Marò, la svolta 8 anni dopo
Immunità per i fucilieri Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, giurisdizione sul caso all’Italia, dove saranno giudicati. Questa la sentenza del tribunale dell’Aja, che ieri ha stabilito anche un risarcimento per l’India, dando così una svolta dopo 8 anni dal suo inizio al caso dei due Marò. Una decisione accolta con soddisfazione dalla diplomazia e dalla politica italiana e dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, “la fine di un incubo” per i due diretti interessati, che ringraziano “tutti gli italiani” sperando che ora cominci “un’altra vita”
Tutto ha inizio nel febbraio 2012 con Latorre e Girone impegnati in una missione di protezione della nave mercantile italiana ’Enrica Lexie’, in acque a rischio di pirateria. Il 19 febbraio 2012 i due fucilieri di Marina vengono consegnati alla giustizia indiana con l’accusa di aver ucciso due pescatori indiani su un peschereccio, scambiati per due pirati al largo della costa del Kerala, nel sud dell’India.
Dopo l’uccisione dei due pescatori indiani, qualche giorno dopo il fermo dei due militari italiani, il tribunale di Kollam dispone il loro trasferimento nel carcere ordinario di Trivandrum. Ne escono solo il 30 maggio quando l’Alta Corte del Kerala concede ai due fucilieri la libertà su cauzione di dieci milioni di rupie (143.000 euro) stabilendo l’obbligo di firma quotidiano che impedisce loro di allontanarsi dalla zona di competenza del commissariato locale.
Ai due fucilieri viene anche ritirato il passaporto. Solo a dicembre del 2012, qualche giorno prima di Natale, il governo italiano riesce a ottenere dall’Alta Corte del Kerala un permesso di due settimane per i due militari italiani che consente loro di trascorrere le festività in Italia con l’obbligo di tornare in India alla scadenza del permesso. Tornano quindi a casa il 22 dicembre e vengono interrogati dal procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo.
Il 3 gennaio 2013, alla scadenza del permesso, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone tornano in India, per poi rientrare ancora in Italia alla fine di febbraio, quando ai due fucilieri viene dato un permesso di 4 settimane in occasione delle elezioni politiche.
La posizione del governo italiano è, inizialmente, quella di non rimandare i due fucilieri in India ma la Presidenza del consiglio dei ministri annuncia invece successivamente che i fucilieri sarebbero tornati nel Paese asiatico. L’allora ministro degli Esteri Giulio Terzi annuncia quindi in Parlamento le proprie dimissioni irrevocabili in polemica con la decisione del governo di rimandare i marò in India.
Il 16 dicembre del 2014 arriva il ’no’ della Corte Suprema indiana alle istanze presentate dai marò, anche per quanto riguarda il possibile rientro in Italia di Girone. Dopo mesi di schermaglie politiche e diplomatiche, il governo italiano decide, il 26 giugno del 2015, di attivare la procedura di arbitrato internazionale di fronte all’impossibilità di arrivare a una soluzione negoziale con l’India.
L’Italia chiede di consentire la permanenza di Latorre in Italia (nel frattempo tornato nel nostro Paese per alcuni problemi di salute) e il rientro in patria di Girone durante l’iter della procedura arbitrale. Il 2 maggio 2016 il Tribunale Arbitrale dispone che anche Girone faccia rientro in Italia fino alla conclusione del procedimento arbitrale.
Intanto la vita dei due fucilieri della Marina è andata avanti. Il 15 giugno dello scorso anno, Massimiliano Latorre si sposa con Paola Moschetti. Poco meno di un mese dopo, tra l’8 luglio e il 20 luglio, si tiene all’Aja presso la Corte arbitrale permanente (Permanent Court of Arbitration, Pca) l’udienza finale dell’arbitrato sul caso della ’Enrica Lexie’: al centro c’è proprio la competenza del Tribunale arbitrale, il merito delle argomentazioni di parte italiana e delle controargomentazioni di parte indiana. Ieri, quindi, la decisione.
