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PIU’ DI UN SECOLO DAL GRANDE MALE

Il 24 aprile 2015 erano  trascorsi esattamente cento anni dal 24 aprile 1915, data della deportazione dei notabili della comunità cristian armena di Istanbul. Data presa come riferimento simbolico di inizio del Grande Male (in armeno  Metz Yeghern). In quei giorni  Papa Francesco ricordò l’evento  in pubblico. Ad oggi la situazione è poco mutata…in peggio.

La reazione di diniego del Presidente turco Erdogan alle dichiarazioni di Papa Francesco innescò una serie di altre reazioni: in relazione proprio al “cosiddetto” Genocidio Armeno hanno creato sconcerto allora i commenti del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Sandro Gozi, impostati su un tasso di “politicamente corretto” del 100%; sconcerto cui si aggiunge quello per il silenzio assordante del Presidente del Consiglio dei Ministri italiano sull’argomento; fu uno dei tanti silenzi, che continuano fino ad oggi,  di tanti altri governi. Ora, che il governo della Cina (e  di qualunque altro stato nelle stesse condizioni) taccia sull’argomento è un fatto scontato: il Metz Yeghern armeno non lo riguardava  a suo tempo in alcun modo, a maggior ragione non lo riguarda ora, e qualunque sua manifestazione di opinione indurrebbe solo a chiedersi  la causa di tale esternazione. Se invece a tacere sono governi che al tempo del genocidio armeno sono stati (per azione o omissione) coinvolti, o hanno addirittura reso reato il negare i milioni di morti nei campi di sterminio tedeschi durante la seconda guerra mondiale, tale scelta non può che indurre a riflessioni: quali sono le cause di tali comportamenti?  Perché quanto è valido per le persone  sterminate dai tedeschi non vale per coloro sterminati (e con ben maggiore ferocia torturatrice) dai turchi? Quanto subìto dal popolo Armeno (così come da altri popoli, pur con le tante differenze) va classificato come genocidio? Se sì l’analisi prende una certa strada, se (e sarebbe pur sempre possibile) si vuole classificare il Metz Yeghern in modo diverso (persecuzione religiosa?) allora la strada che si prende è  diversa.

I fatti sono indiscutibili: gli orrori furono documentati (anche se molto meno di quelli avvenuti in Europa durante la seconda guerra mondiale, e nel nasconderli e farli dimenticare chi massacrò gli armeni si dimostrò ben più efficiente dei tedeschi), i testimoni ci furono, tanti e disinteressati.  La Turchia repubblicana (nonostante Kemal Ataturk non fosse coinvolto) ha costruito la sua storia classificando le stragi di civili, di donne e bambini, le torture sistematiche, le conversioni forzate, le marce della morte, come episodi di violenza nel caos bellico o reazione militare agli insorti armeni. Con il Metz Yeghern l’Armenia è stata ridotta a una frazione di quel che era prima, e nel 1923 (all’atto della fondazione della Repubblica) il governo turco temeva  le rivendicazioni territoriali armene: otto anni dopo l’inizio delle stragi, tutti coloro (tra cui i Giovani Turchi) che avevano attuato e sostenuto i massacri, approvato le conversioni forzate, arricchito se stessi con i beni sottratti ai cristiani armeni, erano in circolazione e non volevano assolutamente renderne conto. I tedeschi con la guerra 1939-45 hanno avuto milioni di morti, perso un terzo del territorio, subìto una distruzione epocale, perso l’orgoglio nazionale tanto che persino l’inno nazionale fu  modificato, subiscono oggi qualunque accusa senza permettersi di replicare e hanno rinnegato  totalmente una parte della loro storia. Nulla di questo è avvenuto per i responsabili del Metz Yeghern. I cristiani convertiti a forza sono dovuti rimanere musulmani, così come i loro discendenti. In Turchia per un secolo è stata costruita e ben lubrificata una morsa inesorabile che da un lato negava e nega il genocidio all’esterno, e dall’altro colpiva e colpisce all’interno con i tribunali financo il ricordo.

