L’eredità di Mario Vargas Llosa (1936-2025)
“La differenza tra un liberale e un anarchico è appunto nel non voler accettare che in nome della libertà si crei la legge della giungla. Anche se è vero che in ogni liberale c’è sempre la tentazione dell’anarchismo”.

“Perché lo facciamo, giocandoci il tutto per tutto? Innanzitutto, e soprattutto per il nostro amore verso la libertà. Perché senza libertà di espressione e di critica, il potere è libero di commettere i suoi soprusi, i suoi crimini e le sue ruberie, come quelle che hanno oscurato la nostra storia recente. E per il nostro amore verso la verità e la giustizia, valori per i quali un giornalista deve essere disposto a sacrificare tutto, persino la vita”. (Crocevia, 2016)
È morto da poco a Lima all’età di 89 anni, lo scrittore Mario Vargas Llosa, l’uomo che diceva la verità attraverso la menzogna. Le menzogne dei romanzi – mai gratuite – non documentano tanto le vite dei personaggi ma “i demoni che le hanno turbate, i sogni con cui si ubriacavano affinché la vita che vivevano fosse più tollerabile”.

Mario Vargas Llosa è nato ad Arequipa (Perù) nel 1936 e ha vissuto in Spagna per oltre 30 anni. Ribelle prima e poi conservatore, è considerato uno dei primi artefici del boom latino-americano, che negli anni ’60 e ’70 ha messo la letteratura latinoamericana in prima linea nella scena internazionale.
Dopo gli anni giovanili passati nel collegio militare, la passione per la sinistra e poi la svolta liberale, l’esordio fu folgorante. Vinto il Nobel nel 2010, Vargas Llosa è autore di romanzi, saggi, opere teatrali (da poco aveva adattato per il teatro il Decameron, partecipando anche come attore).
Vargas Llosa non è uno scrittore tradizionalista. Le sue tecniche letterarie sono spesso spericolate e debitrici verso il modernismo – soppressa ogni delimitazione tra passato e presente attraverso un uso virtuosistico del flashback, tra narrazione e dialogo, tra il flusso di coscienza e le descrizioni oggettive, senza indulgere all’ intellettualismo o al postmodernismo. I saggi letterari di Vargas Llosa sono finissimi, ariosamente antiaccademici, di grande erudizione, mai pedanti.
Tra Sartre e Camus, l’illuminismo dello scrittore peruviano si rivolge contro ogni fanatismo ideologico; nei suoi romanzi, originati dalle esperienze ancora vive nella memoria, ci sono invenzioni, esagerazioni, tergiversazioni più che ricordi. In letteratura conta non tanto la realtà, la nuda e scrupolosa cronaca dei fatti, come tendevano a pensare i neorealisti, ma un effetto di realtà. E se per raggiungerlo finiamo per esagerare i fatti, viviamo l’emozione e la verità più intima di un personaggio.
Per capire cos’è la letteratura di Vargas Llosa è illuminante leggere una su pagina La verità delle menzogne, in cui egli si rivela scrittore, narratore, saggista, polemista. Leggere un suo romanzo – che sempre simula un possibile ordine nel vertiginoso disordine dell’esistenza – è uscire da se stessi, sperimentare i rischi della libertà, vivere molte vite, sovvertire l’esistente. Anche la finzione più delirante e visionaria, ci ricorda Vargas Llosa, “affonda le sue radici nell’esperienza umana, di cui si nutre e si alimenta”. E proprio per questo radicamento che i suoi romanzi sono destinati a durare nel tempo.
Nel suo piglio di scrittore c’è un tratto distintivo: è perfido. Il suo punto di osservazione sul mondo -politico, sociale, sentimentale, familiare- assomiglia al mirino di una mitragliatrice. Nel suo piglio, c’è il suo tratto distintivo: quando scrive è preciso, crudele, sincero. Vargas Llosa è stato uno degli scrittori di lingua spagnola più influenti.
Mario Vargas Llosa e Gabriel García Márquez

Il peruviano Vargas Llosa e il colombiano García Márquez , scrittore ugualmente gigantesco, ebbero una violenta lite a Città del Messico nel 1976, nella quale il primo – già boxeur tirocinante all’accademia militare – sferrò un pugno al secondo (ne è testimonianza una celebre foto di García Márquez con un occhio nero). La causa fu probabilmente una vicenda privatissima, intrecciata con le ‘presunte’ infedeltà coniugali dello scrittore peruviano.
