Trascorriamo online un quarto della giornata e abbiamo in media 8 account social. E’ solo un piccolo dato nel mare magnum di cifre e numeri raccolti come ogni anno dalla piattaforma “We Are Social” nel suo consueto report annuale 2020, realizzato in collaborazione con “Hootsuite”.
La ricerca, ormai alla sua nona edizione, mostra il nostro Paese come uno dei più presenti nell’infosfera e nell’utilizzo degli strumenti offerti dalla rete: quotidianamente infatti 45 milioni di nostri concittadini accedono a internet dal proprio smartphone e 35 milioni di essi sono attivi su una piattaforma social. La crescita rispetto all’anno scorso è del 2,4%, ossia 1,2 milioni di utenti in più della rete, e del 6,4%, oltre 2 milioni, di utenti attivi sui social media. Siamo quasi giunti nel nostro Paese ad avere uno smartphone per ogni cittadino, e ogni utente utilizza massicciamente i servizi di messaggistica istantanea (WhatsApp) e la navigazione sui social network (Facebook ha una popolazione mondiale di quasi 2 miliardi e mezzo di persone; YouTube di 2 miliardi). Sono come spesso accade da oltre 10 anni a questa parte, cifre impressionanti, numeri sempre in crescita che ancora una volta fanno emergere stili, diete mediatiche e modi d’uso, in particolare dei social media, non sempre positivi. Tralasciamo i soliti noti problemi legati a un uso dannoso del web (cyberbullismo, hate speech, revenge porn, ecc.), per analizzare invece lo studio condotto dallo Strategic Communication Centre of Excellence (StratCom) della NATO, intitolato “Falling Behind: How Social Media Companies are Failing to Combat Inauthentic Behaviour Online”, un report che rivela, in estrema sintesi, come con poche centinaia di euro sia possibile acquistare like, commenti, follower e video view creati da bot e che, molti account social nonostante siano stati segnalati alle piattaforme come falsi, continuino a rimanere visibili online.
Lo studio si è concentrato in particolar modo sui maggiori social (Facebook, Twitter, Instagram e YouTube) e su come essi non riuscirebbero a porre un freno al fenomeno della manipolazione dolosa degli account e del traffico di like e follower online, una pratica in costante crescita e tacitamente dannosa che in Europa sta approfittando per proliferare grazie a un vuoto normativo e per l’assenza di adeguate misure sanzionatorie. Per rendere al pubblico in tutta evidenza il pericoloso fenomeno, StratCom ha effettuato un esperimento sul social traffic per un periodo di 4 mesi (maggio-agosto 2019) con l’obiettivo di capire come fossero soggetti a manipolazione i principali social network. I ricercatori Nato hanno acquistato traffico social da alcuni provider dislocati in Russia e da 5 collocati in Europa, tra cui uno in Italia, e hanno potuto constatare che la manipolazione ha delle solide basi grazie a un fiorente mercato che non solo è in costante crescita e ha costi operativi irrisori, ma che è letteralmente dominato dai cosiddetti Manipulation Service Providers (msps), con base operativa soprattutto in Russia, a cui si rivolgono utenti, società e figure istituzionali per procurarsi i cosiddetti servizi di social media engagement, ovvero like, commenti e condivisioni video. Con un budget di soli 300 euro si possono comprare 3.530 commenti, 25.750 like, 20.000 visualizzazioni e 5.100 follower; se invece si dispone di pochi spiccioli, con soli 10 euro entrano a far parte dei nostri profili 990 follower su Facebook, 2.439 su Twitter, 3.846 su Instagram o 458 su YouTube.
Se si preferiscono al contrario le visualizzazioni, sempre con 10 euro si possono comprare 11.627 visualizzazioni su Facebook, 4.347 su Twitter, 3.267 su YouTube oppure 13.158 su Instagram. Una vera task force all’opera per falsificare profili social e le relative informazioni (ben 18.739 account al lavoro per manipolare le piattaforme social) con i responsabili delle suddette piattaforme che riescono a far poco o nulla per contrastarne il fenomeno. Facebook per esempio è riuscito a rimuovere solo il 10% dei like falsi dopo un mese, mentre non è stato in grado di rimuovere falsi commenti: il risultato è che gli engagement falsi, dopo 4-5 settimane, sono ancora online e, nonostante le segnalazioni degli utenti della presenza di fake account, a 3 settimane della notifica più del 95% degli account segnalati rimangono ancora attivi. La grande mole di interazioni fraudolente acquistate, genera, si legge sempre nello studio, percentuali altissime (90%) di account falsi utilizzati a scopo commerciale, mentre il rimanente è utilizzato per atti manipolatori in ambito politico. La frode dunque è in grado di colpire sia i consumatori che le aziende perché proliferano follower e like posticci a fini promozionali e per pratiche commerciali del tutto illecite.
Il report infine fa luce anche sui fake engagement in politica, ambito in cui sono state di fatto comprate 721 pagine politiche, 52 pagine corrispondenti a governi ufficiali, compresi 2 account ufficiali di 2 presidenti, e una pagina ufficiale di un partito politico europeo. Il grado di pericolosità legato a questa pratica illecita e fraudolenta è molto alto e le grandi piattaforme con le quali giornalmente ci relazioniamo, Facebook, Instagram e Twitter, rimangono ancora indietro e inadeguate nelle misure intraprese nel combattere il fenomeno del “fake” e delle sue relative pratiche scorrette. L’utilizzo di profili falsi o di like fake per aumentare surrettiziamente un profilo pubblico, è una pratica diffusissima con un mercato ormai di miliardi di euro a disposizione di chi, con una limitata disponibilità di denaro e una conoscenza di base dei meccanismi dei social, ha intenzione di interferire e di influenzare un’opinione pubblica sempre più smarrita. Di fatto rimane un problema di vacatio legis, un vuoto legislativo che se negli Usa ha trovato un rimedio grazie all’organismo che controlla il commercio (FTC) intervenuto recentemente a condannare con multe salatissime pratiche illegali in questo senso operate da una società americana, in Europa manca ancora un quadro normativo specifico sul fenomeno, un Giurì di Autodisciplina, per esempio. Intanto però che la legge compia il suo percorso, potrebbero muoversi direttamente le piattaforme social adottando standard qualitativi e criteri efficaci che siano capaci di identificare tentativi di manipolazione e chiedendo una maggiore regolamentazione del mercato dei MSPs, uno strumento in possesso di pericolosi metodi di interferenza sia a livello commerciale sia nella sicurezza politica. A noi utenti non rimane altro che coltivare la consapevolezza che la disinformazione in una realtà sempre più tecnocratica è sempre in agguato, e che per avere una giusta percezione di ciò che accade nella nostra società, bisogna continuare a esser vigili affinché le attività delle piattaforme online ci appaiono, nonostante gli interventi dietro le quinte, ogni giorno un po’ più trasparenti e affidabili.