E’ un piacere ospitare nel nostro giornale, lo scrittore Umberto Visani, che ci parlerà del suo libro “Mai stati sulla luna?”. Sono trascorsi 50 anni dallo storico allunaggio del 21 Luglio 1969 e sono ancora numerosi i dubbi che aleggiano intorno all’affascinante impresa. Il libro analizza in maniera accurata i punti oscuri, percorrendo in modo deciso e analitico gli aspetti in ombra che circondano la storia.
Visani, grazie per averci concesso l’intervista. Lei fin dall’adolescenza si è interessato di ufologia, archeologia antropologica e criptozoologia. Non proprio argomenti da adolescenti. Lei che adolescente è stato e come ha iniziato ad appassionarsi a questi misteri?
Il mio primo interesse è sorto in età molto precoce, già a 6 anni iniziai a leggere testi sul mostro di Loch Ness e da lì estesi le mie letture a libri che trattassero di altri animali ignoti, dai serpenti marini allo yeti. La fascinazione per gli Ufo è nata poco dopo, a inizio anni Novanta, con la trasmissione televisiva “Misteri” su Rai Tre e la messa in onda della serie di culto X-Files.
Lei è molto giovane, ha già scritto tre libri, collabora per riviste prestigiose nazionali ed internazionali: Ufo International Magazine, Mistero Magazine, Stop, The Ufologist Magazine Australia, Ufo Revista Brasil. E’ ospite fisso della trasmissione di Italia 1 Mistero. Quindi scrittore e personaggio televisivo. Ha altri progetti imminenti?
Sto scrivendo un nuovo romanzo, di genere psicologico, narrato in prima persona: è la storia di una ossessione e delle conseguenze portate da tale ossessione al protagonista.
La missione lunare è stata la più grande e meravigliosa impresa del ventesimo secolo, un evento del quale l’umanità può essere fiera. Nel suo libro lei afferma: “lo sbarco sulla luna è una sorta di mito di fondazione dell’epoca moderna”. Non ha pensato che demolire il mito potesse essere un’arma a doppio taglio?
In realtà il mio libro non intende demolire il mito dell’uomo sulla luna. Il fine che si pone è diverso ed è quello di far sorgere dei dubbi in merito alla versione ufficiale che ci è stata raccontata. Dubbi che derivano dall’esame rigoroso e scientifico del materiale fotografico in nostro possesso e che sorgano sulla base di una considerazione molto semplice: nel momento in cui professori universitari, esperti in fotografia ed altri soggetti dalle qualifiche inappuntabili affermano, con dovizia di prove a supporto e di dimostrazioni trigonometriche, che certe foto non sono coerenti con l’essere state scattate sulla luna, ecco che si è in presenza di pareri estremamente autorevoli che non possono non essere tenuti in altissima considerazione.
Lei cita tre possibili spiegazioni del complotto lunare: a) Gli Stati Uniti, volevano vincere la corsa sulla luna contro l’Unione Sovietica. b) Trarne un ritorno di immagine. c) Ridurre il rischio di una tragedia in mondo visione, creando un’operazione di successo. Secondo lei queste motivazioni sarebbero state sufficienti a creare un set cinematografico e prendere in giro tutto il mondo o c’è dell’altro?
Già il primo motivo sarebbe sufficiente, vale a dire vincere la corsa alla luna contro l’Unione Sovietica. Si trattava di un obiettivo prioritario in quegli anni, la Guerra Fredda si esplicava anche nella conquista dello spazio, seppur in maniera indiretta. Per cui ogni mezzo per arrivare primi sarebbe stato lecito, compresa una colossale messinscena.
Virgil Grissom, rimase ucciso con i suoi compagni astronauti nell’incendio dell’Apollo 1 a Kape Kennedy. La famiglia sostenne che non fu un incidente. Ci racconti brevemente la storia ufficiale e quella presumibilmente vera.
