“La sua fragilità celava una forza d’animo non comune, la forza che le ci era voluta per denunciare, lei signorina di buona famiglia che avrebbe dovuto ignorare certe vergogne, quello che si celava dietro la facciata di case rispettabili, in cui la donna era tenuta in uno stato di soggezione prossimo alla schiavitù”. Con queste parole la scrittrice Annie Messina ricorda la zia Maria.
Maria Messina, scrittrice di talento per troppo tempo dimenticata, nasce nel 1877 a Palermo, da Gaetano, maestro elementare e poi ispettore scolastico, originario di Alimena (Pa) e da Gaetana Valenza Traina, appartenente a una famiglia nobiliare decaduta di Prizzi (Pa). Bambina schiva scriverà di sè in una lettera indirizzata nel 1909 a Giovanni Verga “Son dunque vissuta sola – scrive – pur non sentendo bisogno d’alcuno, restando un po’ selvatica, un po’ estranea alla vita pure osservando la vita”.
La sua è un’infanzia triste, da reclusa, in una famiglia con i genitori spesso in disaccordo. Non le viene permesso di frequentare la scuola.
E’ una femmina il suo destino sarà quello di sposarsi o di fare la casalinga. Al fratello Salvatore sarà permesso di fare un percorso di studi regolare e di percorrere una brillante carriera giuridica e diplomatica, dopo aver conseguito la laurea. Maria studia a casa, sotto la guida della madre e del fratello (che la incoraggerà e la sosterrà come scrittrice).
La professione del padre costringe la famiglia a continui trasferimenti per l’Italia. Nel 1903, all’età di sedici anni, è a Mistretta (Me), dopo sei anni, nel 1909 ad Ascoli Piceno, dove risiederà per 2 anni. Nel 1909 inoltre Maria inizia una fitta corrispondenza con lo scrittore Giovanni Verga, ormai anziano: 23 lettere che vanno dal 6 novembre 1909 al 24 dicembre 1919.
Verga sarà per Messina una fonte d’ispirazione, un maestro, un “padre” e un amico.
Tra il 1909 e il 1921, la giovane donna pubblica l’editore palermitano Sandron: Pettini-fini (1909) e Piccoli gorghi (1911).
Si tratta di novelle rusticane in cui i personaggi sono quelli tipici della narrativa verista siciliana: vittime della povertà e dell’ignoranza tormentati dalla gelosia all’onore, dall’adulterio alla “roba”.
Grazie Verga, una novella di Maria viene pubblicata sulla rivista “La Donna”, aggiudicandosi il premio Medaglia d’Oro.
Oltre che con lo scrittore siciliano, Maria intrattiene intense corrispondenze anche con altre personalità del tempo. Nel 1912, la famiglia Messina si trasferisce ad Arezzo, poi a Trani e dal 1916 al 1921 vive a Napoli. In questi ultimi cinque anni, Maria pubblica una buona parte delle sue opere: Alla deriva (1920), Primavera senza sole (1920) e La casa nel vicolo (1921) ed inoltre i volumi di racconti Ragazze siciliane (1921) e Il guinzaglio (1921).
In queste opere Maria insiste sull’analisi psicologica delle protagoniste e matura una propria originalità letteraria.
Nei nuovi racconti o romanzi non sono più i “vinti” del mondo contadino, ma “le vinte” del mondo piccolo borghese siciliano, un microcosmo dominato dall’immobilismo e dal conformismo. Mentre l’orizzonte letterario dell’epoca è sempre più pervaso da storie d’amore e fantasticherie romantiche, Maria –sempre più fiaccata dalla sclerosi multipla che l’ha colpita all’età di 20 anni – denuncia il dramma della condizione femminile in tutte le sue sfaccettature: la vita tediosa e l’asfissiante ambiente domestico in cui sono costrette a vivere le donne, l’ipocrisia maschile che vuole madri e mogli “angeli del focolare” dedite al sacrificio; la congiura sociale che permette al maschio autoritario ed egoista di esercitare la sua tirannia sulla ‘sua’ donna (la moglie o la figlia) sotto il pretesto di proteggerla.
Le donne non possono esprimersi, non possono uscire da sole, non possono scegliere liberamente chi sposare…vengono trattate come “merce”, come “bestie” da comprare con il “matrimonio. La donna è sempre succube, nelle pagine di Maria Messina ed è costretta a subire passivamente le decisioni del padre o del marito.
