Paolo Monelli, oggi Responsabile di una scuola calcio presso Usmate (Monza), è stato un attaccante di ruolo e ha giocato in diversi club tra cui Lazio, Fiorentina e Bari. Ha ottenuto due promozioni consecutive in Serie A con Lazio e Bari, quest’ultima conquistata nella stagione 1988/89 sotto la guida di Salvemini. Sempre con il club biancorosso Monelli ha conquistato la Mitropa Cup nella stagione successiva. Ha indossato per la prima volta la maglia della Nazionale Under-21 quando era ancora diciassettenne, partecipando all’Europeo del 1984 all’epoca allenata dal CT Azeglio Vicini. Ha collezionato con la maglia azzurra ben 15 presenze e 4 reti.
Monelli, di cosa si sta occupando attualmente?
Al momento sono responsabile di una scuola calcio, ma mi piacerebbe poter allenare. Ho anche preso il patentino per poter lavorare in Serie A. In realtà l’ho fatto per tanti anni nelle giovanili del Monza, ma l’unico rammarico è quello di non aver mai lavorato per una grande squadra. Poi, col passare degli anni, diventa sempre più difficile allenare soprattutto se sei fuori dal giro.
Lei ha giocato anche in Serie A e conosciuto diversi allenatori. A quale di questi è più legato?
Sicuramente a De Sisti che oltre ad essere stato eccezionale dal punto di vista umano, dava tranquillità e insegnava a stare in campo. Ma poi ci metterei Fascetti, Mazzone e Salvemini, persone schiette e dirette, a differenza di altri che dicevano una cosa e ne facevano un’altra.
Può raccontarci qualcosa…
Fascetti era una persona molto diretta e per un calciatore è una cosa molto positiva. Lui, per esempio, difendeva i giocatori e la squadra di fronte alla stampa e al pubblico, ma quando andavamo negli spogliatoi si faceva sentire eccome. Ma era anche capace di tenere un articolo in tasca per mesi. Un allenatore forte, ma quando andavi in campo davi più del massimo.
Come calciatori c’è qualcuno che l’ha maggiormente impressionato?
Beh, nell’anno della Fiorentina c’erano molti campioni del mondo: dagli argentini Passarella e Bertoni ad Antognoni, Oriali, Gentile, Pecci, Massaro e Galli. Una squadra pazzesca. Io mi sento ancora oggi con Antognoni che è una persona squisita, un campione non solo sul campo. Ma questi giocatori erano tutti di talento.
Altri?
A proposito di talento non possiamo non ricordare Maiellaro. Un talento puro che per me poteva giocare a livelli altissimi, non alti. Così come un altro giocatore fortissimo, un talento raffinato era Joao Paulo che aveva una velocità palla al piede che non aveva nessuno. Faccio fatica a vederne uno anche oggi con queste caratteristiche. Ma c’è anche Di Gennaro un campione non solo nel campo.
A proposito di Di Gennaro lei venne a Bari proprio lo stesso anno … Cosa ricorda di quel periodo?
Ricordo che fu un trasferimento tribolato, ma non per il Bari, ma solo perché venivo da una promozione con la Lazio e ovviamente speravo di poter restare in Serie A avendo ancora un paio di anni contratto con loro. Ma all’epoca il presidente Calleri voleva cambiare e così mi cedette perché ero uno dei pochi sul mercato da cui poteva ricavare dei soldi. Ma quella decisione provocò le dimissioni di Fascetti.
Fu il solo motivo?
Non so se fosse l’unico motivo, ma certamente era uno di questi. Mi ricordo che andai a parlare con Fascetti quando sentii le voci di un possibile trasferimento e lui mi disse che ero incedibile e che sarei stato titolare. Pertanto questo fu uno dei motivi delle sue dimissioni, ma poi non so se ci fosse qualche screzio con il presidente. L’ho rivisto dopo tanti anni, ma non mi ha mai detto la verità su come era andata.