Amici fraterni, che avevano condiviso visioni e posizioni politiche fino a quel pugno scagliato all’anteprima di un film, in una sala a Città del Messico. Il fotografo Rodrigo Moya ha raccontato – nel libro Solitude and Compagny: The Life of Gabriel García Márquez told with help from his firends, family, fans, arguers, fellow pransters, drunks and a few respectable souls di Silvana Paternostro – di quando lo scrittore colombiano si presentò a casa sua per farsi fotografare con l’occhio nero. “Stavo facendo boxe e ho perso”, aveva detto ridendo. Che il pugno, un gancio destro, sia stato molto forte, lo fu. Anche se la ragione di quel pugno non è mai stata chiarita, i dettagli sono certi e verificati.
Dopo quel fatto, si aprì un dissidio tra i due che coinvolse anche i rispettivi orientamenti politici: mentre García Márquez era rimasto strettamente legato a Castro e a Cuba, Vargas Llosa, era passato gradualmente a un liberalismo sempre più conservatore e i rapporti fra i due si erano progressivamente raffreddati. Molto tempo prima, Llosa aveva dedicato a Cent’anni di solitudine, il capolavoro di García Márquez, la sua tesi di dottorato, Storia di un deicidio. Nel 2007, in occasione di una nuova edizione di Cent’anni di solitudine, Llosa aveva acconsentito a pubblicare una sua prefazione al romanzo.
Più che la giustizia sociale per Vargas Llosa contavano e dovevano esserci i diritti umani e civili, la democrazia e la legalità, la tolleranza e il rispetto della diversità.
Il suo romanzo La storia di Mayta del 1985, su una velleitaria e immaginaria rivolta tentata in Perù negli anni ’50, rappresenta una riflessione sull’idea stessa di rivoluzione. Mayta, nobile intellettuale trotzkista, idealista e studioso di Marx, privo di senso pratico e di qualsiasi conoscenza della psicologia umana, è un personaggio memorabile che si delinea attraverso un romanzo polifonico, formato da dieci capitoli che esprimono altrettanti punti di vista.
La città e i cani è uno dei romanzi più belli mai scritti sull’adolescenza, osteggiato e censurato dalle autorità militari. I “cani” sono i cadetti del primo anno dell’accademia militare dove lo scrittore fu mandato dal padre, un ambiente apparentemente disciplinato dove però il più spavaldo diventa leader: i personaggi del romanzo, votati al machismo, feroci ma con il senso della lealtà e dell’amicizia, sono primitivi e al tempo stesso dotati di un loro codice morale.
Se l’educazione all’obbedienza produce disobbedienza e anarchia, in Pantaleón e le visitatrici del 1973, satira militare su un ufficiale incaricato di organizzare servizi di prostituzione per le truppe, al puritanesimo fanatico di una missione religiosa si contrappone la vitalissima impurità di un bordello.
La zia Julia e lo scribacchino del 1977 ci rivela una passione e un elemento difficilmente trasferibile nel romanzo europeo, e cioè l’amore per il mélo popolare, per i radiodrammi (e poi telenovelas), per la sublime volgarità della cultura pop.
A García Márquez il Premio Nobel è stato assegnato nel 1981 “per i suoi lavori caratterizzati da un’ampia prospettiva, ricchezza di idee e potere artistico”. Vargas Llosa lo ha vinto nel 2010 per “la sua mappatura delle strutture del potere e per le immagini incisive con cui ha dipinto la resistenza, la rivolta e la sconfitta dell’uomo”. Non se lo aspettava ormai più il Nobel.
Elogio della lettura e della finzione (2011) contiene il discorso dello scrittore, appassionato e commosso, in occasione del Nobel nel 2010: “Grazie alla letteratura, alle coscienze che ha forgiato, ai desideri e agli aneliti che ha ispirato, alla disillusione del reale con cui torniamo dal viaggio in una bella fantasia, la civiltà è ora meno crudele di quando i cantastorie incominciarono a umanizzare la vita con le loro favole. Saremmo peggiori di quello che siamo senza i buoni libri che abbiamo letto, più conformisti, meno inquieti e ribelli, e lo spirito critico, motore del progresso, non credo esisterebbe”.
Vargas Llosa in America Latina era stato giovane di sinistra, sostenitore della rivoluzione cubana di Fidel Castro, ammiratore di Margaret Thatcher, contrario alla rivoluzione bolivariana di Hugo Chávez, seguace di economisti neoliberisti, candidato di centrodestra, in Europa fu contrario alla Brexit e al secessionismo della Catalogna, nonché alla xenofobia verso i migranti.