Condanna definitiva per Mesina, ma è irreperibile
E’ arrivata la condanna in Cassazione per Graziano Mesina, ex primula rossa del banditismo sardo. I giudici hanno confermato i 30 anni di carcere per l’Orgolese, ma quando i carabinieri ieri sera sono andati a notificare la decisione e accompagnare Mesina in carcere, non lo hanno trovato nella sua casa di Orgosolo. L’uomo è quindi latitante: l’ex bandito sardo, considerato a capo di una banda dedita al traffico internazionale di droga, si sarebbe reso irreperibile già prima che arrivasse ieri sera la conferma del rigetto del ricorso dei suoi avvocati contro la condanna a 30 anni. Mesina avrebbe lasciato la sua casa di Orgosolo ore prima che la Cassazione si pronunciasse e ora è ufficialmente ricercato.
’Grazianeddu’ Mesina il carcere lo conosce bene, dei suoi 78 anni circa 40 li ha trascorsi dietro le sbarre, in Sardegna e nella Penisola. Ha scontato la pena per omicidio, sequestro di persona, numerose fughe dal carcere. Fino alla grazia, ottenuta nel 2004 dall’allora Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, e il rientro nella sua casa nel cuore della Barbagia. Temuto e rispettato, Mesina è stato il protagonista nel ’92 della trattativa per la liberazione di Farouk Kassam, sequestrato in Costa Smeralda a gennaio dello stesso anno. Nel 2013 viene arrestato di nuovo stavolta l’accusa è quella di aver messo in piedi un sodalizio dedito al traffico internazionale di droga: Mesina si è sempre dichiarato innocente, ma viene condannato a 30 anni di carcere, pena confermata in Appello nel 2018 e ieri dalla Cassazione.
Mesina è considerato anche un ’maestro’ della fuga. Nella sua vita criminale, infatti, di evasioni, alcune rocambolesche, ne ha totalizzate ben ventidue, dieci delle quali andate a buon fine. La prima volta “Grazianeddu”, nato nel 1942, finì in carcere ad appena 14 anni con l’accusa di porto abusivo di armi, ma dietro le sbarre non rimase molto. Riuscì, infatti, ad evadere poco dopo forzando la camera di sicurezza per poi dileguarsi sulle montagne di Orgosolo.
Nel 1962 ancora una fuga, stavolta mentre veniva trasferito dal penitenziario di Sassari. Mesina riuscì a liberarsi delle manette e nel momento in cui il treno su cui viaggiava giunse nei pressi della stazione di Macomer, si lanciò per poi tentare di far perdere le sue tracce, ma venne preso immediatamente.
La terza fuga si verificò lo stesso anno. In quel caso “Grazianeddu” era ricoverato nel carcere di Nuoro, quando all’improvviso riuscì a scavalcare il davanzale di una finestra per poi calarsi attraverso un grosso tubo dell’acqua all’interno del quale rimase nascosto per tre giorni prima di sparire. Poco tempo dopo ancora un arresto e ancora un’evasione. Mesina, detenuto nel carcere San Sebastiano di Sassari, riuscì a calarsi dal muro di cinta della sua cella per poi dileguarsi, riuscendo a rimanere un uomo “libero” fino al 1968.
Nove anni più tardi l’ennesima fuga. Mesina era rinchiuso nel penitenziario di massima sicurezza di Lecce, quando riuscì misteriosamente a fuggire senza lasciare tracce per un anno. Arrestato nuovamente e imprigionato nel carcere di Porto Azzurro sull’Isola d’Elba, ancora una volta “Grazianeddu” riuscì nell’impresa di darsi alla fuga.
Nel 1984, poi, dopo essere stato di nuovo arrestato, ottenne un permesso di tre giorni per andare a far visita alla madre a Orgosolo, ma ne approfittò per fuggire a Milano e poi a Vigevano, dopo venne braccato dai carabinieri. Dopo molte altre fughe, soprattutto tentate, l’ex primula rossa del banditismo sardo venne arrestato definitivamente nel 1993, e stavolta dietro le sbarre rimase fino al 2004, anno in cui ottenne la grazia. Nel 2013, poi, il nuovo arresto per traffico di droga.
Sgominata rete di pedofili, arresti in 15 regioni
Sgominata dalla Polizia Postale una rete di pedofili italiani che su una nota piattaforma di messaggistica scambiavano materiale pedopornografico. Oltre 200 investigatori del Centro nazionale di contrasto alla pedopornografia online e del Compartimento polizia postale e delle comunicazioni di Torino stanno conducendo la più grande e complessa operazione di polizia degli ultimi anni, volta al contrasto della pedopornografia online, con il coordinamento della procura di Torino.
