“I dubbi derivano dalle esperienze passate”. Lo avrà forse pensato, parafrasando un romanzo di Don DeLillo, il 76enne Geoffrey Hinton quando gli è stato consegnato, assieme al suo collega John Hopfield, il Nobel per la Fisica dall’Accademia reale delle Scienze svedesi.
Lo avrà presumibilmente pensato soprattutto dopo che lo scorso anno manifestò in una lettera dai toni apocalittici e, probabilmente, piena di rimorsi, il suo stato di agitazione interiore su quelle che potevano essere le conseguenze delle sue ricerche a proposito dell’IA. Hinton è a giusta ragione considerato assieme ad altri scienziati uno dei padrini della moderna Intelligenza artificiale e circa un anno fa esprimeva tutte le paure su ciò che le IA possono rappresentare per il nostro prossimo futuro sia in termini di controllo del loro potere sia per come possano essere gestite, e dunque usate, da persone senza scrupoli. Per chi non lo conoscesse bene, Hinton ha lavorato per circa 10 anni con Google, circostanza che gli ha permesso di capire come insider, a cosa la potente azienda della Silicon Valley stesse lavorando per potenziare l’AI. Il tarlo del dubbio del recente vincitore del Nobel per la Fisica deriva, come detto, dai pericoli che possono conseguire dalla diffusione di software generativi come ChatGpt e i problemi che l’intelligenza artificiale potrebbe causare all’uomo un domani. Pensiamo solo per un attimo alle diverse capacità di cui sono dotate le piattaforme generative di IA e le nostre reti neurali, un differenziale di intelligenze dato da sistemi biologici contro sistemi digitali. Non c’è allora confronto, una sfida impari in cui i chatbot definiscono un nuovo orizzonte ontologico che soppianta quello umano. Scenario da incubo, finzione cinematografica che prende il posto e surclassa la realtà contingente, personaggi politici dalla dubbia moralità che sfruttano l’IA per accrescere il loro potere e minacciare seriamente il genere umano a rischio ora dell’estinzione.
Distopie che si realizzano dopo anni di predominio della tecnica e che danno linfa al cosiddetto Doomerism, ovvero la convinzione pessimistica che il futuro ci riserverà catastrofi globali. Hinton , bisogna dargliene atto, ha perlomeno manifestato, a differenza di qualche suo esimio collega, una sensibilità etica che lo riporta fuori da alienazioni tecnologiche e volontà di potere, per rispondere a una voce interiore frutto di umana sensibilità in nome di potenziali rischi e diffuse irresponsabilità. Intanto che però l’apocalisse tecnolibertalista si possa compiere, denunciamo come nel corso degli ultimi anni siano cadute nel totale silenzio, sia di un’opinione pubblica distratta che di un sistema mediatico compiacente, alcune denunce di scienziati ed esperti del Centre for AI Safety, ovvero di circa 350 alte personalità nel campo dell’IA che ne hanno sottolineato in toni allarmistici i rischi concreti. Allo stesso modo, sempre la stessa opinione pubblica e gli stessi media, hanno volontariamente dimenticato la veloce transizione del sig. Sam Altman (padre di ChatGpt) da una iniziale preoccupazione sullo sviluppo della sua creatura, sino ad arrivare, attraverso una capriola ispirata “all’ideologia manageriale della new age californiana”, a una scelta del tutto profit tralasciando, forse a causa di un improvviso vuoto mentale, tutte le iniziali e vetuste paure di ordine etico. È la constatazione finale e del tutto ovvia che l’intelligenza artificiale sia rapidamente passata da una narrazione ottimistica sulle sue capacità generative di rendere il mondo un posto migliore e creare opportunità di sviluppo per tutti, a essere una realtà prêt-à-porter per una espansione all’interno di logiche economiche e sfuggire da scelte di cittadini (consumatori). Si parla di un’azienda infatti, OpenAI, valutata oggi oltre 150 miliardi di dollari e su cui le pressioni degli investitori, alla spasmodica e sempre più patologica ricerca di rendimenti finanziari più cospicui, diventano ogni giorno più pressanti con l’effetto demagogico e propagandistico offerto a tutti i cittadini che un rapido sviluppo dell’intelligenza artificiale, sempre più accessibile e “vantaggiosa”, sia di beneficio per tutta l’umanità.
È il trionfo della Disruption, della catastrofe a cui la nostra società sta soccombendo dalle fondamenta, fatto in nome di pochi e annullando qualsiasi ingerenza immaginativa umana. In fin dei conti l’innovazione legata all’IA, come tante altre innovazioni degli ultimi 20 anni, non fa altro che andare a sottomettersi a un insieme tecnologico già esistente da cui prende linfa per poi poter sviluppare nuove applicazioni o nuovi sistemi. Tutto avviene in un quadro appunto disruptive, di un’innovazione solo di facciata che non fa altro che modellarsi su tecniche già in atto, ben sperimentate e subito applicabili a ogni ambito dell’esistenza umana. Il sopra citato Sam Altman non è altro che una delle tante figure di imprenditori in felpa, cappuccio e sneaker, pronto a farsi portatore anch’egli di un mantra già sentito e ripetuto legato all’ideologia che Eric Sadin ha definito siliconiana: «il progetto di conquista della totalità dell’esistenza attraverso tecnologie che sfruttano il nostro minimo fiato e spalancano inesauribili prospettive di profitto». La nuova forma di potere alla base delle nostre vite, il tecnolibertarismo, si avvale di ciò che Lyotard definì pulsione libidica e sfrenato capitalismo, un connubio letale che fa sì che ogni tecnica risponda «alla propensione tipicamente umana di accrescere il proprio potere». L’aggressività istituzionalizzata e il non conoscere nessun limite, porta soggetti come OpenAI, a operare spinti solo dalla propria volontà di dominio, avvalorato e sostenuto da un’ideologia di salvezza e di generosità verso il genere umano. Semplificare, aiutare, correggere, risolvere sono solo alcuni degli argomenti a sostegno della singolarità tecnologica del nuovo futurismo in salsa digitale e transumanistica. Chissà come si sentirà ora il sig. Hinton. Forse sentirà addosso tutto il peso della sua ubris e del disagio proveniente dall’essersi sentito per un attimo l’uomo più potente del mondo e dopo rendersi subito conto del terribile senso di alienazione a cui sta condannando se stesso e i suoi simili.