Dopo l’azione intrapresa da Stati Uniti e Gran Bretagna, anche l’Unione Europea sta valutando un’operazione congiunta nel Mar Rosso, a tutela del commercio navale in transito, messo a rischio dalle condotte terroristiche degli Houthi. Se, come sembra, verrà dato il via libera già la settimana prossima, il consenso sarà raggiunto, nonché promosso, anche per spinta italiana. “Nel Mar Rosso stiamo lavorando perché accanto all’operazione Atalanta possa esserci una missione militare europea. L’ipotesi è di allargare quella attiva a Hormuz (la Agenor) per proteggere i traffici commerciali”, ha dichiarato il ministro degli Esteri Antonio Tajani nel corso di una conferenza stampa, annunciando che l’argomento sarà sul tavolo del Consiglio Esteri convocato per il prossimo lunedì e che “potrebbero partecipare anche Paesi extra-Ue. Stiamo formalizzando, con Francia e Germania, una proposta da presentare agli altri partner Ue”.
L’eventuale adesione di Paesi terzi è indice di quanto il problema coinvolga una moltitudine di attori e attanagli tutto l’Occidente. Attraverso il Mar Rosso, e tramite il canale di Suez, passa circa il 12% del commercio mondiale e il 30% di tutto il traffico commerciale navale. Non essendo quella rotta più sicura, le compagnie devono circumnavigare tutta l’Africa, non solo rispolverando le cartine di rotta utilizzate oltre cento anni fa, ma facendo lievitare i costi di tutti i beni, anche primari. Una conseguenza che si somma all’inflazione globale e ai costi lievitati già alla partenza, a causa dei vari conflitti bellici esistenti, con il risultato di rendere i prezzi finali pressoché improponibili. E questo nella migliore delle ipotesi, visto che in ogni caso vengono accumulati notevoli ritardi nella catena di produzione e negli approvvigionamenti. Antonio Tajani ha precisato che la missione sarà meramente difensiva, specificando che “le navi nel Mar Rosso non hanno regole d’ingaggio, ma hanno il diritto di difendere e proteggere, anche con l’uso delle armi, le navi mercantili ove mai fossero attaccate”.
L’iniziativa dell’asse Londra-Washington è stata unilaterale e non condivisa da molti altri Paesi, tra cui la Russia che, piuttosto, ha invocato la violazione dell’art. 2 della Carta dell’Onu, che vieta di minare l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di uno Stato. I bombardamenti delle postazioni dei ribelli Houthi sono comunque piovuti sul territorio statale dello Yemen acuendo, qualora ce ne fosse stato bisogno, ancor più l’odio da parte della fazione islamica radicalizzata nei confronti degli occidentali. Peraltro, gli attacchi anglo-americani hanno incontrato una fiera resistenza da parte degli stessi Houthi che, tutt’altro che scoraggiati, ne hanno sottolineato l’inconsistenza, promettendo piuttosto di seguitare con l’ostacolo al transito delle navi che, a qualunque titolo, abbiano un rapporto con Israele. “Diciamo agli americani che le vostre azioni contro lo Yemen saranno sconfitte e che vi affronteremo con tutta la nostra forza. Dopo questa aggressione, lo Yemen si trasformerà nel cimitero degli americani e questi lasceranno la regione umiliati”, ha dichiarato Ali al-Qahoum in un’intervista all’agenzia iraniana Irna. Interlocutore scelto non a caso, dal momento che dietro queste milizie c’è l’Iran. In ogni caso, l’interventismo europeo sembra ormai una decisione presa, nonostante le necessarie ulteriori riunioni volte a definire i dettagli tecnico-militari. E nonostante le minacce di ritorsione, da parte degli Houthi, verso ogni singolo Stato che prenderà parte alla missione.