A San Zeno con sacerdoti, religiosi e bimbi. Poi il dialogo con il popolo della pace e il grido di dolore: “Si prepara la morte con le fabbriche delle armi”. Sul palco l’abbraccio tra un palestinese e un israeliano, poi la visita ai carcerati
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Il Papa, in visita a Verona, la città di Giulietta e Romeo, cita Shakespeare. “Se il genio di Shakespeare si è fatto ispirare dalla bellezza di questo luogo per raccontarci le vicende tormentate di due innamorati, ostacolati dall’odio delle rispettive famiglie, noi cristiani, ispirati dal Vangelo, impegniamoci a seminare ovunque un amore più forte dell’odio e della morte”, l’appello del Papa in occasione dell’incontro con i sacerdoti e i religiosi nella chiesa di San Zeno
“Il male non deve essere normale”, dice ancora Bergoglio. “Il rischio è questo, anche per noi: che il male diventi “normale”, che ci facciamo l’abitudine. E’ un rischio questo, il male non deve essere normale. Non può. Nell’inferno si’ ma qui no. E così diventiamo complici!”, ha avvertito. “Invece, parlando ai veronesi, San Zeno dice: ‘Le vostre case sono aperte a tutti i viandanti, sotto di voi nessuno né vivo né morto fu visto a lungo ignudo. Ormai i nostri poveri ignorano cosa sia mendicare cibo’. Possano queste parole essere vere per voi oggi!”. Bergoglio ha poi nuovamente invitato i sacerdoti a perdonare “tutti” e a “non torturare “ chi va in confessa per chiedere il perdono dei peccati.
“No al carrierismo”
No al carrierismo e alla promozione di noi stessi, ha messo in guardia il Papa durante l’incontro nella chiesa di San Zeno a Verona. Bergoglio ha evidenziato il rischio “di vivere anche l’apostolato nella logica della promozione di noi stessi e della ricerca del consenso, anche di fare carriera: e’ bruttissimo; invece che spendere la vita per il Vangelo e per un servizio gratuito alla Chiesa”. “È Lui che ha scelto noi : se ricordiamo questo, anche quando avvertiamo il peso della stanchezza e di qualche delusione, rimaniamo sereni e fiduciosi, certi che Lui non ci lascerà a mani vuote. Ci farà aspettare ma mai a mani vuote”, ha osservato Francesco.
Il Papa ai bimbi: “Dobbiamo essere segno di pace”
“Dobbiamo essere un segno di pace”, ammonisce il Papa dialogando coi bambini in piazza San Zeno. “Noi adesso come possiamo essere segno di pace? Il mondo è in guerra, lo sapete? Ci sono tante guerre: in Ucraina, in Terra Santa, in Africa, nel Myanmar. Gesù predica la pace e noi cosa vogliamo fare? Essere segno di pace”. In cielo vengono liberate colombe bianche. Bergoglio invita i bambini ad andare “controcorrente” e a non avere paura di farlo. Poi una domanda finale: “Dobbiamo benedire o maledire?”. I bambini in coro: “Benedire”. “Anche il diavolo?” chiede Bergoglio “ Nooo”, dicono i bambini.
“Ora vi faccio l’ultima domanda, così finisce la tortura” scherza Francesco dal sagrato della basilicacon i circa settemila di bambini e ragazzi che stazionano in piazza e che rispondono in coro alle domande poste dal Pontefice. Alla sua battuta, hanno risposto “È una tortura bella!” ed è partito il coro “Francesco! Francesco!”.
Il dialogo con il popolo della pace all’Arena di Verona
Il Papa è quindi arrivato all’Arena di Verona per l’incontro centrale della giornata durante il quale ha dialogato con il popolo della pace. All’Arena sventolano tante bandiere della pace. Tante le personalità internazionali presenti. Il Pontefice ha dialogato con il popolo della pace attorno a cinque temi: migrazioni, lavoro ed economia, ambiente, disarmo, diritti.
Presenti anche i preti di strada che da sempre si battono per la difesa degli ultimi. Tra loro, don Luigi Ciotti , padre Alex Zanotelli che dal palco srotola la bandiera della pace con Francesco. All’Arena c’è anche il prete anti camorra don Maurizio Patriciello. “Dobbiamo essere malati di pace: una patologia da cui nessuno deve guarire”, dice don Ciotti.
