Domenica è stata una giornata di scontri nella spianata delle Moschee o Monte del Tempio, il luogo più sacro per ebrei e musulmani a Gerusalemme. Il premier Netanyahu aveva deciso la chiusura del sito agli ebrei per evitare il contatto, vista la coincidenza della festa musulmana del sacrificio, Eid al-Adha, con quella ebraica della 9 di Tisha B’Av: se la prima celebra l’atto più profondo di sottomissione a Dio, e quindi il punto focale dell’Islam, la seconda rappresenta un giorno di lutto e digiuno nel calendario religioso luni-solare del Giudaismo. La memoria degli israeliti celebra la distruzione del primo e del secondo tempio – nel 70 d.C., le legioni romane comandate da Tito riconquistarono e distrussero Gerusalemme, compreso il tempio di cui è rimasto solamente il Muro del Pianto – ,ma anche l’ultima grande rivolta giudaica anti-romana con a capo Bar Kochba – durante la rivolta i cristiani si rifiutarono di combattere; dopo la sconfitta di quella ribellione, gli ebrei lo chiamarono Bar Koseba, ossia “il figlio della menzogna” – sotto l’impero di Adriano.
Verso le 9 e 30 in migliaia si sono comunque recati all’ingresso della struttura e ci sono stati scontri con gli agenti. La polizia ha quindi deciso di aprire le porte della spianata ai fedeli ebrei. Davanti al Muro del Pianto c’erano un migliaio di persone in preghiera quando i fedeli ebrei sono saliti sulla rampa che porta all’unico accesso consentito ai non musulmani, scortati dagli agenti di sicurezza. Ma ad attenderli c’erano i musulmani. Pochi minuti dopo c’è stato un lancio di lacrimogeni. Negli scontri sono rimasti feriti 61 palestinesi, 15 dei quali sono stati portati in ospedale. Sarebbero stati colpiti da proiettili rivestiti di gomma, da schegge di granate assordanti e da gas lacrimogeni. Secondo l’agenzia di stampa palestinese Wafa, tra i feriti ci sarebbe anche il capo del consiglio islamico del Waqf, Abdel Azim Salham. La polizia israeliana non ha dato notizie di feriti israeliani.
Intanto, al confine con la Striscia di Gaza un palestinese sparava contro i soldati israeliani e un carro armato israeliano faceva lo stesso a un posto militare di Hamas nella stessa area. L’11 agosto, quindi, non è stato che il culmine di una lunga serie di incidenti a partire dalla mattina di sabato, quando quattro militanti palestinesi sono stati uccisi dalle forze di frontiera israeliane vicino al confine di Gaza. “Abbiamo identificato diversi terroristi di Gaza che si avvicinavano a Israele, armati con fucili d’assalto AK-47, lanciagranate a razzo RPG e granate, una delle quali è stata lanciata contro i soldati – pubblicavano sul profilo Twitter le forze di difesa israeliane – Una volta che i terroristi sono entrati in Israele, le nostre forze hanno aperto il fuoco. I terroristi sono stati neutralizzati”. I quattro erano tutti membri di Hamas: secondo le fonti stampa locali, si tratterebbe di una cellula che dissentiva dalla tacita tregua con Israele mantenuta nella ultime settimane dalla leadership del loro movimento.
Le ricche monarchie del Golfo si sono unite alla Giordania nella condanna di Israele. I vertici del regno saudita si appellano alla comunità internazionale per garantire “protezione” al popolo palestinese dalle politiche “aggressive” di Israele che minano “i diritti” della popolazione. Una simile condanna è arrivata anche dal Qatar. Nei giorni precedenti, il movimento radicale ebraico United Right aveva definito la chiusura del monte del Tempio come una “disgrazia nazionale”. Il ministro dei Trasporti Bezalel Smotrich ammoniva quanti si inchinano “al terrore e alla violenza” degli arabi nel “luogo più sacro per il popolo ebraico” e che ha innescato una “perdita alla radice del potere di deterrenza” verso i palestinesi in molti altri fronti.