Da via San Biagio per piazza San Giovanni, a destra, c’era un sotterraneo con le cantine. In una di queste ci andavo spesso con mio nonno perché quando veniva dal paesello ci teneva a regalare a un suo amico, proprietario della cantina, uno strano formaggio che a me non piaceva: bianco e morbido con dei vermi vivi e bianchi all’interno che si muovevano, avvolto in una carta. Mio nonno e il suo amico giocavano insieme a carte, a tre sette ed io stavo con lui per fargli compagnia. Dentro faceva freddo e si sentiva l’odore del vino. Mentre giocavano a carte, bevevano e mangiavano il formaggio. Mio nonno provò a farmelo assaggiare ma per me erano ripugnanti quei vermi.
A fianco alla discesa per scendere ai sotterranei, c’era l’alimentare del signor Giacinto, soprannominato “fornacello”, “fornacidd”, all’interno del suo negozio vendeva: pasta, pane, zucchero e tante cose utili per la casa. La pasta non era nelle buste, come oggi, ma in grandi scatole avvolte da una carta particolare di color marrone. Chiedeva sempre “paghi o segno?”. Che cosa voleva dire? In passato, la maggior parte delle persone non aveva i soldi per pagare se non alla fine del mese quando si riscuoteva lo stipendio e, allora, il buon Giacinto segnava su un quaderno quello che il signore o la signora aveva preso e il relativo costo. Alla fine del mese il totale della spesa veniva pagato. Molte volte le persone non ce la facevano a saldare il conto e dicevano a Giacinto “pagherò il mese prossimo”.
Subito dopo l’alimentare c’era la sartoria del signor Dottorini e mia madre mi mandò a imparare il mestiere dopo che avevo rinunciato a imparare il mestiere dal barbiere ma mi annoiavo a tagliare i fili dei vestiti e a portarli ai clienti.
Dopo la sartoria c’era il negozio di vino della famiglia Dragoni.
Difronte la sartoria c’era l’arco, una piccola galleria sotto un palazzo, si chiamava arco di San Rocco perché c’era una cappella votiva dedicata al Santo. Procedendo per questa strada si arrivava in una piazzetta che dava direttamente sui Sassi dove c’era una famiglia di allevatori che vendeva il latte, anche io andavo a prenderlo lì. Incontravo sempre la mia amica Cinzia che stava sempre a masticava una gomma e, qualche volta, ce la passavamo.
Dopo l’arco, a sinistra, c’era la drogheria del signor Porcari, vendevano: i confetti e le bomboniere per i matrimoni e per le cresime e anche dei piatti e dei regali da fare ai matrimoni.
Camminando in avanti, a destra questa volta, c’era il tabacchino dove si andavano a comprare le sigarette e le caramelle. Mio padre fumava le nazionali senza filtro e mandava spesso me a comprarle, con il resto dei soldi prendevo le caramelline, di solito una bustina di mentine.
Davanti, dall’altra parte della strada, c’era la tipografia del signor Paolicelli che abitava in quella parte di via San Rocco che dava direttamente sui Sassi. La stampante era una macchina a composizione, ossia un macchinario che tirando la manovella faceva avanti e indietro e con un rullo prendeva il colore da una piastra rotonda e, successivamente, un foglio per volta passava in stampa. In genere stampava: biglietti da visita, inviti e anche i manifesti funebri. Il signor Paolicelli aveva un naso importante – lo ricordo – indossava un grembiule nero per non sporcarsi, aveva una pazienza certosina, componeva il foglio lettera per lettera. Stampò anche i biglietti per la mia cresima.
Proseguendo c’era la latteria dei Capolupo, dove io andavo a comprare il latte nelle bottiglie di vetro chiuse con un coperchio leggero di alluminio, con il ditino lo rompevo e iniziavo a bere. Compravo delle volte anche dei grandi gelati al limone.
Più avanti c’era l’emporio di Cenzino, grande amico di famiglia, aveva un negozio dove vendeva di tutto: clori, martelli, chiodi, compensato, ecc. Mio padre da lui comprava gli utensili per aggiustare delle cose e casa e anche degli strani arnesi, pezzettini di ferro che si mettevano sopra le scarpe e servivano per non consumare le suole ma facevano un gran rumore. Il signor Cenzino si era innamorato della mia vicina, la signorina Filomena ma lei non ne voleva sapere. Lui diceva a mio padre di mettere una buona parola, poi si sposò con un’altra donna.
Ma prima della latteria e della tipografia c’era la merceria della signora Rosa, lì mia madre andava a comprare il filo per cucire, i ganci, le spille da balia, gli spilli.
