La Camera dei deputati ha approvato in via definitiva il decreto sulla cittadinanza con 137 voti favorevoli, 83 contrari e 2 astenuti. Già approvato dal Senato il 15 maggio, il provvedimento introduce importanti restrizioni per i discendenti di italiani emigrati all’estero, cambiando radicalmente il sistema di acquisizione della cittadinanza italiana.
Fine della cittadinanza “senza limiti”
Una delle modifiche più significative riguarda il criterio dello ius sanguinis, ossia la trasmissione della cittadinanza per discendenza. Fino ad oggi, l’Italia permetteva l’acquisizione della cittadinanza senza limiti generazionali a chiunque potesse dimostrare di avere un antenato italiano. Con la nuova legge, solo chi ha almeno un genitore o un nonno nato in Italia potrà essere automaticamente cittadino italiano alla nascita.
Questa restrizione, fortemente voluta dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, ha lo scopo di garantire un “vincolo effettivo” con l’Italia e di evitare casi di acquisizione della cittadinanza da parte di persone prive di un reale legame con il Paese. L’obiettivo è allinearsi con le legislazioni di altri Paesi europei e limitare l’accesso alla cittadinanza italiana e quindi alla libera circolazione nell’Unione Europea solo a chi mantiene un legame concreto con il territorio e la cultura italiana.
Retroattività della legge e deroghe
Uno degli aspetti più controversi del decreto riguarda la sua applicazione retroattiva. Secondo la nuova normativa, non ha mai acquisito la cittadinanza italiana chi è nato all’estero e contemporaneamente possiede la cittadinanza di un altro Stato, anche se nato prima dell’entrata in vigore della legge.
Per evitare situazioni ingiuste, il decreto prevede alcune deroghe. Mantengono la cittadinanza coloro che hanno già presentato domanda presso un ufficio consolare o al sindaco entro il 27 marzo 2025, oppure coloro che hanno ricevuto una comunicazione ufficiale per un appuntamento entro questa data. Questa salvaguardia è stata introdotta per evitare disparità di trattamento tra persone della stessa famiglia: senza questa eccezione, due fratelli figli dello stesso emigrato italiano potrebbero trovarsi in situazioni diverse solo per aver presentato domanda in giorni differenti.
Possibilità di riacquisto della cittadinanza
Il decreto include anche una disposizione che consente di riacquistare la cittadinanza italiana a chi l’ha persa per aver acquisito quella di un altro Stato. Per poter riottenere la cittadinanza, è necessario aver risieduto in Italia per almeno due anni consecutivi oppure essere nati in Italia. Inoltre, è richiesto il pagamento di un contributo di 250 euro per avviare la procedura.
Nuove opportunità per minori e oriundi
La riforma non si limita alle restrizioni, ma introduce anche nuove possibilità per l’accesso alla cittadinanza italiana. Per i minori stranieri o apolidi discendenti da cittadini italiani, è prevista la possibilità di ottenere la cittadinanza se i genitori o il tutore ne fanno richiesta e se il minore risiede in Italia per almeno due anni dopo la dichiarazione.
Un’altra modifica importante riguarda gli oriundi italiani. La legge permette l’ingresso e il soggiorno per lavoro subordinato agli stranieri discendenti da cittadini italiani che risiedono in Paesi con significativi flussi migratori italiani. Gli Stati interessati verranno definiti con un decreto specifico del ministro degli Esteri.
Il caso dei brasiliani e la revisione del sistema
Uno dei motivi che ha spinto alla riforma è stato il caso emblematico di 12 brasiliani che, nel settembre scorso, hanno richiesto la cittadinanza italiana basandosi su un’antenata nata nel 1876 a Marzabotto. Pur non avendo mai vissuto in Italia né avendo alcun legame concreto con il Paese, la normativa precedente consentiva loro di avanzare la richiesta.
Il tribunale di Bologna ha sollevato dubbi sulla legittimità di un sistema che permette il riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis senza alcun limite generazionale. I giudici hanno evidenziato che, con criteri così ampi, persone nate a grande distanza temporale dall’avo italiano possono ottenere la cittadinanza senza avere alcuna conoscenza della cultura, della lingua o delle tradizioni italiane. Questo dibattito ha spinto il governo a ridefinire le regole, ponendo limiti più stringenti.
Il contesto sociale e il referendum di giugno
La riforma sulla cittadinanza si inserisce in un quadro più ampio di discussioni sulla nazionalità e l’integrazione. Se da un lato il governo ha introdotto restrizioni per i discendenti di italiani emigrati all’estero, dall’altro la questione dell’accesso alla cittadinanza per chi vive stabilmente in Italia resta aperta.
Si stima che almeno 2,5 milioni di persone vivano in Italia senza cittadinanza, pur essendo cresciute nel Paese e non avendo legami reali con il loro Stato di origine. Il problema è particolarmente sentito dai giovani stranieri, che spesso si trovano esclusi da opportunità e diritti fondamentali.
Il referendum abrogativo dell’8 e 9 giugno 2025 affronta proprio questa tematica. Il quesito referendario propone di ridurre da dieci a cinque gli anni di residenza continuativa necessari per ottenere la cittadinanza italiana, rendendo più agevole il processo per chi vive in Italia da tempo. Attualmente, la normativa italiana è tra le più rigide d’Europa, poiché privilegia lo ius sanguinis e limita fortemente lo ius soli, cioè il diritto di cittadinanza legato alla nascita o alla lunga permanenza nel Paese.
Se il referendum fosse approvato, l’Italia si allineerebbe a pratiche più inclusive adottate da altri Paesi europei, riconoscendo l’importanza del contributo degli immigrati alla società, all’economia e alla demografia del Paese.
Chi vota “sì” al referendum sostiene la riduzione del requisito di residenza da dieci a cinque anni, mentre chi vota “no” preferisce mantenere il sistema attuale.
Cosa aggiungere ancora
La riforma della cittadinanza segna un cambiamento significativo nella concezione giuridica dell’appartenenza nazionale italiana. Se prima la cittadinanza poteva essere trasmessa senza limiti generazionali, ora vengono introdotti criteri più restrittivi per garantire un legame concreto con il Paese.
Per milioni di discendenti di italiani nel mondo, questa legge rappresenta un ostacolo nel processo di riconnessione giuridica con la terra dei loro antenati. Per l’Italia, invece, è una ridefinizione della sua comunità nazionale, in un contesto globale in cui le questioni di identità e appartenenza sono sempre più centrali.
Resta da vedere quali saranno gli effetti della riforma nel lungo periodo e come il referendum di giugno potrebbe influenzare il futuro della cittadinanza italiana.