Per quanto si cerchi di non pensarci, nonostante il comprensibile bombardamento mediatico cui siamo soggetti in queste settimane, qualsiasi conseguenza presente o futura è riconducibile alla crisi russo-ucraina. Una di esse riguarda il rincaro dei prezzi, che ha coinvolto in primis il carburante e poi gli alimentari, per poi estendersi all’intero tenore di vita delle persone. 27%: questo è il dato che certifica l’aumento del prezzo alimentare mondiale, a seguito di alcune misure per la riduzione dei gas serra in agricoltura e per l’usufrutto del suolo. Questo è il risultato primo di uno studio condotto dai ricercatori di IIASA, Giappone e Stati Uniti d’America, e pubblicato su Nature Food. Ciò comporterebbe una diminuzione del consumo di cibo tra i poveri dei paesi in via di sviluppo, conseguendo un aumento a 120 milioni di persone a rischio fame. Secondo gli autori della ricerca questo rischio sarebbe per il 50% dell’imboschimento su larga scala, per il 33% dell’aumento dei costi di abbattimento del metano e per il 14% dell’espansione delle colture bioenergetiche.
Tenendo in conto solamente le condizioni socioeconomiche, tra cui la crescita futura della popolazione e il miglioramento del livello economico, i numeri indicano che nel 2050 circa 450 milioni di persone saranno a rischio fame. L’anno scorso anche Save The Children aveva fornito qualche dato inequivocabile. A partire dall’8.4% del 2019, si stima che nel 2020 il 12% della popolazione mondiale abbia vissuto in uno stato di pesante incertezza alimentare. “La fame è causa e conseguenza di conflitti– riporta – Si stima che il 60% delle persone e l’80% dei bambini che soffrono la fame nel mondo viva in Paesi in cui vi sono conflitti in corso, la maggior parte dei quali è causato da controversie sul cibo, sull’acqua o sulle risorse necessarie per produrli”.
L’ultimo State of Food Security and Nutrition in the World, Stato della Sicurezza Alimentare e della Nutrizione nel mondo, dell’ONU entra un po’ più nello specifico: quasi 690 milioni di persone hanno patito la fame nel 2019, con un aumento di 10 milioni rispetto al 2018 e di quasi 60 milioni in cinque anni. “Precedenti studi – spiega Shinichiro Fujimori, ricercatore ospite del programma IIASA per l’energia, il clima e l’ambiente e autore principale dello studio – hanno evidenziato che le strategie di decarbonizzazione nei settori dell’agricoltura e dell’uso del suolo potrebbero portare a prezzi alimentari più elevati e potenziali impatti negativi sulla sicurezza alimentare, ma non è chiaro quale dei tre fattori principali avrebbe il maggiore impatto.” Con la possibile riapertura delle centrali a carbone probabilmente la prima.“In questo studio, abbiamo utilizzato sei modelli economici agricoli globali per mostrare in che misura questi tre fattori cambierebbero il mercato agricolo e la situazione della sicurezza alimentare in uno scenario di decarbonizzazione“.