In Maria non c’è tuttavia traccia di istanze femministe, malgrado ella denunci una situazione di profonda ingiustizia nei confronti delle donne. I personaggi femminili si muovono all’interno del sistema oppressivo patriarcale non solo siciliano, ma in genere italiano. Le donne sono sempre vittime: vittime di sottomissione e di dipendenza; di reclusione e d’isolamento; di repressione e d’immobilismo sociale.
Tra il 1921 e il 1923 la famiglia Messina si trasferisce di continuo tra Arezzo, Firenze e Ascoli Piceno; Maria pubblica Un fiore che non fior? (1923), romanzo che affronta la tematica della “signorina moderna”, la giovane emancipata, che veste alla moda e che si trucca, che partecipa alle feste, in altre parole che è più libera rispetto ai personaggi femminili delle altre opere.
La scrittrice esamina l’atteggiamento punitivo della società nei confronti delle “signorine moderne”: il maschio conformista desidera sposare una donna “all’antica” e finisce per non scegliere mai come moglie una signorina moderna ( genere che tuttavia ama frequentare senza impegno).
Secondo Maria né la donna all’antica, né la signorina moderna, sono comunque modelli vincenti: la Messina indica come modello positivo solo quello della donna colta ed autonoma, economicamente indipendente; l’istruzione e il lavoro sono secondo la scrittrice l’unica arma attraverso cuila donna può emanciparsi.
Infatti, ne L’amore negato (1928), l’ultimo romanzo pubblicato da Maria (dopo una pausa in cui si è dedicata a scrivere opere di narrativa per l’infanzia) emerge un modello positivo: Miriam, rappresenta il prototipo della donna economicamente e socialmente indipendente;, della donna che grazie al lavoro pu? provvedere non solo a sé stessa ma anche alla madre ed all’ intera famiglia, senza il sostegno di nessun uomo.
Nel 1930 la scrittrice raggiunge a Pistoia la madre, ormai vedova: Maria non si è mai sposata, ha trascorso tutta la sua vita all’ombra della famiglia.
La Messina rimane completamente sola dopo la scomparsa della madre nel 1932 perché il fratello Salvatore vive in Egitto. Il suo solo conforto è un’infermiera, Vittoria Tagliaferri.
Il 24 Ottobre del 1943, Pistoia viene distrutta dall’aviazione angloamericana. La casa di Maria viene ridotta ad un cumulo di macerie: vanno dispersi i libri, le carte preziose, le lettere di Verga, di Ada Negri, di Guido Gozzano. La scrittrice riesce a mettersi in salvo e viene accolta in casa di contadini, ma poco a poco la sclerosi multipla ha il sopravvento e il 19 gennaio del 1944, alle tre di notte, Maria muore tra le braccia di Vittoria Tagliaferri, che non l’ha mai abbandonata e che si occuperà di seppellirla nel cimitero della Misericordia Addolorata di Pistoia.
Le spoglie mortali di Maria Messina insieme a quelle della madre, verranno traslate il 24 aprile 2009, a Mistretta, cittadina dove la scrittrice ha vissuto per sei anni e dove 5 ha ambientato alcuni dei suoi racconti.
La Messina, per decennidimenticata soltanto nel 1980 è stata riscoperta da Leonardo Sciascia, che l’ha definita una “Mansflied siciliana”.
“La sua fragilità celava una forza d’animo non comune, la forza che le ci era voluta per denunciare, lei signorina di buona famiglia che avrebbe dovuto ignorare certe vergogne, quello che si celava dietro la facciata di case rispettabili, in cui la donna era tenuta in uno stato di soggezione prossimo alla schiavitù”. Con queste parole la scrittrice Annie Messina ricorda la zia Maria.
Questa storia sarà da me raccontata nel programma Storia&storie in onda sulle frequenze di RADIO REGIONAL martedì alle ore 12,15 (in replica giovedì alle ore 17.32) al link:
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Per gli amici con diverse abilità il programma andrà in onda anche il lunedì alle 5,30 sulle frequenze di DISABILI INTERNATIONAL RADIO al link: https://radio-streaming.it/disabili-international