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Migranti, è scontro Macron-Salvini

Migranti, è scontro Macron-Salvini

cms_9531/salvini_macron_porta_afp_(1).jpgInvitiamo l’arrogante presidente Macron a smetterla con gli insulti e a dimostrare la generosità con i fatti aprendo i tanti porti francesi e smettendo di respingere donne, bambini e uomini a Ventimiglia”. Il ministro Salvini all’attacco di Macron. A scatenare l’ira del titolare del Viminale, le parole del presidente francese secondo il quale non solo “l’Europa non attraversa una crisi migratoria come quella del 2015”, ma “l’Italia non ha la stessa pressione migratoria dell’anno scorso” ed è solo questa “la realtà” dei fatti.

“650mila sbarchi in 4 anni, 430mila domande presentate in Italia, 170mila presunti profughi a oggi ospitati in alberghi, caserme e appartamenti per una spesa superiore a 5 miliardi di euro – ha quindi replicato il vice premier italiano -. Se per l’arrogante presidente Macron questo non è un problema, lo invitiamo a smetterla con gli insulti e a dimostrare la generosità con i fatti aprendo i tanti porti francesi e smettendo di respingere donne, bambini e uomini a Ventimiglia”.

E ancora: “Se l’arroganza francese pensa di trasformare l’Italia nel campo profughi di tutt’Europa, magari dando qualche euro di mancia, ha totalmente sbagliato a capire“, ha tuonato Matteo Salvini.

Ma per Macron, in conferenza stampa con il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez, quella in Europa non è una crisi migratoria, ma una “crisi politica”. Contro il rischio dei nazionalismi “servono soluzioni europee”, ha aggiunto il presidente francese che ha invocato “umanità ed efficacia” di fronte alla questione migratoria. “Gli sbarchi devono rispettare le regole e i principi umanitari del soccorso,” e avvenire “nel porto sicuro più vicino”, ha detto ancora Macron, che auspica “centri chiusi” nel paese d’arrivo dei migranti “con mezzi europei”. E chiede che sia l’Europa a gestire, “con procedure rapide”, la valutazione delle richieste d’asilo, la ripartizione fra i paesi membri di chi ne ha diritto e il rinvio in patria di chi non ne ha.

Secondo Macron, il fardello che pesa sull’Italia non sono tanto gli sbarchi, che sono diminuiti, quanto le persone che rimangono nel paese senza avere diritto d’asilo. E per questo serve la solidarietà europea nei rimpatri. Quanto ad hotspot fuori dall’Europa, Macron ritiene che possano esserci solo se rispettano i principi dell’Unhcr e sono approvati dal paese ospite, di cui va rispettata la sovranità.

DI MAIO – E il ministro Salvini non è l’unico esponente del governo italiano ad attaccare il presidente francese. Nel tardo pomeriggio arriva anche il commento del ministro Luigi Di Maio, per il quale Macron è “fuori dalla realtà”. “Le dichiarazioni di Macron sul fatto che in Italia non esista una crisi migratoria dimostrano come sia completamente fuori dalla realtà. Evidentemente i governi italiani precedenti gli avevano raccontato che il problema non esisteva, forse per far continuare indisturbato il business dell’immigrazione”, scrive su Facebook il vice premier.

In Italia l’emergenza immigrazione esiste eccome ed è alimentata anche dalla Francia con i continui respingimenti alla frontiera. Macron sta candidando il suo Paese a diventare il nemico numero uno dell’Italia su questa emergenza, il popolo francese è sempre stato solidale e amico degli italiani. Ascolti loro, non chi fa soldi sulla pelle di quelle persone”, afferma ancora il ministro dello Sviluppo e del Lavoro.

