La struttura educativa incriminata si trova nello Stato di Kaduna, nel nord del Paese, nel quartiere di Rigasa.
Più che di una scuola si tratta di una sorta di comunità di recupero per ragazzi affetti da dipendenza da stupefacenti o finiti nel giro della micro criminalità.
Sarebbero stati gli abitanti della zona ad allertare la polizia che, irrompendo nell’edificio si è trovata davanti ad uno spettacolo raccapricciante.
A riferire dell’orrore scoperto dagli agenti nei locali della scuola coranica è l’agenzia di stampa francese Agence France-Presse, Yakubu Sabo:
“Abbiamo individuato almeno 100 alunni, compresi bambini di non più di nove anni di età, ridotti in catene e stipati in una stanza minuscola e tale trattamento sarebbe stato loro riservato in nome dell’esigenza di rieducarli e renderli delle persone responsabili”.
Le foto pubblicate dalla Reuters sono scioccanti, mostrano gli allievi scalzi e con grosse catene intorno alle caviglie nude, ancorate a cerchioni di automobili.
Gli stessi media nigeriani non hanno posto alcun tipo di veto su molte di quelle immagini che raccontano in maniera essenziale, cruda, quella realtà orrenda.
In esse sono ritratti bambini incatenati prima di essere liberati dalla polizia e schiene segnate da colpi di frusta.
A guardare quelle scene si fa fatica a comprendere che non si tratta di una finzione cinematografica che racconta la schiavitù dei neri, ma di una storia dei nostri giorni.
Ali Janga, capo della polizia di Kanduna – si legge dal sito Sahara Reporters – riferisce che le vittime provenivano da diversi altri Paesi africani, tra cui Burkina Fasoe Mali, e che il loro arrivo è stato accolto con esultanza dagli oltre trecento prigionieri, tutti di sesso maschile, tra cui molti bambini che, una volta liberati, hanno spontaneamente dichiarato di essere stati segregati per anni tra quelle mura e di aver subito torture e abusi sessuali di ogni tipo.
La polizia ha immediatamente compreso che non stavano dicendo falsità: più di cento prigionieri erano ancora in catene.
Le scuole islamiche, conosciute come Almajiris, sono comuni in tutto il nord musulmano della Nigeria, un paese diviso in modo più o meno uniforme tra seguaci del cristianesimo e dell’Islam.
L’istituto, già denominato “La scuola degli orrori”, fungeva da struttura di recupero, in assenza di centri pubblici adeguati.
In effetti, per ovviare alla carenza di strutture pubbliche c’è molta privatizzazione di questi servizi in Nigeria, ma il controllo di tutti gli istituti è difficile e complesso, spesso inesistente.
Già in passato diverse scuole sono state accusate di abusi vari tra cui quello di mandare per strada i ragazzi a elemosinare, tuttavia, molti genitori non vedono per i loro figli “indisciplinati” altra possibilità di recupero se non quella di essere educati, anche con una certa severità, in quelle scuole private dove possono peraltro, insieme alle punizioni corporali e psicologiche, ricevere gli apprendimenti del Corano.
I genitori dei ragazzi imprigionati a Kaduna, sostengono però di essere stati del tutto ignari di quello che succedeva realmente tra quelle mura, soprattutto in merito al grado di atrocità di quelle punizioni.
Sapevano solo che quella scuola aveva lo scopo di rimettere i figli sulla buona strada, e che quel distacco dalla famiglia faceva parte della punizione che veniva impartita ai loro figli.
Superavano ogni perplessità confidando nel fatto che in quell’ambiente avrebbero senz’altro appreso, oltre ai precetti del Corano, il senso di disciplina e il rispetto per le autorità.
La loro, appare una verità plausibile. I ragazzi venivano, infatti, affidati ai responsabili di quella scuola, dove ai genitori era proibito entrare sia al loro ingresso sia durante la loro permanenza.
Un rigido regolamento della struttura non prevedeva visite dei genitori, dei parenti, e del resto, a ben guardare, questa era l’unica possibile soluzione praticabile per i responsabili che volevano tenere nascosta la realtà.
