Un anno fa la morte di Mahsa Amini, la 22enne di origini curde arrestata dalla polizia morale in Iran solo perché non indossava correttamente il velo. La ragazza morì in ospedale. A ricordarla oggi diverse persone a Teheran, che hanno dato vita ad alcune manifestazioni. Tra i primi ad onorare la memoria della ragazza il padre, Amjad Amini. La risposta della polizia non si è fatta attendere, sparando sulla folla. Amjad Amini è stato precauzionalmente arrestato. Le notizie giungono da diversi post sui social pubblicati da attivisti, ong e dissidenti iraniani. Le forze di sicurezza si erano preparate a questi possibili eventi, tanto da raggiungere nei giorni scorsi Amjad ed intimargli di non organizzare alcuna cerimonia in onore della figlia e di non rilasciare alcuna dichiarazione, pena l’arresto – per rappresaglia – anche dell’altro figlio Ashkan. Il genitore è stato poi posto sotto sorveglianza, gli attivisti parlano addirittura di sottoposizione agli arresti domiciliari. Nonostante questo, le manifestazioni popolari sono state organizzate, in piazza, specie nei pressi dell’università di Teheran e della piazza Azadi, ma la polizia ha aperto il fuoco. Erano stati addirittura previsti presidi di controllo nei cimiteri ove furono sepolti i manifestanti uccisi lo scorso anno durante gli scontri con le forze dell’ordine, dopo la diffusione della notizia della morte di Mahsa. Nella sola ultima settimana, a seguito dei controlli e delle repressioni, sono stati arrestati una trentina di attivisti che programmavano le celebrazioni.
Nella città di Zahedan, in Iran, l’Imam ha osato ricordare durante la preghiera Mahsa e tutti i morti che hanno lottato per la libertà nel corso delle proteste dello scorso anno: l’unica notizia giunta è stata l’immediata interruzione della preghiera, che veniva trasmessa in diretta su internet. A Sarpol-e- Zahab la motivazione cui sono stati ricondotti gli arresti parlava di “azioni mirate ad incoraggiare il popolo a partecipare a proteste”. Particolare attenzione è stata rivolta nel Kurdistan iraniano, specie nella città di Saqqez, città dalla quale Mahsa proveniva, con esplicite minacce della polizia rivolte ai cittadini: eventuali proteste sarebbero state soffocate con veemenza. Gli alberghi non accettavano prenotazioni da stranieri (probabilmente una delle tante prescrizioni di polizia) e la tomba della ragazza è stata posta sotto videosorveglianza. “Un certo numero di persone che stavano scattando foto e girando video di negozi e centri commerciali per mandarli a media dissidenti all’estero sono state arrestate dalle forze di sicurezza questa mattina” ha dichiarato ieri Mehdi Ramezani, vicegovernatore generale della provincia curda in questione.
Mahsa Amini, che veniva descritta dalla sua stessa famiglia “una ragazza come tante della sua età”, il 13 settembre 2022 si trovava a Teheran dove viveva il fratello. Giunta nei pressi di una stazione della metropolitana fu fermata da una pattuglia della polizia morale, che la sorprese con alcuni capelli che fuoriuscivano dal velo. Immediatamente arrestata davanti ad un fratello inerme, fu portata negli uffici di polizia per essere avviata ad un “corso di rieducazione morale”. Il fratello non l’avrebbe mai più vista poiché, giunto agli uffici ove era stata condotta, fu avvisato dagli agenti che la stessa, colta da un malessere, era stata trasportata in ospedale. Qui giunse in stato comatoso, morì tre giorni dopo, il 16 settembre 2022. Sebbene i referti escludessero violenze fisiche e correlassero la morte “ad un intervento chirurgico per un tumore al cervello all’età di otto anni”, la famiglia non ha mai creduto a questa tesi, ritenendo “le autorità iraniane responsabili dell’uccisione di Mahsa per mano delle forze di sicurezza”. La notizia provocò un’ondata di spontanee proteste contro il governo, in tutto il paese, prolungatesi per mesi e represse dalla polizia molto duramente: circa 20mila arresti, 551 morti, sette condanne a morte eseguite furono il triste bilancio secondo l’agenzia per i diritti umani Hrana. La condanna verso il governo di Teheran si levò da tutto l’Occidente, seguita da diverse sanzioni economiche contro quel regime. “Veniamo uccisi perché vogliamo vivere come gli altri esseri umani” si legge oggi in una dichiarazione del Fronte Nazionale dell’Iran. Le proteste ci sono e sono vive, ma la strada per i diritti delle donne in Iran è ancora impervia.