“È ufficialmente finita l’epoca in cui l’Italia si fa carico di tutto. Noi scriviamo la parola fine al business dell’immigrazione. Gli Hotspot nei Paesi di primo sbarco vorrebbe dire ’Italia pensaci tu’. Non esiste -sottolinea Di Maio -. I centri vanno realizzati nei paesi di origine e transito e devono essere a guida europea. Questo è quello che il MoVimento 5 Stelle chiede da anni ed è quello che chiederà il presidente Conte a Bruxelles. Non arretreremo di un millimetro. È l’ora della solidarietà europea!”.

Migranti, l’ultimatum del ministro tedesco

cms_9531/HorstSeehofer_afp.jpgIl ministro dell’Interno tedesco Horst Seehofer non intende fare marcia indietro nella sua disputa con la cancelliera Angela Merkel sui migranti. “Se il summit Ue non porterà a soluzioni efficaci, i migranti già registrati in un altro Paese verranno respinti“, ha ribadito oggi in un’intervista concessa alla Sueddeutsche Zeitung. Seehofer ha sottolineato di non aver mai chiesto la chiusura totale dei confini. “Si tratta – ha detto – di essere in grado di condurre respingimenti in maniera efficace”.

Seehofer ha detto di ritenere che sarebbe inusuale se la cancelliera facesse uso del suo potere di veto per fermare il suo piano. “Non permetteremo che ciò accada”, ha proseguito, accusando la Merkel di aver “fatto di un sassolino una montagna”.

La disputa fra la cancelliera e Seehofer, leader della Csu, ramo bavarese della Cdu della Merkel, rischia di provocare una grave crisi in seno alla coalizione di governo tedesca. Se la Csu dovesse uscire, l’alleanza Cdu-Spd non avrebbe più la maggioranza.

Una disputa che sta “danneggiando il Paese” ha ammonito il socialdemocratico Olaf Scholz, vice cancelliere e ministro delle Finanze del governo tedesco, che scarta l’ipotesi di elezioni anticipate.

Un duro attacco è arrivato dalla leader dell’Spd, Andrea Nahles, contro i partner di governo della Csu bavarese, accusati di avviarsi verso “una Brexit tedesca”. In un discorso ai membri del partito socialdemocratico del land del Nord Reno Vestfalia, Nahles ha definito il ministro dell’Interno Horst Seehofer “un pericolo per l’Europa“.

La leader dell’Spd ha fatto un parallelo fra lo scontro sui migranti in seno al governo tedesco e la retorica dei conservatori britannici prima del referendum sulla Brexit, dicendo di non voler permettere che la vicenda spacchi il governo ad appena cento giorni dal suo insediamento.

I leader della coalizione di governo si incontreranno martedì per discutere della crisi in corso. L’incontro avverrà dopo il prevertice europeo di domani a Bruxelles e alla vigilia del summit europeo del 28 e 29 giugno.

Pedofilia, 5 anni a monsignor Capella

cms_9531/sanpietro_vaticano_fg.jpgCinque anni e 5mila euro di multa a monsignor Carlo Alberto Capella, ex diplomatico vaticano, condannato per divulgazione, trasmissione, offerta e detenzione di materiale pedopornografico. Lo ha stabilito il Tribunale vaticano presieduto da Giuseppe Dalla Torre dopo un’ora di camera di consiglio.Nel dettaglio, il Tribunale ha inflitto la condanna “aumentata per la continuazione del reato e bilanciata con le attenuanti generiche del contegno processuale”.

Spero che questa situazione possa essere considerata un incidente di percorso”, ha detto Capella in una dichiarazione spontanea ai giudici del Tribunale vaticano. Vestito in clergymen, ha osservato: “Gli errori fatti sono evidenti, come evidente il periodo di particolare fragilità. Sono dispiaciuto che la mia debolezza abbia addolorato la mia famiglia, la mia diocesi e la Santa Sede. Sono pentito e rammaricato. Spero che questa situazione possa essere considerata un incidente di percorso”.

