La Pasqua è il cuore vibrante dell’esperienza cristiana. Più ancora del Natale, essa è scandita dal silenzio, dal dolore e dalla luce che segue la notte. È la soglia tra la croce e il mattino vuoto del sepolcro, tra l’assenza e la presenza trasfigurata. Questo mistero, immenso e fragile, ha dato vita a una delle più grandi fioriture artistiche della civiltà occidentale. Soprattutto la musica ha saputo attraversare il mistero pasquale con la sua lingua invisibile, che va oltre le parole.

Tra le vette più alte della musica sacra, le “Passioni” di Johann Sebastian Bach svettano come cattedrali sonore.
La” Passione secondo Matteo “(1727) e La” Passione secondo Giovanni “(1724) non sono solo opere religiose, ma veri drammi interiori.
Il racconto evangelico si intreccia con arie struggenti e corali corali, in cui l’ascoltatore non è un semplice testimone, ma un protagonista spirituale.
Bach stesso scriveva: “Il fine e l’ultimo scopo di tutta la musica non dovrebbe essere altro che la gloria di Dio e il ristoro dell’anima.”
In queste opere, ogni nota è profondamente incarnata. L’aria” Erbarme dich, mein Gott “(Abbi pietà di me, o Dio) della” Matthäus-Passion “è una delle preghiere più intense mai scritte in musica.

Accanto al dolore, la musica pasquale sa anche cantare la luce. Georg Friedrich Haendel nel suo “Messia “(1741) unisce la narrazione profetica alla celebrazione della Resurrezione.
Il celebre “Hallelujah”, spesso eseguito anche a Pasqua, non è solo gioia sonora, ma esultanza teologica: “Il Signore Dio onnipotente regna!”. Un’esplosione di fede che ha fatto dire a Beethoven: “Haendel è il più grande di tutti.
Da lui si può imparare a fare cose solenni in modo semplice.”
Se Bach e Haendel dipingono grandi affreschi, altri compositori si soffermano sulla tenerezza del dolore. Lo” Stabat Mater”, poema medievale attribuito a Jacopone da Todi, ha ispirato capolavori che vanno dritti al cuore.

La versione di Giovanni Battista Pergolesi (1736), composta poco prima di morire a soli 26 anni, è forse la più celebre.
Due voci – soprano e contralto – si alternano in un lamento dolcissimo e solenne.
Non gridano: sussurrano, piangono, pregano. Altre versioni importanti sono quelle di Rossini, Vivaldi, Dvořák, Poulenc.
In ognuna, la figura di Maria addolorata diventa specchio del dolore umano, reso nobile e luminoso dal suo silenzioso amore.

Joseph Haydn, con “Le sette ultime parole di Cristo sulla croce” (1787), offre una meditazione musicale unica.
Nata per accompagnare una liturgia del Venerdì Santo, l’opera alterna momenti orchestrali adatti al raccoglimento e riflessioni profonde su ogni parola pronunciata da Cristo sulla croce.
Esistono versioni per quartetto, per orchestra e persino con coro e solisti. È una musica che respira, che lascia spazio al silenzio, che insegna ad ascoltare anche l’assenza.
Molto prima del barocco, la Chiesa ha cantato la Pasqua con le voci pure del canto gregoriano. Il “Victimae paschali laudes”, sequenza dell’XI secolo, annuncia la Resurrezione con una solennità sobria ma vibrante. Le antifone della Settimana Santa, come” Tenebrae factae sunt” o “Ubi caritas”, sono pietre preziose di preghiera sonora. Dal gregoriano fiorisce la polifonia rinascimentale: Palestrina, Victoria, Lassus e Byrd scrivono mottetti e messe pasquali di impalpabile bellezza, dove ogni voce è come un raggio di luce tra le pietre dell’antico tempio.

Alcuni compositori da riscoprire:
Marc-Antoine Charpentier, con il suo “Te Deum “e i mottetti per la Settimana Santa; Dietrich Buxtehude, precursore di Bach, con cantate intense come “Membra Jesu nostri”;
Francis Poulenc, nel XX secolo, con le” Litanies à la Vierge noire” e “Stabat Mater”, dove la dissonanza si fa preghiera moderna.
Mentre la musica eleva, la pittura racconta.

Le immagini della Passione e della Resurrezione hanno accompagnato per secoli i fedeli nella comprensione del mistero: Giotto, nella “Lamentazione sul Cristo morto”, affresca il silenzio che segue il grido;

Piero della Francesca, nella “Resurrezione”, mostra un Cristo che non sale ma vigila, custode di un’umanità ferita; Caravaggio ci getta nella carne e nel sangue della “Passione “con drammatica potenza; Grünewald, con la sua “Crocifissione”, anticipa il dolore dell’umanità moderna.
La musica pasquale è un viaggio: comincia con le ombre del Getsemani, attraversa la croce e si apre infine alla luce della Resurrezione. In ogni epoca, i compositori hanno cercato di tradurre questo passaggio con strumenti diversi, ma con una stessa tensione: dare voce all’invisibile.
In un mondo spesso affannato e disattento, riscoprire queste musiche e queste immagini significa entrare in uno spazio sacro, dove la bellezza non è ornamento, ma verità. E la Pasqua – cantata, suonata, dipinta – torna ad essere ciò che è sempre stata: una soglia luminosa tra il buio del mondo e il canto dell’eternità.