I ragazzi saranno tutti interrogati ma già dalle prime rivelazioni sono state fornite diverse testimonianze delle brutalità abitualmente perpetrate ai loro danni comprovate dalle cicatrici ben visibili sulle spalle e dalle ferite gravi in altre zone del corpo..
La polizia nella scuola degli orrori ha trovato una vera e propria “stanza di tortura”, dove gli allievi erano appesi a catene e picchiati quando gli insegnanti ritenevano che avessero commesso un errore.
Un ragazzo liberato grazie all’intervento degli agenti ha già fornito, ai microfoni delle emittenti locali, una prima pubblica testimonianza.
Si tratta dello studente Bello Hamza, che ha rivelato di avere trascorso lì in catene ben “tre mesi” e ha poi denunciato: “Tutti credevamo che quello fosse un centro coranico, ma chiunque provava ad allontanarsi subiva punizioni tremende, tra cui l’essere appeso al soffitto di una stanza”.
Già dalle prime ore dalla liberazione, affiorano come un flusso inarrestabile, le denunce dei detenuti, non tutti nigeriani, che hanno affermato di essere stati torturati, abusati sessualmente, affamati. È stato inoltre impedito loro di andarsene – in alcuni casi per diversi anni.
Il capo della polizia ha affermato che i detenuti, alcuni feriti e affamati sono stati portati in uno stadio a Kaduna per ricevere le prime cure in attesa che i genitori – che si sta cercando di rintracciare – vadano a prenderli.
In seguito al blitz della polizia nigeriana, oltre al titolare sono stati arrestati sei insegnanti dell’istituto.
La vicenda è una di quelle destinate a fare rumore poiché non è umanamente tollerabile, assistere passivamente a queste oscenità.
Stiamo narrando di uno scempio andato avanti per anni durante i quali qualcuno è morto per i maltrattamenti durante le torture, altri per malattia.
Le indagini sono in corso e si spera che il Governo adotti le misure necessarie per appurare le condizioni dei tanti altri istituti rieducativi disseminati sul territorio poiché si teme che quella di Kunduna, non sia l’unica scuola degli orrori.
Conoscere questa realtà così dolorosa, fa ancora più male in questi giorni in cui milioni di giovani, pieni di sogni e di speranze, si sono sentiti liberi e in dovere di partecipare in 150 Paesi al mondo, tra cui la stessa Nigeria, alla settimana per la lotta ai cambiamenti climatici. È un contrasto stridente, inaccettabile.
Nel Fridays for future migliaia di ragazzi, in tutto il mondo, in un clima festoso tra manifesti e striscioni, hanno riempito le piazze e sfilato in corteo. Si tratta di giovani assolutamente determinati a non lasciare questo futuro nelle mani di persone che pensano – come denunciano – solo al proprio arricchimento.
L’onda verde ha coinvolto anche l’Italia, da Milano a Palermo passando per Stornarella, paesino in provincia di Foggia, dove un solo bambino in piazza per il clima ha fatto rumore al pari degli altri.
Potito, dodici anni non ha trovato compagni disposti a seguirlo ma non si è perso d’animo.
Ha disegnato una torta farcita con la plastica ed ha manifestato da solo in piazza, a Stornarella.
La sua protesta solitaria è forse ancora più potente delle altre perché molto efficace nel raccontare che la lotta alla repressione della libertà, da qualsiasi parte provenga, va combattuta con tutte le proprie forze, anche se si è soli.
“Mi avete rubato i sogni e l’infanzia” sono state le toccanti parole pronunciate da Greta Thunberg il 23 settembre durante l’evento tenuto all’Assemblea generale delle Nazioni Unite durante il quale Greta ha rivolto ai leader mondiali un appello disperato per salvare il pianeta dall’inquinamento.
“Mi avete rubato i sogni e l’infanzia” sono le parole che riecheggiano nella mente e assumono la violenza di un pugno che colpisce dritto allo stomaco, quando vediamo quelle oscene immagini che provengono dalla Nigeria.