Non credeteci ma, per la morte di un colombo in quasi 5 anni ben 18 magistrati hanno dovuto occuparsene in un intreccio di processi che è la dimostrazione lampante di come la giustizia italiana possa riuscire a perdere tempo. E non è ancora finita.
Tutto cominciò il 6 giugno del 2010 quando un avvocato di circa 50 anni si affacciò ad una finestra della sua villetta nella zona est di Milano e con un colpo di fucile ad aria compressa colpì un colombo che cadde morto nel cortile del palazzo a fianco. I vicini chiamarono i Carabinieri. Ai militari che bussarono alla villetta si presentò un uomo «in palese stato di ebbrezza alcolica», scrivono nel verbale firmato in quattro, che dice di avere sparato perché anni prima suo figlio si era ammalato ed era «entrato in coma a causa di uno di questi volatili».
Per rimuovere la carcassa dell’animale, udite … udite, intervenne un mezzo speciale del Comune. Uccisione di animali con crudeltà e «getto pericoloso di cose» (il proiettile) in luogo privato di uso altrui, recita l’accusa formulata dal pm della Procura al gip Dottor Bruno Giordano, che quattro mesi e mezzo dopo il fatto emette un decreto penale condannando il reo confesso a ottomila euro di multa. L’imputato si oppose e chiese di essere giudicato con il rito abbreviato. Per quei reati la prescrizione è di cinque anni. I primi due vanno via ancor prima che il fascicolo arrivi sul tavolo del giudice Dottor Andrea Ghinetti che il 6 marzo 2012, su richiesta di un secondo pm, condannò l’avvocato a un mese e 20 giorni di arresto con la condizionale.
L’avvocato sparatore avvalendosi di ogni suo diritto, fece appello perché, sostengono i suoi due difensori, le prove erano insufficienti, nessuno ha visto sparare, i Carabinieri non hanno «redatto un verbale per constatare lo stato del colombo» e, poi, chi l’ha detto che l’uccello è stato ucciso dal proiettile? Non potrebbe essere che si è fatto male da solo andando a sbattere contro un ramo? E «se fosse davvero morto per cause naturali?». E la confessione? «Inutilizzabile» perché resa senza la presenza di un avvocato. Il processo d’appello l’ 8 ottobre 2012 conferma la condanna dopo aver analizzato il caso da capo a piedi. Neppure questo è bastato a far desistere gli avvocati che spostano la battaglia in Cassazione. La prescrizione continua a correre. Bisognerà aspettare 16 mesi prima di sapere cosa 5 giudici della terza sezione penale rispondono al pm che chiede la conferma della condanna.
I Signori Giudici approfondiscono anche loro il caso, quasi ci si appassionano. Vergano tre pagine di motivazioni che confermano come al solito la condanna. Ma attenzione, solo per l’uccisione dell’animale rimandando indietro la questione del «getto pericoloso» perché non era stata sufficientemente motivata dall’Appello. Si torna così a Milano il 30 gennaio 2015, Corte d’appello, sezione quarta. Il ricordo del piccione continua a vivere solo nelle aule di giustizia. Tre giudici e il sostituto pg Dottor Gaetano Amato Santamaria, che con tutti gli altri che li hanno preceduti fanno la bellezza di 18 magistrati con i quali hanno lavorato qualche decina di cancellieri e impiegati, per l’ennesima volta analizzano la sorte dell’animale finendo perfino a disquisire se il «getto» potesse riguardare la caduta «del corpo stesso del piccione ferito e agonizzante precipitato tra le persone» e non il pallino che lo ha trapassato ad un’ala. Sentenza confermata di nuovo anche per il secondo reato. Ci vorrebbero 30 giorni per le motivazioni, ma il Presidente Dottoressa Francesca Marcelli le ha depositate il 10 febbraio u. s..