Il Consiglio Europeo di marzo 2025 ha segnato un momento cruciale per le politiche di difesa dell’Unione Europea, con l’affondamento del piano di riarmo proposto dall’Alta Rappresentante Kaja Kallas e il cambio di nome del progetto in “Readiness 2030”. Tuttavia, il dibattito ha messo in evidenza profonde divisioni tra gli Stati membri, con l’Ungheria sempre più isolata e i Paesi che mantengono riserve sull’uso della clausola di salvaguardia per le spese militari.
Il Piano Kallas e il Cambio di Nome
Il piano di riarmo dell’UE, inizialmente denominato “Rearm Europe”, prevedeva un investimento di 40 miliardi di euro per rafforzare le capacità militari europee e sostenere l’Ucraina nel conflitto con la Russia. Tuttavia, il progetto ha incontrato una forte opposizione da parte di alcuni Stati membri, portando a una revisione significativa. Il piano è stato ribattezzato “Readiness 2030”, un nome che riflette un approccio più ampio e strategico alla difesa europea, ma la sua reale portata finanziaria rimane incerta.
La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha sottolineato l’importanza di investire nella difesa per garantire la sicurezza del continente, ma ha anche riconosciuto le difficoltà politiche e finanziarie che accompagnano questo obiettivo. Il cambio di nome è stato visto come un tentativo di rendere il piano più accettabile per l’opinione pubblica e per i governi nazionali, ma non ha risolto le divisioni interne.
L’Ungheria Isolata
Uno degli aspetti più significativi del Consiglio Europeo è stato l’isolamento dell’Ungheria, guidata dal primo ministro Viktor Orban. Budapest ha mantenuto una posizione critica nei confronti del sostegno militare all’Ucraina, citando preoccupazioni per la minoranza ungherese in Transcarpazia e per i diritti linguistici degli ungheresi in Ucraina. Questa posizione ha portato gli altri 26 Stati membri a procedere senza l’Ungheria, approvando conclusioni separate sull’Ucraina.
Il presidente del Consiglio Europeo, Antonio Costa, ha adottato un approccio pragmatico, evitando lunghe trattative con Budapest e concentrandosi sulla sostanza dei problemi. Questo metodo ha ridotto il potere negoziale dell’Ungheria, che in passato aveva sfruttato il diritto di veto per ottenere concessioni. Ora, approvare decisioni a 26 sta diventando una prassi consolidata a Bruxelles, mettendo ulteriormente in difficoltà il governo di Orban.
La Clausola di Salvaguardia: Un Tema Controverso
Un altro punto centrale del dibattito è stato l’uso della clausola di salvaguardia per le spese militari. Questa clausola, proposta dalla Commissione Europea, consentirebbe agli Stati membri di escludere le spese per la difesa dal calcolo del deficit pubblico, facilitando così l’aumento degli investimenti militari. Tuttavia, molti Paesi hanno mantenuto le carte coperte, evitando di dichiarare apertamente se intendono utilizzare questa opzione.
L’Italia, ad esempio, ha accolto con favore la proposta, ma deve fare i conti con un bilancio pubblico già sotto pressione. Anche altri Stati membri, come la Francia e la Spagna, hanno espresso riserve, sottolineando la necessità di un equilibrio tra sicurezza e sostenibilità economica.
Prospettive Future
Il Consiglio Europeo ha evidenziato la complessità delle sfide che l’UE deve affrontare per rafforzare la sua difesa comune. Mentre il cambio di nome del piano e l’isolamento dell’Ungheria rappresentano passi avanti, restano molte incognite sulla capacità dell’Unione di raggiungere un consenso duraturo. La clausola di salvaguardia potrebbe offrire una soluzione temporanea, ma non risolve le tensioni politiche e le divergenze strategiche tra gli Stati membri.
In un contesto geopolitico sempre più instabile, l’UE deve trovare un equilibrio tra ambizione e realismo, garantendo al contempo la sicurezza del continente e la coesione interna. Il futuro del piano “Readiness 2030” dipenderà dalla capacità dei leader europei di superare le divisioni e di costruire una visione condivisa per la difesa europea.