Tra la fine del 1906 e il luglio del 1907, a Montmartre, nel suo umido atelier privo di luce elettrica e gas (battezzato, poeticamente, “Bateau-Lavoir”, lavatoio sul fiume), Pablo Picasso maestro indiscusso delle avanguardie novecentesche, dipinse Les demoiselles d’Avignon, in italiano ‘Le signorine di Avignone’ (dal nome di via Avignone, una strada malfamata di Barcellona). Ideato in origine con un significato erotico-allegorico e preceduto da numerosissimi studi e abbozzi, il dipinto segna, convenzionalmente, l’esordio del Cubismo.
La composizione del dipinto è estremamente semplice. Nella scena sono raffigurate cinque donne nude, tutte in una posa fotografica e con lo sguardo rivolto verso lo spettatore, mentre in basso è posizionato un tavolino con sopra una natura morta. Le donne si trovano all’interno di un bordello e nonostante stiano guardando tutte lo spettatore ognuna di esse è posizionata in modo diverso: alcune indossano un drappo, un velo o un lenzuolo; quattro sono apparentemente in piedi, poste di fronte, di tre quarti e di profilo, e una è seduta. L’immagine della ragazza di sinistra rimanda allo stile egizio con l’occhio frontale e il naso disegnato di profilo; le due figure centrali, rimaste simili ai primi schizzi, hanno i loro volti disegnati con grande chiarezza, uno sguardo più riconoscibile e diretto e richiamano l’arte iberica preromana; le due figure a destra, con la deformità del loro volto, sono evidentemente influenzate dall’incontro dell’artista con le maschere tribali africane di cui riprende sia le forme stilizzate che la scarificazione del legno con tratteggi obliqui.
I commentatori, nel corso degli anni, hanno interpretato in vari modi i visi deformi delle ragazze. Secondo alcuni ricercatori, la deformità potrebbe rimandare alle complicazioni della sifilide, la malattia venerea che, prima della sintesi della penicillina risultava incurabile.
Alla base della rivoluzionaria ricerca picassiana stanno sostanzialmente due fonti di ispirazione. La prima è l’arte di Cézanne, che Picasso ammirava sconfinatamente tanto da definire la sua pittura «molto più progressista dell’invenzione della macchina a vapore». Già Cézanne, nell’Ottocento, aveva abbandonato la prospettiva rinascimentale, riprendendo le figure da punti di osservazione differenti e creando combinazioni di molteplici vedute. La seconda fonte di ispirazione è la scultura africana: un’arte fortemente concettuale, poco condizionata dall’apparenza visiva, dalla quale Picasso era stato fortemente conquistato.
L’artista riteneva che le maschere ritualistiche di legno possedessero proprio ciò che l’arte europea sembrava aver smarrito: una grande forza espressiva, ottenuta attraverso un’estrema stilizzazione e una tecnica semplice e immediata. Secondo Picasso (ma lo pensavano anche gli espressionisti), lo stile di questi oggetti poteva ancora essere da stimolo per continuare quella ricerca di nuovi linguaggi artistici iniziata da Van Gogh, Gauguin e Cézanne e riprenderne in modo ancora più determinato gli esperimenti. Molti i significati attribuiti all’opera, uno si collega al legame tra amore e morte. Questa teoria sostiene che le donne in piedi, più facilmente riconoscibili nei tratti, rappresentino l’amore e la sensualità, mentre le due donne con le maschere africane, misteriose e cupe, rappresentino la morte o la paura di essa.
Un’altra ipotesi sul significato del quadro sostiene che l’opera simboleggi il rapporto conflittuale tra uomo e donna, lo stesso rapporto conflittuale sperimentato anche dal pittore, che amava le donne ma allo stesso tempo le disprezzava.
Grazia De Marco