Quando nel 1990 si candidò a Presidente del Perù con la coalizione di centrodestra “Fredemo” con un programma neoliberale, vinse Alberto Fujimori, che governò in maniera autoritaria fino al 2000. Vargas Llosa allora si trasferì in Spagna, dove ottenne anche la cittadinanza onoraria. Alle elezioni del 2021 in Perù appoggiò, scrivendo un articolo su El Pais, la candidatura di Keiko Fujimori, figlia di Alberto, contro il candidato di sinistra Pedro Castillo. Così come l’anno dopo disse di preferire la candidatura dell’estremista di ultradestra Jair Bolsonaro al socialista Lula da Silva in Brasile.
Accanto al realismo magico che ha saputo esprimere la letteratura latino-americana, la scrittura di Vargas Llosa priva di fastosi barocchismi ed effetti zuccherosi, è tesa, riflessiva, allegorica e intellettualmente rigorosa. Mario Vargas Llosa è stato molte cose, poche volte comodo, mai prevedibile.
Eccovi alcuni stralcia della sua filosofia politica:

Mario Vargas Llosa
Il richiamo della tribù (La llamada de la tribu)
“Los liberales no somos anarquistas y no queremos suprimir el Estado. Queremos un Estado fuerte y eficaz, lo que no significa un Estado grande”.
“Noi liberali non siamo anarchici e non vogliamo abolire lo Stato. Vogliamo uno Stato forte ed efficiente, che non significa un grande Stato”.
In La llamada de la tribu (Alfaguara, 2019), il Premio Nobel peruviano per la letteratura smonta lo “spirito tribale” del nazionalismo e delle ideologie totalitarie in un racconto autobiografico della sua storia intellettuale e politica.
Il liberalismo è una dottrina che non ha risposte per tutto, come sostiene il marxismo, e ammette divergenze e critiche, basandosi su un piccolo ma inequivocabile corpo di convinzioni. Ad esempio, che la libertà è il valore supremo e che non è divisibile e frammentaria, che è una e deve manifestarsi in tutti i campi -economico, politico, sociale, culturale- in una società autenticamente democratica.
Per non aver capito questo, tutti i regimi degli anni ’60 e ’70 che hanno cercato di stimolare la libertà economica pur essendo dispotici, generalmente dittature militari, hanno fallito. Questi ignoranti credevano che una politica di mercato potesse avere successo con governi repressivi e dittatoriali. Ma sono falliti anche molti tentativi democratici in America Latina che rispettavano le libertà politiche ma non credevano nella libertà economica – il libero mercato – che porta sviluppo materiale e progresso.
(…)
Un governo liberale deve affrontare la realtà sociale e storica in modo flessibile, senza credere che tutte le società possano essere incasellate in un unico schema teorico, un atteggiamento controproducente che porta a fallimenti e frustrazioni.
(…)
I liberali non sono anarchici e non vogliono abolire lo Stato. Al contrario, vogliamo uno Stato forte ed efficiente, il che non significa uno Stato di grandi dimensioni, che faccia cose che la società civile può fare meglio di quanto possa fare in un regime di libera concorrenza. Lo Stato deve garantire la libertà, l’ordine pubblico, il rispetto della legge, le pari opportunità.
L’uguaglianza di fronte alla legge e l’uguaglianza di opportunità non significano uguaglianza di reddito e parità di reddito, come vorrebbero alcuni liberali. Quest’ultima, infatti, può essere ottenuta in una società solo attraverso un governo autoritario che “parifica” economicamente tutti i cittadini attraverso un sistema oppressivo, facendo tabula rasa delle diverse capacità individuali, immaginazione, inventiva, concentrazione, diligenza, ambizione, spirito di lavoro, leadership.
Questo equivale alla scomparsa dell’individuo, alla sua immersione nella tribù. (…) Sarebbe stupido ignorare il fatto che tra gli individui ci sono intelligenti e stupidi, diligenti e pigri, inventivi o abitudinari e pigri, studiosi e pigri, e così via. E sarebbe ingiusto se, in nome dell’“uguaglianza”, tutti ricevessero lo stesso stipendio nonostante le diverse capacità e i diversi meriti. Le società che ci hanno provato hanno schiacciato l’iniziativa individuale, facendo scomparire gli individui in una massa insipida la cui mancanza di competenze li demolisce e soffoca la loro creatività.
……………………….
Opere di Mario Vargas Llosa. Il corpus letterario di Vargas Llosa unisce impegno politico, sperimentazione narrativa e una costante riflessione sul potere.
–La città e i cani (1963) Considerato il capolavoro d’esordio, ambientato in un’accademia militare di Lima, è una raccolta di racconti che si basa sulle esperienze da ragazzino alla scuola militare. Il romanzo suscitò scalpore e scandalo, per la rappresentazione negativa del regime peruviano che ne bruciò migliaia di copie, mettendolo al bando.