Sono state eseguite 50 perquisizioni e arresti in 15 regioni italiane, per detenzione, diffusione ed in alcuni casi, di produzione di materiale pedopornografico.
Come fa sapere la polizia, “la capillare attività di indagine, fatta anche attraverso veri e propri pedinamenti virtuali, ha consentito di dare una identità certa ai nickname utilizzati in rete dai pedofili, portandoli allo scoperto e fuori dall’anonimato della rete”.
Ingente il quantitativo di file sequestrati contenenti immagini raccapriccianti di abusi su minori, ritraenti vere e proprie pratiche di sadismo dove le vittime erano anche neonati.
Jesolo, 38enne aggredito dal branco: è in fin di vita. Identificati 3 aggressori
Un tunisino 38enne è stato picchiato selvaggiamente da un gruppo di almeno quattro persone a Jesolo, sul litorale veneziano, nella notte scorsa. Ne danno notizia oggi i quotidiani locali. Dell’aggressione, presumibilmente per futili motivi, esiste anche un video che sta circolando in rete in queste ore. Il 38enne si trova ora ricoverato all’Ospedale dell’Angelo di Mestre in condizioni critiche.
Secondo le prime ricostruzioni la lite avrebbe preso il via attorno alle 4 del mattino dopo che la vittima, in preda ai fumi dell’alcol, avrebbe infastidito alcuni clienti di un bar. Da lì sarebbe scattata una sorta di ‘spedizione punitiva’ del branco che ha inseguito il tunisino fino ad una piazza poco lontana dal bar, dove è iniziato il pestaggio con calci e pugni che hanno provocato all’uomo un grave trauma cranico. Il tunisino è ora ricoverato in prognosi riservata all’ospedale dell’Angelo di Mestre.
I carabinieri hanno identificato gli autori dell’aggressione grazie alle riprese delle telecamere di videosorveglianza. Dei quattro aggressori i carabinieri ne hanno già identificati tre: si tratta di tre trentenni italiani incensurati, sono accusati di lesioni personali gravissime in concorso. E sono alla ricerca del quarto presunto autore del pestaggio.
Grosseto, 15enne violentata: indagati tre minorenni
Tre avvisi di garanzia con l’accusa di violenza sessuale di gruppo. E’ questo il primo passo ufficiale della Procura dei minori di Firenze, guidata dal procuratore capo Antonio Sangermano, nei confronti dei ragazzi ritenuti responsabili del presunto stupro commesso ai danni di una quindicenne durante una festa in un’abitazione a Marina di Grosseto. Un’adolescente che loro conoscevano bene, perché frequentavano gli stessi ambienti scolastici e perché spesso facevano parte dello stesso gruppo nelle ore di svago.
La ragazzina ha denunciato gli abusi e i presunti responsabili, che hanno 16 e 17 anni. Secondo il racconto fatto dall’adolescente – che dopo la denuncia presentata dai genitori è stata ascoltata dalla polizia con l’assistenza di uno psicologo come riferisce “La Nazione” – durante una festa che era stata organizzata sabato sera sarebbe stata fatta entrare nel bagno dell’abitazione e lì i tre minorenni avrebbero compiuto la violenza, forse utilizzando anche degli oggetti trovati nella stanza. Uno di loro avrebbe fatto da palo, restando sulla porta, così da assicurarsi che nessuno potesse entrare. La violenza sarebbe stata anche ripresa con un telefonino e il video fatto poi girare sui social, soprattutto su gruppi Whatsapp. Il video è stato poi rimosso ma è finito ugualmente tra gli elementi in possesso della squadra mobile grossetana.
Gli accertamenti vanno avanti nel riserbo più assoluto – e la prima cosa da verificare resta appunto l’esatto svolgimento dei fatti -, ma non è escluso che i tre minorenni adesso accusati della presunta violenza sessuale possano essere anche gli autori degli atti vandalici commessi nel corso della stessa notte sul litorale con lettini tagliati, ombrelloni divelti e anche gomme di un’auto e di un furgone squarciate. Un raid che si sarebbe concluso con l’aggressione a danno di tre giovanissimi turisti aretini, due dei quali rimasti feriti. Uno in particolare, un quindicenne, ha avuto la frattura della mandibola ed è stato sottoposto ad un intervento chirurgico nell’ospedale di Siena. Su questi episodi indagano i carabinieri.