Il nome del mese di febbraio deriva dal latino februarius, derivato di februus ‘purificante’, perché in tale mese si svolgevano riti di purificazione ed espiazione in onore del dio etrusco Februus, dio della morte (e della purificazione) ma anche probabilmente in ossequio a Febronia, dea considerata protettrice delle febbri. Tali riti erano celebrati durante i Lupercali, festività romana che si celebrava nei giorni nefasti di febbraio, mese dedicato, si ripete, alla purificazione.
Nel calendario gregoriano, introdotto nel 1582 da Papa Gregorio XIII, risulta essere il secondo mese dell’anno.
Tra le varianti della forma toscana e poi italiana febbraio troviamo quelle antiche e regionali febbraro e febraro
Tra i dizionari sincronici il GRADIT registra anche ferraio (il GDLI riporta anche il diminutivo ferraietto e il vezzeggiativo ferraiuzzo, entrambi con esempi tratti dai Proverbi toscani).
L’Atlante Lessicale Toscano (ALT) riporta la forma ferraio ancora negli anni ’80 in tutta la regione, al di fuori della Lunigiana, dove prevale invece la variante ferraro.
Alla base dei derivati non sempre c’è la forma toscana e poi italiana febbraio, ma a volte anche febbraro.
Febbraieggiare/febbreggiare
Come gennareggiare, anche il verbo febbreggiare è proprio dei proverbi e si trova tipicamente nella forma se febbraio non febbreggia…, a indicare che il mese di febbraio non si comporta come dovrebbe, facendo il tempo caratteristico della stagione.
Uno degli esempi riportati dai dizionari che registrano il termine (Tommaseo-Bellini, GDLI) è il proverbio toscano Se febbraio non febbreggia marzo campeggia [= ‘se febbraio non è freddo, marzo è troppo rigoglioso, ci saranno troppe erbe’], presente anche nei dizionari di proverbi italiani (come Boggione e Massobrio 2004 o Lapucci 2006). Nell’Atlante Paremiologico Italiano sono attestate anche le varianti Se febbraio non febbrareggia… e Se febbraio non febbraresca. In Lapucci (2006) si trova anche la forma toscana febbraieggiare, in un proverbio che fornisce alcuni suggerimenti su come vestirsi durante i dodici mesi (in questo caso febbraieggia significa che febbraio un po’ gela e un po’ mostra il sole) e nel dizionario greco salentino del 1981
Febbraiese/febbrarese
Come abbiamo visto per gennaiese/gennarese, è possibile rintracciare in rete alcuni aggettivi (anche sostantivati), non registrati dai dizionari sincronici, usati in riferimento ad alcune colture e i cui nomi derivano dal mese della raccolta. Così, ad esempio, il cavolfiore tipico della zona napoletana annovera tra le specie il febbraiese/febbrarese e la cipolla bianca comprende le tipologie febbrarese, aprilatica e giugnese:
Gli ecotipi locali differiscono principalmente per l’epoca di raccolta che dipende dal ciclo colturale e quindi dall’epoca di maturazione che va da febbraio a giugno. Gli ecotipi prendono infatti il nome dall’epoca di raccolta: Febbrarese, Marzatica, Aprilatica, Maggiaiola e Giugnese. In questo modo, il coltivatore può fornire un prodotto fresco per lungo tempo sul mercato, evitando problemi e costi dovuti alla conservazione. (Emanuela Fontana, Il valore nutraceutico delle cipolle Bianca di Pompei aumenta in primavera, FreshPlaza.it, 14/03/2017)
Febbraino/febbrarino
Nel volume I giorni e le opere di Venezia (Treviso, Edizioni della Galleria, 1985), il filologo Francesco Semi segnala la voce febbrarino, affermando che “questo aggettivo manca nei vocabolari, ma l’ho udito ripetere a Vicenza e Verona”; in realtà, l’aggettivo risulta attestato anche in italiano, almeno per quanto riguarda le occorrenze in rete. Se ne trova comunque traccia anche nella letteratura, come mostra l’esempio seguente:
C’era un po’ di nebbia febbrarina, degli ultimi di febbraio, erano le primissime luci dell’alba ma la stazione era affollata come un veglione di carnevale, solo che non c’era musica, né danze, né stelle filanti. (Giorgio Scerbanenco, Il centodelitti, Garzanti, 1970, p. 182)
In rete è attestata anche la forma febbraino, associata soprattutto alle condizioni meteorologiche (aria febbraina, giorno febbraino, sera febbraina, sole febbraino, ecc.). Il termine è però principalmente usato come diminutivo di febbraio nella tradizione proverbiale: febbraino corto e malandrino (e varianti: febbraio febbraino, mese corto e malandrino; febbraio febbraino, freddo, corto e malandrino); febbraino ogni erba il suo capolino. Anche il diminutivo febbraietto si trova esclusivamente nelle sentenze proverbiali: febbraio febbraietto, mese corto e maledetto e variante febbraio febbraietto, corto e maledetto.
Febbraiolo/febbraiuolo/febbrarolo
Febbraiuolo è registrato (soltanto) dal GDLI come aggettivo raro che significa ‘di febbraio’ o, in riferimento a un’erba o un fiore, ‘che spunta in febbraio’.
Nell’esempio fornito dal GDLI viene impiegata la variante febbraiolo:
Sopra un cuscino d’erba febbraiola / io vorrei coricarmi / soffiando tutti il mio fiato di vecchio / nella sottile calza della befana / lasciata dalla biscia tra le foglie.
(C. Govoni, Preghiera al trifoglio, Roma, 1951, p.108)
L’aggettivo è presente anche nelle sentenze proverbiali nelle diverse varianti regionali. In Toscana ad esempio si hanno le forme febraiola e febbraiola: né d’erba febraiola né di donna festaiola non ti fidare e neve febbraiola dura una tosse e una cacaiola, ovvero ‘rimane a lungo’ (come ci spiega Lapucci 2006, p. 1011, “la misura del tempo allude al fatto che la tosse invernale è lunga e spesso sparisce solo con la stagione primaverile; il disturbo intestinale richiede per la guarigione un periodo di tempo non lungo, ma comunque con risentimenti continui”). Lo stesso proverbio si rintraccia in Veneto con la variante febrarola: la neve febrarola, la dura ’na cagarola.
Nel questionario dell’Atlante Paremiologico Italiano (2000) si trova anche la forma febbrarola:
Il primo la febbrarola
Il due la Candelora
Il tre san Biagio e le feste son passate;
risponde San mattia:
“ancora ci sono io
E a chi non guarda la mia festa
Gli spacco la mazza in testa”.
Concludo la carrellata delle curiosità linguistiche rinviando all’Accademia della crusca (cui ho indirizzato le mie ricerche) per ulteriori approfondimenti e ringraziando chi volesse compendiare le polisemie che ho riportato con suoi contributi sociolinguistici.