Il 27 gennaio 1967 un incidente mortale vide protagonisti Virgil Grissom e altri due astronauti a bordo della capsula Apollo 1. La stessa capsula che, come da uno studio interno del dicembre del 1996, presentava un elenco di 20.000 difetti. Quella funesta giornata era già iniziata tra problemi vari, tra cui anche problemi di comunicazione con il centro comandi, al punto che Grissom sbottò pronunciando la celebre frase: “se non riesco a parlarvi a sole 5 miglia di distanza, come potremo farlo dalla luna?” Ciò che portò alla morte dei tre astronauti fu un incendio sviluppatosi velocemente all’interno della cabina, unitamente alla circostanza che non riuscirono a scappare in tempo per colpa di una maniglia difettosa che impedì loro di fuggire prima che le fiamme non li avessero completamente avvolti. Scott Grissom, figlio di Gil, una volta cresciuto, cercò di indagare su quanto accaduto, giungendo a una sconvolgente conclusione: il padre era stato volontariamente ucciso. Chi sarebbero stati i responsabili secondo Scott Grissom? Niente meno che i sovietici, che avrebbero sabotato la capsula tramite un infiltrato la cui presenza sarebbe stata volutamente insabbiata dalla Nasa per evitare lo scoppio della terza guerra mondiale.
Uno scenario probabilmente di fantapolitica, la cui origine però è facilmente comprensibile. Di fronte a una mole di prove che puntano, nel più roseo dei casi, a una serie di gravissime omissioni, il giovane Scott Grissom vede un qualcosa di ulteriore, una volontarietà precisa…non potendo e non volendo pensare a un coinvolgimento del datore di lavoro del padre, vale a dire la Nasa, presume un improbabile intervento sovietico.
Lei parla del binomio Ufo-austronauti. Nel 1979 Maurice Chatelain, ex Direttore dei Servizi di Comunicazione Nasa, affermò che tutti i voli delle missioni Gemini e Apollo furono seguiti da veicoli spaziali di origine extraterrestre, a volte a distanza, a volte più da vicino. Quando ciò accadeva gli astronauti informavano il Controllo Missione a Terra che ordinava l’assoluto silenzio. Ci racconti…
La connessione Ufo-austronauti è estremamente interessante per la preparazione tecnica che viene impartita agli astronauti stessi, i quali sono quindi perfettamente in grado di distinguere i satelliti, relitti, fenomeni noti, da ciò che invece noto non è. Tutto ebbe inizio il 16 maggio 1963, quando il maggiore Gordon Cooper, a bordo della capsula Mercury, comunicò alla stazione di controllo Muchea (Australia) di star osservando un oggetto luminoso di colore verdastro in avvicinamento alla sua capsula. L’oggetto era reale, dato che anche i radar Muchea lo avevano rilevato e lo stesso personale a terra lo vide per oltre due minuti, stimandone la sua quota in circa 100 miglia. A seguito dell’atterraggio di Cooper, i giornalisti furono avvertiti che non era consentita alcuna domanda in merito all’avvistamento Ufo. Quindici anni dopo, nel 1978, il maggiore Cooper affermò quanto segue in una dichiarazione alle Nazioni Unite: “Ritengo che questi veicoli extraterrestri e i loro equipaggi visitino la Terra giungendo da altri pianeti, che certamente sono più tecnologicamente progrediti di noi. Penso che dovremmo avere un programma coordinato ad altissimo livello per raccogliere ed analizzare scientificamente i dati provenienti da tutto il mondo riguardanti ogni tipo di incontro e per determinare quale sia l’atteggiamento migliore da assumere per fronteggiare in maniera amichevole questi visitatori”. Un altro caso eclatante risale al 1965, quando l’astronauta James McDivitt dichiarò pubblicamente che gli Ufo sono là fuori. Nel corso di una missione sulla Gemini 4, infatti, insieme al collega Ed White vide e fotografò un oggetto cilindrico munito di braccia meccaniche che seguì la capsula Gemini per ore, mostrando un comportamento intelligente. Sempre nel 1965, gli austronauti Frank Borman e Jim Lovell, a bordo di un’altra capsula Gemini videro un oggetto sferico che li seguiva a distanza. Il controllo missione cercò di minimizzare sostenendo trattarsi dei booster di un razzoTitan, ma entrambi gli austronauti smentirono questa versione, affermando di essere perfettamente in grado di riconoscere un Titan…
Cosa sono le fasce di Val Allen? Alcuni sostengono che è letale per l’uomo attraversarle.
