Marcel Mangel quando era piccolo amava i film di Charlie Chaplin e spesso improvvisava piccoli spettacolini per i suoi genitori, nella loro casa di Strasburgo.
Era una vita serena, ma tutto cambiò brutalmente con l’occupazione nazista: suo padre, colpevole solo di essere ebreo, fu arrestato, deportato e in seguito, ucciso ad Auschwitz.
Marcel, non ancora ventenne, decise di unirsi alla resistenza francese, si procurò documenti falsi e un nuovo cognome.
Entrò in un’unità segreta. Tra i suoi compiti: aiutare i bambini ebrei rimasti orfani a fuggire dalla Francia, per trovare rifugio nella Svizzera neutrale.
Non era facile. Marcel doveva far finta di accompagnare i bambini in vacanza in montagna, ma loro avevano paura e c’era il rischio che si facessero scoprire. Marcel sapeva benissimo che se i nazisti li avessero scoperti, sarebbero stati tutti uccisi. Quindi doveva assolutamente trovare un modo per intrattenerli e farli stare tranquilli.
Intrattenerli, ma in silenzio.
Così, ricordandosi degli spettacolini che improvvisava da piccolo, iniziò a fare il mimo per i bambini che così si tranquillizzavano. In questo modo Marcel riuscì a portare a termine tutte le sue missioni e a salvare una settantina di bambini.
Quando la guerra finì, Marcel decise di conservare il cognome che aveva scelto come copertura durante gli anni della Resistenza, per usarlo come nome d’arte per quella che diventerà una sfavillante carriera di mimo e di attore. Sì, perché Marcel Mangel, in arte Marcel Marceau, è stato sicuramente il mimo più amato del mondo.
Per quasi tutta la vita non ha mai parlato del suo passato nella Resistenza francese, scegliendo anche in questo ambito il silenzio, quel silenzio che ha caratterizzato tutta la sua arte.
Poi, pochi anni prima della sua morte (avvenuta nel 2007), Marceau ha raccontato:
“Mi chiamo Mangel. Sono ebreo. Ho pianto per mio padre, ma ho anche pianto per i milioni di persone che sono morte. Il destino ha permesso a me di vivere. Questa grazia implica una grande responsabilità: devo portare speranza alle persone che ancora soffrono e lottano”.
Storie da raccontare, e da raccontare ancora….