Proseguono in Iran le manifestazioni popolari di protesta nei confronti della rigida politica governativa di repressione dei dissidenti. Sono ormai trascorsi quattro lunghi mesi di ribellioni di massa, registrate in tutto il paese. Tutto è iniziato lo scorso 16 settembre, quando Mahsa Amini fu arrestata per non aver correttamente rispettato l’obbligo di indossare il velo.
La giovane, a seguito dell’arresto, morì.
Il governo, tuttavia, non sembra volersi piegare. Anzi, prosegue col soffocamento di ogni iniziativa: l’ultima manifestazione è sorta dinanzi il carcere di Rajaei Shahr, nella città di Karaj, al sostegno di due imprigionati condannati anch’essi alla pena capitale rei di aver, a loro volta, duramente protestato in piazza durante i giorni scorsi. La polizia avrebbe risposto col fuoco sui manifestanti inermi, che però non demordono: “Ogni manifestante che viene ucciso sarà sostituito da altre migliaia”, hanno gridato.
Il bilancio delle vittime cresce giorno dopo giorno: solo per citare gli ultimi fatti di sangue, lo scorso mese un ragazzo di 23 anni, che aveva ucciso due appartenenti alle forze di sicurezza, è stato impiccato dopo un processo sommario, un altro giovane della stessa età è stato ugualmente giustiziato per aver ferito un altro membro delle forze di sicurezza, lo scorso 7 gennaio altri due uomini, rei di aver ucciso delle guardie paramilitari, sono stati giustiziati. “Hanno indubbiamente commesso tradimento e le rispettive organizzazioni devono seriamente, e in modo equo, combattere questo tradimento”, ha affermato Ali Khamenei, Guida Suprema dell’Iran, che ha altresì sottolineato l’ingerenza di forze “nemiche” fomentatrici delle sommosse: “La mano degli stranieri, americani ed europei, nelle rivolte, è così ovvia che non può essere ignorata”.
Intanto i due carcerati sono stati condotti in isolamento. La sentenza di morte, per impiccagione, deve essere eseguita in pubblico. Grida, disperata, la madre di Masoumeh Ahmadi, uno dei due condannati: “Mio figlio è accusato infondatamente di aver ucciso un agente di polizia durante le proteste. Questo mentre ci sono documenti secondo cui l’ufficiale di polizia è stato ucciso in un altro luogo, mio figlio è innocente!”. Il secondo, Boroughani, di soli 19 anni, è accusato di aver portato al seguito un coltello, nella manifestazione durante la quale è stato arrestato, oltre che accusato di aver dato fuoco all’ufficio del governatore di Pakdasht. Anche loro, come tutti, sono stati privati dei più elementari diritti.
Sul tema ha lanciato un appello anche il papa, a tutela del diritto alla vita, che è “minacciato laddove si continua a praticare la pena di morte, come sta accadendo in questi giorni in Iran, in seguito alle recenti manifestazioni, che chiedono maggiore rispetto per la dignità delle donne. La pena di morte non può essere utilizzata per una presunta giustizia di Stato, poiché essa non costituisce un deterrente, né offre giustizia alle vittime, ma alimenta solamente sete di vendetta”.
Nei giorni scorsi anche in Italia era stato organizzato un presidio dinanzi l’ambasciata iraniana a Roma: decine di manifestanti hanno consegnato delle firme raccolte per solidarietà, in particolare, nei confronti di Fahimeh Karimi, allenatrice di pallavolo e madre di tre bambini piccoli, condannata a morte per aver preso a calci, durante una manifestazione di piazza, un paramilitare. Un’altra, ennesima, vittima del regime governativo. “L’Italia è contraria alla pena di morte. Queste sono condanne sproporzionate per i reati commessi: togliere la vita è inaccettabile soprattutto se lo si fa in nome di Dio”, ha riferito il ministro degli Esteri Antonio Tajani.