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NON E’ FRANCESCO – Potrà raccogliere i richiami dei cattolici dispersi

Nonostante l’apparente continuità con Francesco, è evidente che il papato di Leone XIV segnerà una forte discontinuità.
Non sui valori evangelici, ovviamente, anche se dal primo istante papa Prevost ha chiarito che la pace che lui invoca è sì “disarmata e disarmante”, ma solo perché incardinata sulla Resurrezione di Cristo, l’atto più sconvolgente della storia. Quello stesso Gesù che durante l’ultima cena era stato molto chiaro: “non come la dà il mondo io vi dò la pace”. Ne consegue, per coerenza, un’unica scelta, e cioè basta con i discorsi di circostanza, e rimettiamoci a credere in Dio, riportando tutto a Cristo, dal quale solo vengono pace e giustizia.

Sbaraccata la Ong universale, la Chiesa torna ad indicare agli uomini il trascendente, con la pretesa di derivare da lì anche le scelte geopolitiche, guarda un po’. Questo ci si attende da Papa Leone, rafforzato dalle sue profonde competenze in diritto canonico, che dovrebbero proteggerlo anche dal pressapochismo in cui l’entusiasmo del predecessore incastrava a volte utili iniziative di riforma.

Guardando perciò alla politica estera di questo Papa, accanto all’inevitabile sostanziale continuità (su Gaza, sull’Ucraina, e sulle guerre dimenticate dell’Africa, per ora persino sulla Cina), dobbiamo però prestare la massima attenzione al tema più critico che potrebbe trovarsi ad affrontare, e cioè il rapporto con il mondo arabo, o meglio la cura paterna delle comunità cristiane viventi in Paesi a maggioranza musulmana.

Da questo punto di vista, c’è del genio nella scelta di recarsi immediatamente a Nicea, in Turchia, per celebrare i 1700 anni dal Concilio. Non solo per l’importanza oggettiva della circostanza (la riaffermazione dogmatica della doppia natura, umana e divina, di Gesù, e la redazione di quel monumento teologico che è il “Credo” che si prega ogni domenica durante la messa), che chiuse per sempre con l’eresia ariana, ma anche per l’evidente importanza di svolgere il suo primo viaggio apostolico in un Paese di fede islamica.

Giocare d’anticipo è una grande virtù pratica. E siccome una tale libertà d’iniziativa ci pare incoraggiante, proviamo a chiedere al Papa, a partire da Nicea, un occhio ai cristiani di tutto il Mediterraneo, a cominciare dalla sponda sud.
In Egitto, ad esempio, dove i cristiani sono accreditati tra il 10 e il 20% della popolazione (ma sarebbe utile chiarire la stima, perché c’è differenza fra 12 e 24 milioni di persone), essi sono in parte ortodossi e in parte cattolici, ma quasi tutti di rito e cultura copta, con liturgie antichissime di carattere orientale. Sia gli ortodossi di Tawadros II, sia i cattolici che guardano al Patriarca di Alessandria Ibrahim Isaak Sidrak, cercano di farsi un’idea del nuovo Papa.

Specialmente al sud, e cioè nell’Alto Egitto (come ci insegnavano alle medie, Alto perché ci sono le montagne con le sorgenti del Nilo, anche se è a sud), la popolazione cristiana guarda a Roma da lontano, e se ne sente parte di diritto.
Come in ogni Paese musulmano, il giorno festivo è il venerdì, e questo porta questi cristiani a pregare più la Passione del Signore, che la sua Resurrezione, e non c’è atto o detto di fede che non ricordi il sangue versato, fino a tempi molto recenti, a causa di qualche persecuzione. Ma ora che il presidente Al Sisi sta investendo molte risorse nel rilancio del Paese, approfittando ma anche cercando di non dipendere dai suoi principali investitori, e cioè gli Emirati e la Cina, anche la normalizzazione dei rapporti fra le confessioni religiose del Paese, nella ripresa per quanto possibile di una convivenza pacifica, è una delle priorità del governo.

E se nei ristoranti popolari è normale una tv 35 pollici dietro al bancone, con l’immagine fissa dei pellegrini che ruotano intorno alla Kabaa, la pietra nera della Mecca, è pur vero che, attorno, le conversazioni si intrecciano normalmente, e tutti quanti, musulmani e cristiani, vengono serviti allo stesso modo, anche se senza alcolici ovviamente.

Allo stesso tempo è a spese del governo che è stata ricostruita la Chiesa di Santa Maria, nel quartiere di Mogama Il Adian, bruciata nel 1979 dai Fratelli Musulmani, e la fermata del metro per arrivarci si chiama Mar Girgis, cioè San Giorgio, segnale di una possibile tolleranza. Mentre il complesso religioso di chiese, cappelle e monastero, include anche una sinagoga e una moschea, a testimonianza di una volontà di un Egitto possibile, anche se non ancora del tutto presente.

Queste cose il turista di solito non le vede, anche se per volontà del presidente questa meta è stata inclusa nella lista ufficiale dei siti turistici nazionali, tranne qualche comitiva, cinese o tedesca, accompagnata in superficie da guide documentatissime, che non fanno scendere i gradini fino alla grotta della Santa Famiglia perché “non ne vale la pena”.

Non è certo l’arte dei Faraoni, ma la ruvida semplicità di luoghi pieni di amore e di deserto (che con un dito di polvere ricopre tutto l’Egitto ovunque, dalle auto ai libri alle pareti delle case) e il legame stretto con la Sacra Famiglia testimoniano un vincolo con la Chiesa di Roma cementato nel sangue, per quanto ignorante di formalità dottrinali, di scismi e riconciliazioni. Questi cristiani si sentono parte di Roma, e ci vogliono essere.

Papa Leone riteniamo lo sappia, però lo vogliamo aiutare a ricordare che le comunità cristiane nel mondo islamico sono tante, temprate, certo, ma tutte sofferenti, soprattutto di isolamento. E l’Egitto non è solo il Paese da cui il popolo ebraico fuggì trionfalmente, dietro la guida di Mosè, ma è anche e soprattutto la terra dove trovò rifugio per almeno tre anni la Sacra Famiglia, scampando alle mire assassine di Erode il Grande. E ancora oggi tutto il Paese, da nord a sud, è segnato dal viaggio interminabile di questi due giovani sposi e il loro bimbo, da est ad ovest, e poi a sud fino al monte di Assiut, vivendo del proprio lavoro in attesa di poter tornare a casa. Ancora oggi, la devozione a Maria in queste terre è radicata, e le case, capanne e grotte dove trovò ospitalità sono custodite e pregate venticinque milioni di volte tutti i giorni.

Certo, il tema è delicato, ma un po’ tutti loro si chiedono, e anche noi ci chiediamo se, oltre all’agenda nicena (ma anche un po’ agenda Nato, stante la delicata posizione della Turchia nell’Alleanza Atlantica) che lo porta ad Izmir, il Papa americano troverà il modo per onorare quei due migranti d’eccezione, laboriosi e miti, che hanno cambiato per sempre la storia del mondo. L’Egitto, e con esso tutto il Mediterraneo del sud, lo attende, anche se non lo dice.

(articolo da ‘Economy’ – si ringrazia)

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25 Maggio 2025

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