Vladimir Putin ha risposto, nell’intervista andata in onda la notte scorsa sulla Nbc, alla domanda riguardo alle presunte informazioni compromettenti su Donald Trump che sarebbero in mano alla Russia.Come fa ormai quotidianamente, il presidente russo ha bollato tutta la vicenda del Russiagate come un “nonsense”, una stupidaggine, sottolineando di non aver mai incontrato personalmente Trump durante i suoi viaggi da imprenditore in Russia. Ed ha poi ricordato che al momento vi sono circa 100 manager di società americane in Russia.

“Pensate che stiamo raccogliendo informazioni su tutti loro in questo momento, o cosa? Ma avete tutti perso la ragione?”, ha incalzato il presidente russo che nei giorni scorsi ha suggerito a chi gli chiedeva del Russiagate di prendere una pillola anti-isteria.

E per quanto riguarda il rapporto con cui l’intelligence Usa lo scorso gennaio ha concluso che la Russia ha orchestrato gli attacchi hacker contro i democratici, finendo per aiutare l’elezione di Trump, Putin ha sentenziato che gli 007 americani sono stati “tratti in inganno”.

“E poi non hanno analizzato le informazioni nella loro interezza – bacchetta gli ex colleghi americani l’agente del Kgb diventato presidente – io non ho visto, neanche una volta, nessuna prova diretta di interferenze russe nelle elezioni presidenziali“.

Nell’intervista, Putin ha poi ripetuto quello che ha detto già altre volte riguardo alla matrice degli attacchi hacker: “Gli hacker possono essere ovunque, in Russia, in Asia e persino in America ed America Latina – ha affermano – vi possono essere anche negli Stati Uniti che in molto abile e, diciamo, professionale hanno scaricato la responsabilità sulla Russia”.

Crisi del Golfo Persico, ecco cosa c’è dietro

cms_6429/mano_mouse_AFP.jpgDietro la nuova, preoccupante, crisi nel Golfo Persico, c’è l’ombra di un mistero con tutti gli ingredienti della nuova geopolitica: hacker, leak e sospette fake news.Nei giorni e nelle ore immediatamente precedenti all’annuncio con cui Arabia Saudita, Bahrein, Egitto e gli Emirati Arabi Uniti hanno reso noto il taglio delle relazioni con il Qatar, accusato di finanziare il terrorismo, sono state infatti pubblicate mail rubate all’ambasciatore a Washington degli Emirati, Yousef al Otaiba, considerato l’uomo che ha cementato la forte alleanza tra Washington e gli Eau nella lotta allo Stato Islamico.

Le mail sono state inviate a testate come ’Daily Beast’ e ’Huffington Post Usa’ da un gruppo hacker che si è presentato come “GlobalLeaks” e che ha dichiarato l’intento di dimostrare come “piccoli Paesi molto ricchi o società usano lobbisti per danneggiare gli interessi americani e quelli dei loro alleati”.

I documenti pubblicati nei giorni scorsi, con l’ultimi gruppo di mail diffuso proprio ieri, sono principalmente messaggi di Otaiba con interlocutori americani o basati a Washington con cui spinge affinché gli Stati Uniti prendano le distanze politiche dal Qatar. Interpellata dal ’Daily Beast’, l’ambasciata del Qatar a Washington ha confermato che l’indirizzo mail che appare nei messaggi è del capo delegazione, che si muove con grande abilità nei circoli della capitale americana, tanto da essere soprannominato “the most charming man in Washington”.

Nell’ultimo gruppo di documenti pubblicati, scrive l’’Huffington Post Usa’, vi sono mail tra Otaiba e funzionari dell’ex amministrazione democratica, analisti dell’Atlantic Council, think tank che riceve finanziamenti emiratini. Ma anche con Elliott Abrams, diplomatico rimasto coinvolto e condannato per lo scandalo Iran-Contra, poi graziato dal presidente Bush padre e diventato un consigliere influente di Bush figlio. Vicino ad alcuni esponenti dell’amministrazione, Abrams era apparso anche tra i candidati all’incarico di vice segretario di Stato.

Nei giorni scorsi erano già state pubblicate le prime mail private di Otaiba, anche all’ex ministro della Difesa delll’amministrazione Obama, Robert Gates, in cui veniva espresso il desiderio che gli Stati Uniti chiudessero la loro base militare in Qatar e criticassero pubblicamente la politica qatarina. Tra le mail pubblicate dall’’HuffPost’ – che afferma di aver confermato l’autenticità di almeno 6 messaggi – una del febbraio 2015 in cui Otaiba inoltrava ad Abrams un post dell’Atlantic Council in cui si suggeriva che il Qatar stesse intervenendo in Egitto a sostegno dei Fratelli Musulmani con l’obiettivo di destabilizzare il governo.

Abrams ha confermato di essere amico da anni dell’ambasciatore emiratino e di scambiare con lui mail regolarmente e che “la politica estera del Qatar è oggetto di molte di queste mail, ma dopo 15 anni non abbiamo visto molti cambiamenti nella politica”.

Un’altra delle mail confermata come autentica risale al luglio 2015, quando un analista dell’Atlantic Council raccomandava all’ambasciatore di vedere un documentario sulla bufera per lo scandalo di corruzione che aveva investito la Fifa. “Fifa e Qatar insieme sono il simbolo della corruzione”, rispose Otaiba riferendosi al fatto che il Paese ospiterà i mondiali di calcio nel 2022.

Anche l’analista del think tank Bilal Saab ha ammesso di avere rapporti regolari con il diplomatico, ma si è difeso affermando di averli anche con quelli del Qatar e di aver criticato la campagna per far crescere lo scetticismo nei confronti del Qatar negli Stati Uniti avviata dagli Emirati.

Nei messaggi di accompagnamento alle mail, la fonte ha negato ogni relazione con il Qatar, sostenendo invece di essere un sostenitore del presidente Trump per la sua dichiarata politica di mettere gli interessi americani al primo posto. L’intento – ha affermato ancora l’hacker che a volte scrive al plurale, suggerendo che vi sia gruppo di persone dietro il leak – è di dimostrare come gli Emirati hanno cercato di “manipolare i nostri media”.

I leak, e il clamoroso strappo diplomatico nel Golfo Persico, sono arrivati infatti dopo settimane di guerra mediatica culminata alla fine di maggio, proprio nei giorni immediatamente successivi alla visita di Trump a Riad, con la decisione di Arabia Saudita ed Emirati di bloccare i siti del Qatar, compresi quello di ’al Jazeera’. Una mossa in risposta alle dichiarazioni pubblicate dall’agenzia di stampa statale, nelle quali l’emiro qatarino criticava Donald Trump, descriveva l’Iran come una forza di destabilizzazione e minacciava di ritirare gli ambasciatori.

Lanci che sono stati denunciati come fake news dal Qatar che ha subito denunciato un attacco hacker e avviato un’inchiesta per colpire i responsabili. Lo scontro è apparso subito come la punta dell’iceberg delle pressioni a cui è sottoposta l’amministrazione Trump per la revisione della sua alleanza con il Qatar alla luce del suo sostegno ad Hamas e ai Fratelli musulmani.

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6 Giugno 2017