“La cultura fortemente marcata dall’individualismo rischia sempre di far sparire la dimensione della comunità – dove c’è individualismo forte sparisce la comunità, e questo forse è la radice delle dittature –. Spariscono la dimensione della comunità e dei legami vitali che ci sostengono e ci fanno avanzare. E inevitabilmente produce delle conseguenze anche sul modo in cui si intende l’autorità”. Così Papa Francesco, partecipando all’incontro “Arena di Pace – Giustizia e Pace si baceranno”, ha risposto alle domande di alcuni rappresentanti dei diversi Tavoli di lavoro. Il Pontefice si è rivolto a Mahbouba Seraj, venuta ad Arena 2024, da Kabul in Afghanistan, assieme a Giulia Venia del gruppo di lavoro sulla democrazia. “Chi ricopre un ruolo di responsabilità in un’istituzione politica, oppure in un’impresa o in una realtà di impegno sociale, rischia di sentirsi investito del compito di salvare gli altri come se fosse un eroe. E questa avvelena l’autorità. E questa è una delle cause della solitudine che tante persone in posizione di responsabilità confessano di sperimentare, come pure una delle ragioni per cui siamo testimoni di un crescente disimpegno”. “Se l’idea che abbiamo del leader è quella di un solitario, al di sopra di tutti gli altri, chiamato a decidere e agire per conto loro e in loro favore, allora stiamo facendo nostra una visione impoverita e impoverente, che finisce per prosciugare le energie creative di chi è leader e per rendere sterile l’insieme della comunità e della società”.
“Nessuno esiste senza gli altri – ha osservato il Papa –, nessuno può fare tutto da solo. Allora l’autorità di cui abbiamo bisogno è quella che innanzi tutto è in grado di riconoscere i propri punti di forza e i propri limiti, e quindi di capire a chi rivolgersi per avere aiuto e collaborazione”. Infine, il Papa si è concentrato sulla partecipazione da “risvegliare nei giovani, grande sfida oggi. L’autorità per costruire processi solidi di pace sa infatti valorizzare quanto c’è di buono in ognuno, sa fidarsi, e così permette alle persone di sentirsi a loro volta capaci di dare un contributo significativo”.
“Per porre fine ad ogni forma di guerra e violenza bisogna stare al fianco dei piccoli, rispettare la loro dignità, ascoltarli”, ha poi sottolineato il Papa all’incontro per la pace.
Il grido di dolore: “Si prepara la morte con le fabbriche delle armi”
“Le azioni che in alcuni Paesi rendono più reddito sono le fabbriche di armi. E’ brutto. Così non si smilitarizzano i territori . Guardate che elenco: che bel negoziato preparare per la morte”, ha poi denunciato il Papa.
“Un suicidio cercare di risolvere le tensioni facendo prevalere uno dei poli in gioco”, ha ammonito il Papa. Bergoglio ha messo in guardia dalla tentazione di ridurre “la pluralità di posizioni a un’unica prospettiva. Ancora una volta si tratta di un vicolo cieco: si cerca l’uniformità invece che l’unità, si ha paura immotivata nei confronti della pluralità”. “Se c’è vita, se c’è una comunità attiva, se c’è un dinamismo positivo nella società, allora ci sono anche conflitti e tensioni. È un dato di fatto: l’assenza di conflittualità non significa che vi sia la pace, ma che si è smesso di vivere, di pensare, di spendersi per ciò in cui si crede. Le persone ferme sono le prime ad ammalarsi. Nella nostra vita, nelle nostre realtà, nei nostri territori saremo sempre chiamati a fare i conti con le tensioni e i conflitti. Non si può stare fermi: bisogna essere creativi”, ha ammonito.
