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Minori sempre più soli davanti allo schermo

Nativi digitali sempre connessi e attaccati a uno schermo per molte ore al giorno. È questo il desolante quadro di quello che fanno i nostri figli con i media e che ci fornisce il Censis attraverso la ricerca “Media e Minori” realizzata con il Corecom Lazio. Già dall’età di 10 anni l’80% dei ragazzi è in grado benissimo di accendere la tv, mentre il 51% naviga non solo senza problemi su Internet, ma anche in completa solitudine.

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Ma non è tutto, perché già a 7 anni si ha tra le mani un cellulare, meglio, uno smartphone.Se si passa poi all’analisi del rapporto che i minori hanno con la televisione, si ha la conferma che ci troviamo di fronte a una grossa fetta della nostra giovane popolazione che non riesce proprio a fare a meno di uno schermo: nove ragazzi su dieci di età sino a 13 anni guardano la tv fino a tre ore al giorno. Quella che emerge da questa ricerca è dunque una fotografia pericolosa, da valutare attraverso l’intervento di famiglie, istituzioni ed editori. Ma se da una parte le famiglie lamentano molto spesso il loro disagio di fronte al comportamento dei loro figli e chiedono, velleitariamente, più protezioni, dall’altra vi è un paradossale modo di fare di editori e politica che mettono in campo metodi e controlli spesso inutili.

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Molti genitori abbandonano letteralmente i propri ragazzi davanti a un qualsiasi schermo, trasformando tv, computer e tablet in baby sitter elettroniche non pagate. Ma non solo. Le famiglie poste di fronte alle loro responsabilità di primi educatori della loro prole, sfuggono a questo richiamo e si rifugiano nella scusa di non avere tempo a disposizione da poter trascorrere loro accanto. E se la difesa da parte dei genitori non trova una solida base giustificativa, non funzionano neanche tutte quelle politiche di tutela dei minori messe in campo dalle istituzioni e dagli operatori della comunicazione.

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I parental control, per esempio, ovvero il filtro elettronico delle tv per impedire la visione di programmi non adatti a un certo tipo di pubblico, sono risultati dei flop a causa sempre delle stesse famiglie che non li hanno utilizzati, liberalizzando dunque molte emittenti private a poter trasmettere in piena libertà e senza vincoli di orario ogni tipo di contenuto considerato “pericoloso” per un certo tipo di pubblico. Per non parlare poi della Rete e dei videogiochi: praticamente impossibile predisporre filtri sui pc, anche perché sono in pochi quelli che si premurano di farlo e similmente appare inattuabile proibire l’uso di una consolle casalinga ai ragazzi, anche perché molto spesso sono gli stessi genitori ad avvalersene. Passando infine all’uso dello smartphone, si sa come molte famiglie siano propense a dotare i loro figli di un cellulare più che altro per poterne controllare i movimenti e gli spostamenti, ma i ragazzi poi usano questo strumento per ben altri scopi che non si riallacciano certamente alla finalità iniziale del suo acquisto.

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Emergono quindi alcune doverose considerazioni: le famiglie si comportano molto spesso in maniera fatalista di fronte alle scelte di utilizzo dei media da parte dei loro figli. Lamentano eccessi e usi smodati delle nuove tecnologie ma fanno ben poco per frenare questa ingordigia digitale. Istituzioni ed editori sembra vadano a braccetto in questo contesto di iperconsumo mediatico. Appare comodo e remunerativo a entrambi avvantaggiarsi di un pubblico giovane e molto spesso sensibile al consumo emotivo. L’uso critico e intelligente dei media passa obbligatoriamente da una sinergia comportamentale e da una sinfonia culturale condivisa che riguarda tutte le differenti agenzie di socializzazione che il ragazzo attraversa nel corso degli anni, in grado di fornirli una dimensione identitaria definita attraverso tappe esperienziali. Del resto gli anticorpi nei confronti del mainstream hanno bisogno di maturare. Cum grano salis.

Data:

25 Aprile 2015