–La casa verde (1966) Vincitore del Premio Rómulo Gallegos, intreccia storie legate a un bordello nel Nord del Perù, con riferimenti autobiografici a Piura. La casa verde ci mostra la storia del suo paese come mito, nella trasformazione di un piccolo villaggio rurale in una metropoli febbrile, attraverso la rottura del tempo storico, continuo, lineare.
–Conversazione nella Cattedral (1969) Opera monumentale che analizza la corruzione politica durante la dittatura di Manuel Odría attraverso il dialogo tra un giornalista e l’ex autista. È uno dei suoi romanzi più famosi ed è essenzialmente una critica alla dittatura peruviana sotto Manuel A. Odría negli anni ’50. La storia segue due giovani, uno dei quali cerca di scoprire la verità sul ruolo di suo padre nell’assassinio di un importante criminale peruviano. Le sue rivelazioni portano a scoprire la natura corrotta e violenta della vita sotto il regime e la generale inutilità delle cose, che rendono quest’opera uno dei romanzi più strazianti e autentici di Vargas Llosa.
-Pantaleón e le visitatrici (1973) Satira militare su un ufficiale incaricato di organizzare servizi di prostituzione per le truppe.
–La zia Julia e lo scribacchino (1977) Romanzo semi-autobiografico basato sulle esperienze personali di Vargas Llosa, sulla relazione tra un giovane aspirante scrittore e la zia acquisita, considerato uno dei migliori lavori dell’autore. Ambientato nel Perù degli anni ’50, i-l romanzo segue la storia di un giovane che lavora in una stazione radio (anche lei di nome Mario) che inizia una relazione romantica con la sorella della zia. La trama è liberamente ispirata alla storia del primo matrimonio di Vargas Llosa, all’età di 19 anni, con l’allora trentaduenne Julia Urquidi, che era sua zia nella realtà.
–La guerra della fine del mondo (1981) Ricostruzione epica della rivolta di Canudos in Brasile, considerata una delle sue opere più ambiziose
–Chi ha ucciso Palomino Molero? (1986), giallo sociale.
–La festa del Caprone (2000) Analisi della dittatura di Rafael Trujillo nella Repubblica Dominicana, acclamato per la rappresentazione e denuncia del potere autoritario.
–Avventure della ragazza cattiva (2006) “Perché le ragazze cilene, che erano così libere, non volevano i ragazzi?”. Con la “Niña Mala, the bad girl, la femme fatale è l’oggetto di un amore ossessivo: quello di Ricardo per “la ragazza cattiva”, Vargas Llosa non ha scritto solo un romanzo meraviglioso ma ha fatto un’importante operazione culturale, scrivendo il Grande Romanzo (anti)Americano. Lo stile dell’autore dà al romanzo una sensazione ingannevole, vagamente tortuosa. In realtà, Vargas Llosa rappresenta un mondo frenetico, pieno di coincidenze significative, un mondo che anticipa la futura tradizione del racconto latino-americano.
-Il sogno del Celta (2010). Biografia romanzata del diplomatico irlandese Roger Casement, pubblicato poco prima del Nobel.
-Crocevia (2016). Nella storia scabrosa di Marisa e Chabela, ritroviamo tutti i temi cari all’autore: l’erotismo che non è mai di facciata ma parte integrante del carattere dei personaggi, la lotta contro la dittatura in questo caso contro il regime peruviano di Fujimori nella Lima degli anni Novanta, il senso di giustizia “naturale” che pervade il suo pensiero e il suo mondo narrativo: “Perché lo facciamo, giocandoci il tutto per tutto? Innanzitutto, e soprattutto per il nostro amore verso la libertà. Perché senza libertà di espressione e di critica, il potere è libero di commettere i suoi soprusi, i suoi crimini e le sue ruberie, come quelle che hanno oscurato la nostra storia recente. E per il nostro amore verso la verità e la giustizia, valori per i quali un giornalista deve essere disposto a sacrificare tutto, persino la vita”.
–Le dedico il mio silenzio (2024) Ultimo lavoro che esplora temi legati alla memoria e alle relazioni umane, confermando la longevità creativa dell’autore.
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Riferimenti bibliografici:
https://www.qlibri.it/recensioni/tag/autorestr/Mario+Vargas+Llosa
https://it.wikipedia.org/wiki/Mario_Vargas_Llosa
https://www.larivistadeilibri.it/vargas-llosa
https://en.wikipedia.org/wiki/Mario_Vargas_Llosa