“Spesso – ha osservato – siamo tentati di pensare che la soluzione per uscire dai conflitti e dalle tensioni sia quella della loro rimozione: li ignoro, li nascondo, li marginalizzo. No. Così facendo amputo la realtà di un pezzo scomodo ma anche importante. Sappiamo che l’esito finale di questo modo di vivere i conflitti è quello di accrescere le ingiustizie e generare reazioni di malessere e frustrazione, che possono tradursi anche in gesti violenti”. Bergoglio ha indicato la strada da seguire: “Il primo passo da fare per vivere in modo sano tensioni e conflitti è riconoscere che fanno parte della nostra vita, sono fisiologici, quando non travalicano la soglia della violenza. Quindi non averne paura dei conflitti per risolverli. Non temere se ci sono idee diverse che si confrontano e forse si scontrano. In queste situazioni siamo chiamati a un esercizio diverso. Lasciarci interpellare dal conflitto, lasciarci provocare dalle tensioni, per metterci in ricerca. E’ la ricchezza sociale . Per favore, non avere paura dei conflitti: familiari e sociali . Il dialogo ci aiuta a risolvere sempre. I peccati dei regimi politici delle dittature e’ che non ammettono la pluralità. Una società dove si prendono i conflitti per mano è una società di futuro”.
Sul palco l’abbraccio tra un palestinese e un israeliano
All’Arena di Verona c’è anche l’abbraccio di un imprenditore palestinese e di uno israeliano che poi insieme abbracciano il Papa. “Grazie fratelli”, dice loro Bergoglio. “Papa Francesco, sono Maoz Inon, vengo da Israele e i miei genitori sono stati uccisi il 7 ottobre. Papa Francesco, – dicono – mi chiamo Aziz Sarah, sono palestinese e questa guerra mi ha strappato mio fratello. Siamo imprenditori e crediamo che la pace sia la più grande impresa da realizzare. Ci rivolgiamo a lei con Roberto Romano del gruppo di lavoro sull’economia. Non ci può essere pace senza un’economia di pace. Un’economia che non uccide. Un’economia di giustizia. Come aiutare i giovani ad essere imprenditori di pace quando i luoghi di formazione sono spesso influenzati dal paradigma tecnocratico e dalla cultura del profitto ad ogni costo?”.
“Il mondo ha bisogno di donne per trovare la pace”
“ Il mondo ha bisogno di guardare alle donne per trovare la pace. Le testimonianze di queste coraggiose costruttrici di ponti fra israeliani e palestinesi ce lo confermano”, ha detto quindi il Papa nel discorso finale al termine dell’incontro. “Sono sempre più convinto che ‘il futuro dell’umanità non è solo nelle mani dei grandi leader, delle grandi potenze e delle élite. È soprattutto nelle mani dei popoli; nella loro capacità di organizzarsi e anche nelle loro mani che irrigano, con umiltà e convinzione, questo processo di cambiamento’ – ha detto Bergoglio -. Voi, però, tessitrici e tessitori di dialogo in Terra Santa, chiedete ai leader mondiali di ascoltare la vostra voce, di coinvolgervi nei processi negoziali, perché gli accordi nascano dalla realtà e non da ideologie: le ideologie non hanno piedi per camminare, non hanno mani per curare le ferite, non hanno occhi per vedere le sofferenze dell’altro. La pace si fa con i piedi, le mani e gli occhi dei popoli coinvolti”.
“La pace – ha detto – non sarà mai frutto della diffidenza, dei muri, delle armi puntate gli uni contro gli altri. Dice San Paolo: ‘Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato’. Non seminiamo morte, distruzione, paura. Seminiamo speranza! È quello che state facendo anche voi, in questa Arena di Pace. Non smettete. Non scoraggiatevi. Non diventate spettatori della guerra cosiddetta “inevitabile”. No. Come diceva il vescovo Tonino Bello: “In piedi, costruttori di pace!”.”
La visita nel carcere di Montorio
Al termine dell’incontro nell’Arena di Verona, Papa Francesco ha raggiunto in auto la Casa Circondariale di Montorio dove si trova recluso anche Filippo Turetta, che ha ucciso l’ex fidanzata Giulia Cecchettin. Nello stesso penitenziario sarà portato anche Chico Forti. Bergoglio è accolto dal Direttore, Francesca Gioieni, e dal Direttore della Polizia Penitenziaria, Mario Piramide. Nella Casa Circondariale, Francesco saluta gli agenti di Polizia Penitenziaria, i detenuti e le detenute e i volontari. Poi il pranzo con i detenuti.
