Antigua e Barbuda, lo Stato insulare dei Caraibi, è stato rimosso dall’elenco europeo delle “giurisdizioni non cooperative a fini fiscali”. In altre parole, non è più un paradiso fiscale per l’Ue.
L’elenco è attualmente composto dalle Samoa americane, Anguilla, Figi, Guam, Palau, Panama, Russia, Samoa, Trinidad e Tobago, Isole Vergini americane, Vanuatu. Il Consiglio “si rammarica che tali giurisdizioni non siano ancora cooperative in materia fiscale e le invita a migliorare il loro quadro giuridico per risolvere i problemi individuati”, si legge nella nota al termine dell’Ecofin di oggi 8 ottobre.
Ma cosa rappresenta questa rimozione per l’Ue e per il Paese dei Caraibi e soprattutto quali sono i vantaggi e i rischi di un paradiso fiscale?
Perché Antigua e Barbuda è stato rimosso dall’elenco
Antigua e Barbuda è stata incluso nell’elenco Ue delle giurisdizioni non cooperative ai fini fiscali nell’ottobre 2023, dopo una valutazione negativa da parte dell’Ocse Global Forum. A seguito di modifiche alle norme applicabili, il Global Forum le ha concesso una revisione supplementare, che verrà intrapresa nei prossimi mesi. In attesa dell’esito di questa revisione, Antigua e Barbuda è stata esclusa dall’elenco.
Inoltre, due giurisdizioni presenti nell’elenco da molto tempo, ovvero Figi e Palau, “hanno compiuto passi promettenti verso la conformità ai criteri di inserimento nell’elenco”, continua il Consiglio.
Oltre all’elenco delle giurisdizioni fiscali non cooperative, il Consiglio ha approvato il consueto documento sullo stato di avanzamento dei lavori, che riflette la cooperazione in corso dell’Ue con i suoi partner internazionali e gli impegni di questi Paesi a riformare la propria legislazione per aderire agli standard concordati di buona governance fiscale.
“Il suo scopo – si legge nella nota – è quello di riconoscere il lavoro costruttivo in corso nel campo della tassazione e di incoraggiare l’approccio positivo adottato dalle giurisdizioni cooperative per attuare i principi di buona governance fiscale. Due giurisdizioni, Armenia e Malesia, hanno rispettato i propri impegni modificando un regime fiscale dannoso e saranno rimosse dal documento sullo stato di avanzamento dei lavori”.
Alla luce delle recenti rassicurazioni da parte del governo locale, al Vietnam, invece, è stato concesso più tempo per rispettare il suo impegno in materia di rendicontazione Paese per Paese e “tale impegno sarà rivalutato nel prossimo aggiornamento, previsto per febbraio 2025”.
Ma cosa sono i paradisi fiscali e quali rischi rappresentano?
Il termine paradiso fiscale deriva da ‘Tax Heaven’ e riguarda quegli Stati il cui ordinamento tributario è caratterizzato da aliquote molto basse o da particolari agevolazioni fiscali per i non residenti al fine di assicurare la realizzazione di insediamenti produttivi e finanziari con capitali esteri.
L’elenco europeo delle giurisdizioni non cooperative ai fini fiscali è stato istituito nel dicembre 2017. Fa parte della strategia dell’Unione in materia di tassazione e mira a contribuire agli sforzi in corso per promuovere la buona governance fiscale in tutto il mondo. Le giurisdizioni sono valutate sulla base di una serie di criteri stabiliti dal Consiglio. Tali criteri riguardano la trasparenza fiscale, la tassazione equa e l’attuazione di standard internazionali concepiti per prevenire l’erosione della base imponibile e lo spostamento degli utili. Dal 2020, il Consiglio aggiorna la lista due volte l’anno. La prossima revisione della lista è prevista per febbraio 2025.
La storia colloca la loro origine ben prima dei “paperoni” milionari moderni. Già alla fine dell’Impero romano, molti preferirono diventare sudditi dei regni barbarici pur di sfuggire al fisco di Roma. La ricerca di una tassazione inferiore sui propri beni e averi non è cosa solo fatto contemporaneo.
La stessa Italia è stata considerata per certi versi un vero e proprio Paradiso fiscale. Nel 2022, la ricchezza finanziaria offshore ha raggiunto globalmente i 12.000 miliardi di dollari, pari al 12% del Pil mondiale, con l’Italia che contribuisce con 198 miliardi, quasi il 10% del Pil nazionale. Il rapporto “Global Tax Evasion Report” dell’Osservatorio Fiscale Europeo dell’Oxfam, pubblicato lo scorso anno, ha evidenziato l’evasione fiscale delle multinazionali e le criticità dell’imposta minima per grandi aziende, che riduce le entrate fiscali.
Sebbene la fuga di capitali sia diminuita grazie allo scambio automatico di informazioni, le pratiche elusive continuano a privare i governi di risorse significative. Il report stimava che i profitti delle multinazionali trasferiti in paradisi fiscali ammontassero a 1.000 miliardi di dollari, causando un danno erariale di 5,6 miliardi per l’Italia. Inoltre, le aliquote effettive d’imposta per i miliardari sono molto basse, tra lo 0% e lo 0,5%. E la conseguenza è il grande tema della “giustizia fiscale”.
rivare i governi di risorse significative. Il report stimava che i profitti delle multinazionali trasferiti in paradisi fiscali ammontassero a 1.000 miliardi di dollari, causando un danno erariale di 5,6 miliardi per l’Italia. Inoltre, le aliquote effettive d’imposta per i miliardari sono molto basse, tra lo 0% e lo 0,5%. E la conseguenza è il grande tema della “giustizia fiscale”.
Paradisi fiscali, tra scandali e giustizia fiscale
Diversi scandali hanno spesso riguardato i paradisi fiscali. Due dei più famosi sono i Panama Papers (2016): uno degli scandali più significativi, emerso da una fuga di documenti dal gruppo aziendale panamense Mossack Fonseca. Rivelò come leader mondiali, politici e celebrità utilizzassero società offshore per evadere tasse e nascondere ricchezze. O ancora i Paradise Papers (2017): un’altra fuga di documenti che ha esposto come aziende e privati, inclusi membri della famiglia reale britannica e figure pubbliche, utilizzassero paradisi fiscali per ridurre il carico fiscale.
Quello che ne deriva è un tema dibattuto anche dalle politiche moderne: la giustizia sociale. In Italia, ad esempio, 50.000 persone possiedono una ricchezza tre volte superiore a quella di 25 milioni di cittadini in difficoltà economica, creando un divario sociale preoccupante. Per affrontare questa situazione, 134 economisti italiani hanno firmato un Manifesto per un’agenda “Tax The Rich”, chiedendo un aumento della tassazione sui più facoltosi.
Così come, in Unione europea, il dibattito sulla tassazione dei super-ricchi è sentito, con sistemi fiscali che spesso favoriscono i più abbienti, alimentando disuguaglianze. Iniziative recenti, come una petizione per un’imposta sui grandi patrimoni, hanno raccolto quasi 200.000 firme, mentre oltre 140 Paesi hanno concordato una riforma fiscale per le multinazionali. C’è un crescente sostegno per misure di maggiore trasparenza fiscale e l’eliminazione di regimi preferenziali. Anche i milionari stanno spingendo per una tassazione più equa, riconoscendo la necessità di affrontare le disuguaglianze e preservare la stabilità democratica. Questi sforzi mirano a costruire un sistema fiscale più giusto e sostenibile nell’Ue.