Poi più avanti c’era la prima macelleria, la macelleria di Bruno dove si andava a comprare, ogni tanto, la carne. In quella macelleria lavoravano anche dei miei amici. Quando il signor Bruno lavava per terra poi buttava l’acqua del secchio fuori l’ingresso ma lo faceva, soprattutto, per far capire a un cliente di non far entrare il suo cane, infatti, gli animali non potevano entrare per una questione di igiene.
Una mattina, però, entrò il bassotto con il suo proprietario, il signor Bruno andò a prendere subito il secchio e, questa volta, il cane invece di andarsene fuori iniziò ad abbaiare tanto da azzannarlo ad una gamba.
In piazza Vittorio Veneto, a destra, c’era la chiesa di San Domenico e la Prefettura, al centro, in passato, c’era il monumento dedicato ai caduti che successivamente fu spostato.
Chiesa di san Domenico
Piazza della Prefettura
Dall’altra parte della strada c’era il chiosco di “Mastro plastica”, detto “Mastro Pacifico”, e a fianco un ritrovo dove si giocava al calcio balilla, noi bambini andavamo a prendere le gazzose, quando aprivi la bottiglia faceva un sacco di schiuma. Dall’altra parte della piazza c’era il cineteatro “Impero”, a sinistra il Tribunale e a destra la scuola media “La Torraca” dove ho frequentato le scuole medie. In alto, al centro, c’era il grande orologio cittadino.
Andando più avanti si arrivava alla piazza di Ascanio Persio dove c’erano: i fruttivendoli, i pescivendoli e anche il signor Bianchi che, seduto ad un angolo, vicino a degli scalini, vendeva le sue poche cose (origano, prezzemolo e quant’altro). In questa piazzetta c’erano tanti altri negozi come il chioschetto dei gelati, gli empori che vendevano tubi di plastica e altri materiali.
Nella piazza di Ascanio Persio, a sinistra, immediatamente dopo la chiesetta di Malta, c’era una facciata verso i Sassi e lì c’era un chioschetto di legno del giornalaio Cifarelli. Ricordo che andavo a comprare i giornaletti come “Il Monello”, “Topolino”, il “Ti Pi Ti”, ora non esistono più. Non sapevo ancora leggere, guardavo solo le figure. Facevo la collezione di giornalini anche perché con gli altri bambini li scambiavamo così tutti potevamo leggerli. Una volta, un ragazzetto mi disse di fare a scambio ma appena io gli diedi il mio giornalino lui scappò, mi aveva truffato.
Di fronte c’era e, c’è ancora, il Banco di Napoli, a destra, in via del Corso, la chiesa di Santa Lucia, più avanti c’erano le poste, invece, a sinistra, per via Margherita, c’era la macelleria del signor Cappiello soprannominato “tutta paglia”, nome dato perché da ragazzo si era appartato in un fienile con la sua ragazza mentre era andato ad una festa organizzata in una casa, quando ritornò a prendere parte al ballo gli amici iniziarono a prenderlo in giro perché aveva tutta la paglia addosso dicendogli “ma sei tutta paglia!”. Il signor Cappiello aveva fatto per tanti anni il cavaliere della Bruna, come generale.
Dall’altra parte della piazza di Ascanio, all’angolo, c’era il panificio “la casa del pane” dove si comprava: il pane appena sfornato, le focacce, i panini con lo zucchero sopra. A fianco c’era la signora Guendalina che vendeva: i formaggi, il baccalà, l’olio. Una signora molto simpatica.
Scendendo sempre per via Margherita c’era l’emporio del signor Morelli soprannominato “Michele la stoppa” perché aveva iniziato il mestiere del commerciante vendendo stoppa di canapa, materiale utile agli idraulici. Il signore abitava poco più avanti del suo negozio per la via che portava ai Sassi e aveva una moglie tanto loquace, non stava mai zitta.
Proseguendo c’erano alcuni macellai che facevano l’arrosto di fettine di cavallo e, a destra della piazzetta di via Margherita, c’erano i negozi che lavoravano il rame, i cosiddetti calderari, persone che battevano i fogli di rame tanto da farne delle anfore, bracciali, e tanto altro, lo facevano con tanta passione e pazienza.
Avanzando c’era l’uccelleria del signor “vengo subito” dove io comprai dei pappagallini, aveva quel soprannome perché un pomeriggio disse alla moglie “moglie mia vado a comprare le sigarette, vengo subito” ma si ritirò dopo due anni, proprio come “Il Fu Mattia Pascal”. Quando ritornò lo presero tutti in giro chiamandolo “vengo subito”, era comunque una brava persona: consigliava quale animale acquistare e scontava sempre il prezzo.
Da quella strada si saliva per andare alla cattedrale, al Duomo di Matera.