Il Papa ha rinnovato l’appello perché si continui a lavorare per rendere migliore la vita dietro le sbarre. “Conosciamo la situazione delle carceri, spesso sovraffollate, con conseguenti tensioni e fatiche. Per questo voglio dirvi che vi sono vicino, e rinnovo l’appello, specialmente a quanti possono agire in questo ambito, affinché si continui a lavorare per il miglioramento della vita carceraria”, dice il Papa. Quindi un aneddoto: “Una volta una signora che lavorava nelle carceri femminili e aveva un bel rapporto con le detenute, una signora umana mi ha detto che era devota a una santa: Santa porta, perché è porta della speranza. Non c’è vita umana senza orizzonti, ricordatelo”.
Francesco ha poi dato voce al suo dolore per i tanti suicidi avvenuti nel penitenziario. “Seguendo le cronache del vostro istituto, con dolore ho appreso che purtroppo qui, recentemente, alcune persone, in un gesto estremo, hanno rinunciato a vivere. È un atto terribile, questo, a cui solo una disperazione e un dolore insostenibili possono portare. Perciò, – ha osservato il Papa salutando anche quei detenuti non ammessi all’incontro ma che seguivano dalle finestre – – mentre mi unisco nella preghiera alle famiglie e a tutti voi, voglio invitarvi a non cedere allo sconforto, a guardare alla porta della speranza”.
“La vita è sempre degna di essere vissuta, e c’è sempre speranza per il futuro, anche quando tutto sembra spegnersi. La nostra esistenza, quella di ciascuno di noi, è importante, è un dono unico per noi e per gli altri, per tutti, e soprattutto per Dio, che mai ci abbandona, e che anzi sa ascoltare, gioire e piangere con noi. Con Lui al nostro fianco,- ha detto Francesco ai detenuti – possiamo vincere la disperazione, e vivere ogni istante come il tempo opportuno per ricominciare”.
Bergoglio ha ricordato una canzone piemontese degli Alpini “che dice così: nell’arte di ascendere quello che importa non è non cadere ma non rimanere caduto. A chi lavora in questo carcere dico: soltanto e’ lecito guardare una persona dall’alto al basso per aiutarlo a sollevarsi”. Parole accolte dai detenuti con un applauso di gratitudine.
Bergoglio ha incoraggiato i detenuti: “Tutti abbiamo bisogno gli uni degli altri, e tutti abbiamo diritto a sperare, al di là di ogni storia e di ogni errore o fallimento. Tra pochi mesi inizierà l’Anno Santo: un anno di conversione, di rinnovamento e di liberazione per tutta la Chiesa; un anno di misericordia, in cui deporre la zavorra del passato e rinnovare lo slancio verso il futuro; in cui celebrare la possibilità di un cambiamento, per essere e, dove necessario, tornare ad essere veramente noi stessi, donando il meglio. Sia anche questo un segno che ci aiuti a rialzarci e a riprendere in mano, con fiducia, ogni giorno, la nostra vita. Cari amici e amiche, grazie per questo incontro. Vi dico la verità: voi mi state facendo bene. Continuiamo a camminare insieme, perché l’amore ci unisce al di là di ogni tipo di distanza. Vi ricordo nella mia preghiera e, vi chiedo, per favore, di pregare anche voi per me. A favore, non contro!”. Al termine, il Pontefice ha donato al penitenziario un quadro della Madonna col bambino: “Esprime la tenerezza”, ha detto. I detenuti gli hanno donato una scatola piena dei loro pensieri e una composizione nella quale ognuno di loro ha scritto in cosa crede.
E’ stato un giovane detenuto napoletano a salutare il Papa a nome di tutti i reclusi del carcere di Montorio. Intervenuto dopo la direttrice Gioieni – “Qui dentro c’è la vita, Santità” – il giovane è stato invitato a parlare a nome dei 592 detenuti “da tutte le regioni del mondo”: sono infatti almeno 40 le diverse nazionalità presenti.
“L’emozione di questo giorno che Lei ha deciso di trascorrere in gran parte con noi la porteremo sempre dentro di noi, anche quando avremo finito di pagare per i nostri errori”, ha detto il giovane, concludendo con la battuta in napoletano: “Santità, per noi siete nu piezz’e core”.
Il Pontefice ha incoraggiato i detenuti “a rialzarsi, perché il perdono c’è per tutti e la speranza è un diritto”. Poi lo scambio dei vari doni creati dai detenuti e il quadro raffigurante la vergine Maria portato dal Papa. Quindi la benedizione e il “buon appetito a tutti” prima di entrare per il pranzo in carcere.