Le fasce di Van Allen sono due zone che si estendono tra i 1000 ed i 60000 chilometri di altitudine, cariche di radiazioni. Molto clamore è stato suscitato dalle affermazioni di un ingegnere della Nasa, Kelly Smith, il quale in un video per illustrare la nuova navicella spaziale Orion ha dichiarato quanto segue: “Allontanandoci ulteriormente alla Terra, passeremo attraverso la Fascia di Van Allen, un’area critica di radiazioni pericolose. Radiazioni di questo tipo possono danneggiare i sistemi di guida, i computer a bordo o altre componenti elettroniche. (omissis) I sensori a bordo registreranno i livelli di radiazione affinché gli scienziati li studino. Dobbiamo risolvere queste problematiche prima di poter mandare delle persone oltre questa regione dello spazio. E’ stata proprio quest’ultima frase a causare un forte stupore: in che senso dobbiamo risolvere queste problematiche prima di poter mandare delle persone oltre le fasce di Van Allen? Non erano stati mandati già vari astronauti a bordo delle navicelle Apollo per andare sulla luna? Non si trattava quindi di un problema risolto? Evidentemente no, oppure, semplicemente, forse il problema non era mai stato affrontato perché non ve n’era la necessità (nel caso si ritenesse che le missioni Apollo fossero state realizzate in un set) oppure perché non si era riusciti a trovare un modo efficace per offrire adeguata protezione dalle radiazioni e, esattamente come nel primo caso, si era deciso, per costrizione, di realizzare una messinscena sulla terra.
Per quanto concerne proprio le radiazioni, da un lato vi è chi come lo studioso Wisnewski, tacciato di cospirazionismo, ha parlato di circa 200 milliSievert all’ora nelle fasce di Van Allen, e dall’altro chi, come Paolo Attivissimo, ha parlato, con riferimento ai dati delle missioni, di circa 2 milliSievert. Nel primo caso, pertanto, gli astronauti sarebbero andati incontro a morte certa, mentre nel secondo, al contrario, si sarebbe trattato di una sorta di “passeggiata di salute” con specifico riferimento alle radiazioni assorbite. Pertanto dove sta la verità? Fortunatamente, a differenza di altri aspetti su cui la Nasa non ha preso posizione, in questo caso sono proprio esperti dell’ente spaziale nord-americano a fornire una risposta. Stando alla dottoressa Ellen Stofan, scienziata Nasa e consigliere principale dell’amministratore Nasa Charles Bolden in materia di programmi spaziali, progetti e investimenti, “l’obiettivo della Nasa ora è quello di mandare uomini oltre l’orbita terrestre verso Marte. Stiamo cercando di sviluppare nuove tecnologie per arrivarci, al momento è un’impresa tecnologica non da poco perchè vi è un paio di problematiche rilevanti. Innanzitutto le radiazioni: una volta usciti dal campo magnetico terrestre si va ad esporre gli austronauti non solo alle radiazioni solari ma anche a quelle cosmiche. Si tratta di dosi più elevate di quanto pensiamo che un essere umano possa assorbire”. Un giudizio molto preciso, proveniente per di più da una fonte di importanza assoluta, trattandosi di una figura operante per la Nasa ad alti livelli.
Armstrong, in una delle sue rare interviste, disse che sulla Luna avevano lasciato l’attrezzatura e la macchina fotografica. Basterebbe tornare a riprenderle per risolvere l’arcano?
In realtà no, non sarebbe una prova sufficiente perché qualsiasi tipo di materiale presente sulla luna potrebbe essere portato senza problemi tramite missioni interamente meccanizzate, prive di equipaggio. Ragion per cui la presenza di attrezzatura, rover e quant’altro non fornisce alcuna prova sulla reale sussistenza delle missioni Apollo.
Sul “mito perfetto” delle missioni lunari, Visani il suo libro lo conclude così: “…la natura di queste missioni è protetta da una sorta di tabù nel senso che per tantissime persone, specie per chi ha avuto l’occasione anagrafica di vedere il tutto in diretta, essa rappresenta un punto fermo della propria infanzia. Difficile, quindi pensare di poter scardinare una narrazione circonfusa di tale sacralità, senza incorrere nella reazione dello schiavo di platonica memoria che liberato dalle catene e con la faccia rivolta verso l’uscita della caverna rimane abbagliato dalla luce del sole e preferisce ritornare verso le ombre”.