Winnie Madikizela-Mandela, ex moglie di Nelson, si è spenta a 81 anni nel Netcare Milpark Hospital di Johannesburg, come annunciato dal suo portavoce. Insieme all’ex marito, era conosciuta in Sudafrica come la più grande attivista contro l’apartheid. La donna, affettuosamente considerata “madre della nazione”, aveva dovuto sopportare di tutto, anche il carcere e le torture, nel periodo più oscuro della storia del Sudafrica. Deputata, viceministro della cultura e capo dell’African National Congress: questi solo alcuni dei ruoli ricoperti da Winnie nel corso della sua vita. Una figura di fondamentale importanza per la sua patria, specialmente a cavallo degli anni ’80.
Nata da genitori insegnanti, quarta di otto figli, Winnie era riuscita prima a diplomarsi e poi a laurearsi nonostante le restrizioni imposte dall’apartheid. Nel 1957 aveva conosciuto Mandela, sposandosi con lui l’anno successivo. In quegli anni, anche lei aveva iniziato ad appoggiare la causa anti-apartheid. Dopo l’arresto di Nelson, nel ‘63, iniziò per la famiglia un periodo difficile: lei e le loro due bambine, Zenani e Zindzi, poterono visitarlo solo una volta al mese fino al 1990, anno in cui fu liberato. “Poi le visite sono aumentate, e questo ci ha aiutato a creare una specie di legame familiare. Prima, tutto quello che potevano fare le mie bambine con il loro padre era leggere le sue lettere”, queste le parole di Winnie su quei 27 anni di prigionia del marito.
Nel ‘92 i due si separarono, ottenendo il divorzio quattro anni dopo.
In quel periodo fu esiliata con le sue figlie in un villaggio del Brandfort. A detta di alcuni amici, pare che il dolore l’avesse portata all’alcolismo. Nell’ ’85, tuttavia, era tornata a Soweto, lottando contro il regime che aveva imposto la devastazione dei ghetti. Da quel momento, Winnie diventò simbolo della protesta, la donna più amata del Paese.
Sebbene avesse divorziato dal marito, Winnie non l’aveva mai lasciato del tutto, soprattutto per le sue bambine e per il grande impegno politico per il Sudafrica, che li aveva uniti sin dal primo incontro. Difatti, anche durante gli anni di prigionia di Nelson la donna aveva continuato a lottare per i diritti del suo Paese contro il regime dell’apartheid.
Nonostante l’intenso impegno sociale, Winnie è stata una figura molto controversa, per via di alcuni episodi che hanno macchiato la sua reputazione di pacifista. Nell’ ’86, durante il discorso di Museville, aveva espresso chiaramente di essere favorevole alla tortura attraverso il necklacing (che consisteva nel bruciare vivi i condannati dando fuoco a uno pneumatico disposto attorno al collo). Nel ’91, invece, era stata accusata della morte di un giovane ucciso dalle sue guardie del corpo, che lei aveva accusato di essere una spia. Nel ’92 fu sospettata di aver assassinato il medico di famiglia Abu Baher Asvat. Ma Winnie è sempre riuscita a difendersi da queste accuse, anche grazie all’aiuto del marito.