All’improvviso, tutto si tinge di viola. Un insolito colore in apparenza magico e affascinante, segno in realtà di un terribile presagio. In pochi attimi, i venti si sollevano e, da impercettibili, assumono potenza e una spaventosa velocità di quasi 200 chilometri all’ora. Subito dopo pioggia torrenziale e onde, maestose, alte, forse, 4 metri. E’ il 9 ottobre 2024. Siamo in Florida. Quella descritta non è la scena di un film, ma l’arrivo distruttivo di Milton, l’Uragano. Milton, Wilma (2005), Katrina (2005), Dorian, (2019), Helen (2024) sono solo alcuni nomi dei più devastati uragani che hanno colpito la Terra negli ultimi anni.
E, dunque, cosa resta da fare? Assistere inermi? Attraverso il prisma della filosofia, possiamo esplorare i significati più profondi di eventi naturali così estremi e interrogarci piuttosto sul nostro rapporto con la Natura, sul nostro posto nel mondo e sulle responsabilità etiche che ne derivano.
I nuovi scenari ambientali ci impongono un ripensamento critico della visione dell’uomo come ‘raptores orbis’, ovvero come un incurante ‘predatore del mondo’, visione che gli riconosce un potere indiscusso all’interno della comunità biotica e il diritto di sfruttare risorse e danneggiare ecosistemi. La crisi climatica mostra la fallacia delle visioni antropocentriche che hanno caratterizzato il pensiero occidentale e invita verso approcci più biocentrici o ecocentrici, più etici e rispettosi. Questa transizione di paradigma è essenziale per affrontare con autenticità le sfide climatiche. L’etica ambientale, espressa da filosofi come Aldo Leopold, ci invita a riconsiderare il valore intrinseco della Natura e la nostra responsabilità nei suoi confronti.
Attraverso il concetto di ‘’etica della terra”, il filosofo attribuisce agli esseri umani la responsabilità di rispettare e preservare gli ecosistemi. La reale misura di un’azione dipende dal suo impatto sulla comunità biotica intesa come l’insieme di piante, animali ed esseri umani.
Nel libro ‘A Sand County Almanac’ Leopold, con straordinaria profondità, scrive: ‘‘La mia convinzione su questo
punto risale al giorno in cui vidi un lupo morire. […] Mi resi conto allora che in quegli occhi c’era per me qualcosa di nuovo, qualcosa che solo il lupo e la montagna conoscevano. A quel tempo ero giovane, e sempre ansioso di sparare; pensavo che meno lupi significasse più cervi, e che nessun lupo equivalesse al paradiso dei cacciatori. Ma quando vidi spegnersi quel fuoco verde intuii che né il lupo, né la montagna, erano d’accordo con una tale visione. Oggi sospetto che proprio come un branco di cervi vive nella mortale paura dei lupi, così la montagna vive nel mortale terrore dei suoi cervi.
E forse per un motivo migliore: perché mentre un cervo ucciso dai lupi può essere rimpiazzato in due o tre anni, un rilievo eroso da un numero eccessivo di cervi potrebbe non essere sistemato in altrettante decadi’’. “Pensare come una montagna” vuole dire, quindi, trascendere e andare oltre il presente, cambiare lentamente nel tempo, valutando e ponderando con attenzione le conseguenze non immediate delle proprie azioni. Significa anche riconoscere il ruolo che ogni specie e ogni elemento naturale ha nel mantenere l’equilibrio ecologico, essendo tutto interconnesso, assumendo un atteggiamento di custodia e protezione nei confronti degli ecosistemi. “Pensare come una montagna” vuol dire, infine, recuperare stabilità e saggezza, riflettendo sulle nostre scelte e sulle loro implicazioni.
Riuscirà l’uomo a convertirsi ecologicamente trasformandosi da padrone a custode della Terra oppure sarà la Natura a dettare l’ultima parola?