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PACE E GIUSTIZIA – Due pilastri inscindibili del vivere civile

Non vi può essere giustizia in un mondo senza pace, né- per converso- una pace senza giustizia, essendo i due concetti strettamente interrelati ed inscindibili. Una pace imposta a condizioni umilianti- e quindi ingiuste- dopo una guerra, è destinata a durare poco. Per converso,  una giustizia esercitata in periodo bellico(attraverso i tribunali di guerra) è intrinsecamente emergenziale, quando pure non sommaria, ed in quanto tale è  destinata ad esaurire la sua valenza transitoria alla fine della guerra stessa.

Il punto di partenza del concetto di giustizia prende origine  dal mondo greco, che rappresenta l’età aurea – in termini di originalità e di profondità – per il disegno di una giustizia astrattamente sentita; così come il mondo romano rappresenta il punto di partenza – con il suo rigore logico e sistematico – per la traduzione in concreto della giustizia medesima in precetti normativi destinati a durare nei secoli, grazie al loro contenuto intrinseco di razionalità.

La Carta dell’ONU, quella dell’Unione europea, così come le Costituzioni dei Paesi più avanzati, all’unisono proclamano la salvaguardia dei diritti umani, presupponendone in tal modo l’anteriorità storica e logica rispetto alle proprie statuizioni.

I diritti in questione possono riassumersi nell’essenziale in quelli all’integrità fisica, alla libertà, alla proprietà, alla pace: la loro tutela è il contenuto minimo di una giustizia universale, sempre e dovunque innata nel sentire latente di ogni popolo; ma compiutamente percepibile solo attraverso la cultura, poiché senza l’istruzione, senza la libertà della conoscenza, prosperano le tirannidi, cioè i regimi che, in quanto contrari alla natura stessa dell’uomo, vengono prima o poi sconfitti dalla storia.

La Giustizia ha come fonte sotterranea l’etica, intrinsecamente dotata dell’attitudine a ristorare la sete che di essa avverte ogni uomo sin dall’infanzia.

L’acqua della giustizia è un fiume maestoso che scorre nel tempo, ora limpido, ora torbido, ora inaridito nella secche dell’arbitrio o delle guerre.

Questo fiume giunge al mare del vivere comune, dove confluiscono altri corsi d’acqua: scienza, arte, medicina, economia, letteratura, ciascuno con un suo percorso individuale, ma le cui acque necessariamente finiscono con il mescolarsi con quelle degli altri corsi fluviali.

L’evocata etica è un prius rispetto alla norma, che da essa non può prescindere se non al prezzo di tradire le aspettative del singolo individuo, che sceglie di vivere associandosi con i suoi simili per realizzare più efficacemente tramite la dimensione sociale (quella dello Stato in particolare), i diritti naturali che gli appartengono sin dal suo primo respiro.

Un diritto senza etica è come un corpo senza anima, una notte senza stelle, un giorno senza sole

I Romani definirono il diritto con il termine di jus, in seno al quale l’attributo di civile (cioè dei cives = cittadini) contraddistinse quello direttamente riferibile agli appartenenti al popolo stesso di Roma.

Conseguentemente justum era ogni atto conforme al diritto sancito dai reggitori dello Stato, mentre aequum si definiva ogni atto conforme all’aequitas, vale a dire al comune sentimento di giustizia della collettività in un dato periodo storico.

A Roma nell’età repubblicana il diritto civile riguardava dunque espressamente i rapporti tra coloro che avevano la cittadinanza romana, mentre quelli relativi a quanti ne erano sprovvisti, erano regolati dal diritto naturale o jus gentium.

I principali precetti riferibili al diritto in astratto, pure definito come “ars boni et aequi”, consistevano nello “honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere (vivere rettamente, rispettare l’altrui persona, dare a ciascuno il suo).

Il richiamato jus gentium ,era dunque quel complesso di norme che i romani, durante l’espansione del loro Stato, avevano sorprendentemente, ma significativamente, riscontrato comuni con i popoli civili dell’antichità; dalla qual singolare sintonia possiamo intravedere sin dall’antico l’esistenza di un medesimo fondamento razionale nei precetti impressi naturalmente nella coscienza di tutte le genti, prima ancora che venissero reciprocamente in contatto tra di loro.

Origine prima del diritto delle gentio naturale che dir si voglia, è dunque la coscienza del popolo;mentre fonti del diritto di un singolo ordinamento sono le leggi scritte e le consuetudini, consistendo queste ultime nella volontaria reiterazione di un comportamento, integrata dalla convinzione di agire secondo giustizia.

Naturalmente la consuetudine, nella sua spontaneità e nel suo costante divenire, è necessariamente “equa”, essendo strutturalmente espressiva di un comune sentire; mentre la legge scritta, nella sua naturale cristallizzazione storica, può nel tempo non essere più conforme ad un sentire che è mutato nel tempo e, pertanto, rivelarsi “iniqua”, con la conseguente necessità di un cambiamento.

Può affermarsi a livello descrittivo che il diritto è norma dell’agire umano in una società organizzata, che consente determinati comportamenti e ne vieta degli altri; che difende determinati interessi (come quello alla vita ed all’integrità personale) e pone i corrispettivi obblighi a carico dei consociati, per un’ordinata e civile convivenza.

Quando vengono violati i principi fondamentali del diritto all’interno di uno Stato (es. per un golpe), o dall’esterno (p.es., la guerra di aggressione scatenata dalla Russia contro l’Ucraina), insieme a quella della pace, vi è la morte del diritto.

          

Data:

1 Dicembre 2024