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MARIO MEROLA

C’è stato un periodo, lungo, in cui la canzone ed il teatro napoletano avevano raggiunto un’enorme popolarità grazie a grandi artisti che li rappresentavano.

Per un certo tipo di canzone e di cinematografia Mario Merola fu il re indiscusso ed ebbe il merito di portare la “sceneggiata” ad un livello di notorietà internazionale.

La nostra prima conversazione avvenne per un’intervista.

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Io ero già avvezzo a gestirle ma rimasi ugualmente sorpreso per come quel monarca assoluto rispondeva docile alle mie domande, a parte qualche guizzo di orgoglio quando ricordava episodi strabilianti della sua carriera.

Per esempio, l’esperienza appena vissuta di Bono Vox (U2) che va a salutarlo tra il pubblico, in diretta TV, inchinandosi. O quando fu ospite a cena, alla Casa Bianca, del Presidente Gerald Ford, sedendo vicino a Luciano Pavarotti.

Lui che aveva cominciato a lavorare come scaricatore di porto.

Era l’epoca in cui teneva centinaia di concerti soprattutto in America, dove vivevano gli italiani che lì erano emigrati.

Quando nel 1986 andai per la prima volta alcuni mesi negli Usa, abitavo nel New Jersey e conobbi molte famiglie di italoamericani. Ho vissuto di persona ciò che racconto. Non c’era nessuno che non vedesse in Merola l’immagine del proprio Paese (o paese).

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Durante quell’intervista capii che il suo aspetto burbero che avevo notato in varie situazioni ufficiali era forse una sovrastruttura che il suo personaggio imponeva.

Ne fui convinto quando seppi da persone vicine a lui alcuni episodi che denunciavano la sua profonda sensibilità.

Di una cosa era orgoglioso ma, al contempo, addolorato.

Aveva rifiutato di pagare il pizzo alla camorra, che per dargli una lezione fece sparare alcuni colpi sul portone di casa sua; ma, nonostante ciò, circolava la convinzione che questa organizzazione fosse stata importante per la sua carriera.

Scoprii che era amico di Franco Franchi, sul quale potei riversare tutte le mie lodi e lui mi disse che la loro amicizia era tale che chiamò suo figlio Francesco e lo fece battezzare da lui.

E fu proprio suo figlio l’occasione per me di conoscere aspetti di Merola che non erano scaturiti dalla mia, seppur lunga, intervista.

Conobbi Francesco per una trattativa di lavoro. Mi invitò a casa sua, costituita da due appartamenti nell’attico di un palazzo panoramico vista mare, non lontano da Napoli città.

Quando andai mi colpì il salone, che era all’ingresso, pieno di foto e di bacheche con i ricordi del padre.

C’è la gigantografia di una foto in cui Merola tiene per mano un bambino (il futuro Massimo Ranieri) e un abbraccio con un giovanissimo Gigi D’Alessio, che poi scriverà una canzone su Mario.

Gli oggetti di scena fanno di quella stanza un vero e proprio museo.

Domina su tutti il mantello dello “Zappatore”, la sceneggiata più nota a livello internazionale.

Devo ammettere che, pur non essendo un genere che preferisco, mi sono emozionato ugualmente venendo a contatto con queste “reliquie”.

Ma l’emozione maggiore me l’ha data l’incontro con sua moglie.

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Quella signora esile che in cucina stava preparando da mangiare e puliva i fagiolini verdi.

Dicendole che mi faceva ricordare l’odore di casa mia, quando mia madre cucinava, entrai immediatamente in sintonia con lei, che mi mostrò il terrazzo e le piante di ortaggi che curava personalmente.

La signora Rosa con poche parole mi trasmetteva un mare di pensieri; bastava osservarla per recepirli.

Aveva sulle spalle la sua lunga storia con il marito, sposato dopo 13 anni di fidanzamento, gli alti e bassi di quella carriera…. Ma era fiera che, nonostante tante cadute, fosse stata sempre la roccia a cui Merola era appigliato.

Pranzammo insieme, mi sembrava di essere uno dei suoi figli.

Ascoltai molti racconti su Merola, marito, padre, lavoratore…, vissuti da una prospettiva famigliare.

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Quando ci salutammo l’abbracciai, balbettando qualcosa.

Lei mi guardò negli occhi e mi disse solo: “mi raccomando a Francesco”.

(Foto di proprietà dell’autore)

Data:

16 Luglio 2022