Per Capella, che prima che i giudici si ritirassero in camera di consiglio ha detto di voler continuare il percorso terapeutico, il pg aveva chiesto 5 anni e 9 mesi e una multa di diecimila euro. Nella sostanza, l’accusa aveva chiesto ai giudici del Tribunale vaticano di infliggere all’ex numero tre della diplomazia vaticana a Washington l’aggravante dell’ingente quantità di materiale pedopornografico.

Di contro, la difesa di Capella, rappresentata dall’avvocato Roberto Borgogno, aveva chiesto che venisse applicata una pena “contenuta nei minimi applicabili”, sostenendo che le contestazioni mosse al presule rientrano in “comportamenti che non sono indice di pericolosità ma di un disagio frutto di una crisi esistenziale maturata alla notizia del trasferimento da Roma a Washington”. Contestata anche l’ingente quantità del materiale (tra le quaranta immagini tra foto, video e fumetti). Secondo l’accusa invece, a Capella doveva essere applicata una condanna con l’aggravante dell’ingente quantità che tenesse conto della “volontarietà” e della “reiterazione nel tempo” dei reati contestati.

La sentenza emessa dal Tribunale vaticano nei confronti di monsignor Capella, a quanto si apprende, nei fatti tiene conto dell’aggravante “dell’ingente quantità” di materiale pedopornografico detenuto e divulgato da Capella.

Tuttavia, ai fini della quantificazione della pena, l’aggravante contestata è stata dichiarata equivalente alle attenuanti generiche. Quindi, nella pratica, l’una ha assorbito l’altra. La sentenza di oggi si può considerare una sentenza apripista per questo genere di reato.

L’ex diplomatico vaticano è detenuto in una cella della caserma della Gendarmeria vaticana. Dopo la condanna penale del Tribunale vaticano, il passo successivo potrebbe essere l’istruzione di un processo canonico per la riduzione in stato laicale del monsignore che, nella dichiarazione spontanea ai giudici, prima che si ritirassero in camera di consiglio, ha detto di amare “ancora di più la vita sacerdotale”. In caso di istruzione del nuovo processo, le carte processuali passerebbero alla Congregazione della Dottrina della Fede.

LA SENTENZA – “In nome di Sua Santità papa Francesco, – si legge nel dispositivo – il Tribunale, ritenuti i fatti oggetto di contestazione come complessivamente riconducibili alla fattispecie prevista e punita dall’art. 10, comma 3, della legge n. VIII del 2013, ritenute in particolare sussistenti le condotte di divulgazione, trasmissione, offerta, nonché di detenzione a tali fini di materiale pedopornografico, con conseguente assorbimento della più grave fattispecie de qua della sussidiaria ipotesi di cui all’art. 11 della citata legge, visto l’art. 422 c.p.p., dichiara l’imputato Carlo Alberto Capella colpevole del reato ascrittogli e lo condanna alla pena di 5 anni di reclusione, e cinquemila euro di multa”.

Nel dettaglio, spiega la sentenza, la pena è stata così calcolata: “Pena base di quattro anni di reclusione e quattromila euro di multa, aumentati per la continuazione nella misura finale indicata, con bilanciamento della contestata aggravante di cui all’art. 10, comma 5, della legge n. VIII del 2013 con le circostanze attenuanti generiche come previste dall’art. 59 c.p., così come modificato dall’art. 26 della legge n. L del 1969, concesse anche in ragione del contegno processuale dell’imputato; visti gli artt. 612 c.p.p. e 36 c.p., ordina la confisca di quanto in sequestro; visti l’art. 39 c.p. e l’art. 429 c.p.p., condanna l’imputato al rifacimento delle spese processuali”.

Il collegio giudicante era composto dal presidente Giuseppe Dalla Torre; i giudici Venerando Marano, Bonzano Carlo. L’accusa è stata rappresentata dal Promotore di Giustizia Gian Piero Milano e da Roberto Zannotti.

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24 Giugno 2018