Tornando al suo trasferimento a Bari …
Alla fine sono venuto a Bari dove ho trovato società e ambiente eccezionali. Quell’anno Matarrese fece investimenti importanti per rinnovare la squadra e così arrivarono giocatori importanti come Di Gennaro e Scarafoni, anche se c’era già una intelaiatura abbastanza forte con alcuni giocatori baresi che credevano nel progetto.
Come si è trovato a Bari?
Molto bene. Mi sono subito ambientato, abbiamo creato un buon gruppo grazie soprattutto ai giocatori baresi con cui mi sono rivisto proprio lo scorso dicembre. È importante avere giocatori del posto perchè ti inseriscono più velocemente. Ripeto, mi sono trovato molto bene. Quando si vince poi – come accadde quell’anno – al di là dell’aspetto calcistico vuol dire che c’è un buon gruppo e che ti trovi bene con le persone.
Facevate qualcosa in particolare per rafforzare l’unione tra voi?
In effetti quell’anno lì ricordo che due volte la settimana uscivamo con le famiglie, con mia moglie e mio figlio – che era piccolino – con Loseto, De Trizio, Di Gennaro e Armenise. Ci trovavamo bene anche al di fuori del campo. E questo ha sicuramente contribuito a raggiungere quella promozione.
Un anno molto bello, vero?
Decisamente, anche perché raggiungemmo la promozione già un mese prima della fine del campionato. E poi avevamo un grande allenatore, mister Salvemini, che era una persona veramente alla mano, molto bravo sia sotto l’aspetto umano che tecnico. Ci ha guidati alla vittoria ed era come un padre per noi. Ma ricordo anche un pubblico eccezionale, sempre molto presente ed uno stadio che era migliore di quello attuale secondo me.
Lo avvertivate il calore della tifoseria?
Assolutamente. Ricordo che quando andammo in serie A, tutta la città era tappezzata di bandiere biancorosse e vessilli, una roba spettacolare… Camminando per i rioni si poteva sentire e vedere quanto ci tenevano i tifosi alla promozione. E adesso mi dispiace che ha perso lo spareggio nei play-off… Ma credo che l’anno prossimo salirà sicuramente in B.
Quindi ha seguito il Bari in questi anni …
Seguo sempre il Bari anche perché guardo puntualmente tutti i risultati delle mie ex squadre. Purtroppo quest’anno il Bari ha trovato la Reggina che non so se fosse la più forte del girone, ma certamente ha vinto di più e per questo ha raggiunto prima la serie B.
E cosa pensa dovrebbe fare il Bari per tornare subito in Serie B?
Credo che per raggiungere dei buoni risultati bisognerebbe costruire una squadra fatta da 4-5 calciatori di una certa importanza ed esperienza e da ragazzi che abbiano voglia ed entusiasmo. Certo può andare bene anche con una squadra fatta di soli giovani però è un terno al lotto e non sai mai come può andare.
Facendo un bilancio sulla sua carriera, pensa di aver ottenuto il massimo dal calcio o ha qualche rimpianto?
Qualche rimpianto c’è. Avrei potuto fare sicuramente di più. Per quanto riguarda la Nazionale ho fatto l’Under 21, ma mai la Nazionale maggiore. Nei primi anni ottanta avevo fatto tre anni eccezionali alla Fiorentina e mi è dispiaciuto molto non essere stato chiamato neppure una volta nella Nazionale A. Credo che lo avrei meritato. Poi, a 29 anni, andai a Pescara dove mi infortunai gravemente al ginocchio e ci vollero circa diciotto mesi per tornare in campo. Un infortunio che, a quell’età, mi ha definitivamente tarpato le ali e condizionato il resto della carriera. Perché avrei potuto giocare ancora per altri 4-5 anni buoni.
(Foto da pagina facebook di Monelli e da it.wikipedia.org – si ringrazia)