Chi non ricorda i numerosi e pesanti lingotti d’oro seppelliti nella terra dei vasi dei fiori e delle piante?
Bene, oggi, ci si è meglio specializzati, si è passati a nascondere direttamente i soldi in giardino, perché perdere tempo a tramutarli in oro? I fiumi d’inchostro, che si sono consumati in questi ultimi giorni, hanno portato a conoscenza dell’opinione pubblica la dilagante corruzione che ha macchiato l’onore della Guardia di finanza, con l’arresto del Generale, ora in pensione, Emilio Spaziante, del Comandante di Livorno Fabio Mendella e le indagini a carico del numero due delle fiamme Gialle, Generale Vito Bardi.
L’indagine di Venezia è nata agli inizi del 2009 quando il Colonnello Renzo Nisi, responsabile del nucleo di Polizia tributaria della città, prima in servizio a Milano, decise di procedere con alcune verifiche fiscali sul Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico dei lavori per il Mose. Si scoperchiò così il vaso di Pandora e i venti in esso contenuti, cominciarono a soffiare nefastamente, ponendo in evidenza tutta la prorompente forza della corruzione. Il metodo del Colonnello Nisi, antico ma sempre efficace, consistette nello approfondire i conti correnti e le proprietà di chi era sospettato di corruzione e risalire la corrente, su, fino alla pubblica amministrazione, alla politica, ai funzionari infedeli.
Non è stato per niente facile per il Colonnello Nisi e per i suoi ottimi uomini, rendersi conto che forse anche tra i loro superiori c’era chi aveva tradito, spifferando agli indagati notizie su intercettazioni, inchieste, provvedimenti dell’autorità giudiziaria. Comunque le indagini, nonostante i vari intrecci, sono andate avanti, con scrupolosa e silenziosa professionalità. Oggi, il Colonnello Renzo Nisi, dopo il terremoto che ha scosso il Veneto, è in servizio a Roma e alle domande di noi giornalisti, sul caso Mose, risponde così: “Grazie, ma se ne stanno occupando i miei colleghi”. Una risposta che mostra, fino in fondo, l’affidabilità degli uomini delle fiamme gialle.