I testimoni (e i massacratori) sono ormai certamente tutti morti, ma se vi fosse stata in Turchia la stessa libertà di investigare, studiare e interrogare che vi è stata in Europa probabilmente la biblioteca sul  Metz Yeghern sarebbe ben più ampia e raccapricciante. Una delle ragioni forse è che mentre per il Grande Male si ebbe tutto il tempo di cancellare le tracce, per l’Olocausto tutto si fermò mentre era ancora in corso; un’altra è che mentre gli USA intervennero pesantemente sulla Germania per documentare e condannare, nulla del genere avvenì in Turchia.

Ancora nel 2021, il Premio Nobel per la letteratura Orhan Pamuk fu incriminato[1] per “vilipendio all’identità nazionale”; cosa è accaduto a coloro che non avevano l’enorme vantaggio di essere Premi Nobel, o di poter emigrare trovando una buona accoglienza? Hrant Dink[2], intellettuale armeno con cittadinanza turca, fu ucciso nel 2007 non perché chiedesse il rimborso dei danni economici, o il recupero dei territori sottratti all’Armenia, o la libertà di ricerca per risalire ai “convertiti a forza”: chiedeva ai turchi di ricordare Metz Yeghern. E fu ucciso con la complicità  di alcuni funzionari[3] della polizia turca. Il suo omicidio non fu quindi un’iniziativa personale, esattamente come non lo fu il genocidio armeno. Dopo la sua morte fu avanzata una richiesta di perdono per le stragi che ha raccolto 30.000 firme di cittadini turchi (su 75.000.000 di abitanti).  Nel gennaio 2015 il primo ministro turco Davutoglu ha rievocato Dink come simbolo di un “nuovo inizio” nei rapporti tra turchi e armeni. Davutoglu nell’aprile 2015 ha proposto di “affrontare  onestamente il passato”.

Eppure ci troviamo di fronte a una realtà storica indubitabile, anche se le prove sono state cancellate sicuramente meglio, anche per il tempo trascorso e gli ostacoli posti alla ricerca,  rispetto ad altri genocidi più recenti, ma chi avrebbe potuto conservarle, o interrogare i testimoni? La “dannazione della memoria” è sempre stata una ottima tecnica per evitare contenziosi sul passato, e nel caso del Metz Yeghern è stata ampiamente utilizzata, e non solo dai diretti responsabili.  Il genocidio è innegabile: storici (anche turchi) si sono già sufficientemente espressi, in maniera inoppugnabile, basandosi su archivi ottomani.  La storia deve utilizzare le sue conoscenze per descrivere il passato, e comprendere i meccanismi che portarono a certi eventi; ma non è compito della storia, né degli storici, giudicare il passato o travisarlo. Parte della storia è anche il ricordare i musulmani che strapparono i cristiani ai massacratori islamisti; una corrente di pensiero, la stessa corrente di pensiero che guarda alla comune umanità piuttosto che a differenze costruite da ideologie a base religiosa, spera che sia possibile una svolta e si creino le basi per un ravvicinamento.

Gli armeni hanno ricordato il 24 aprile 2015, il Metz Yeghern, a Erevan insieme al capo di stato russo, Vladimir Putin, a Hollande (la Francia ha riconosciuto per legge il genocidio armeno, l’Italia lo ha fatto nel 2019), e ad altri.

Quasi contemporaneamente i turchi, con il loro capo di stato, Erdogan, ricordarono  la battaglia di Gallipoli del 1915, una vittoria durante la “campagna dei Dardanelli” che costrinse le truppe della Triplice Intesa (Impero Britannico, Francia, Impero Russo) a reimbarcarsi e costò 250.000 morti nella battaglia. La vittoria simboleggiò per gli ottomani l’aver respinto lo “sbarco” degli Europei in Asia; una visione conflittuale costante che sembra immodificabile.

Il Metz Yeghern armeno è  una realtà storica che da più di  un secolo è  volutamente negletta. Certamente non  perché il XX secolo  abbia avuto altri massacri con decine  di milioni di morti, se non altro perché quello armeno è stato il primo, e il meglio riuscito: non solo i cristiani erano il 19% degli abitanti dell’Anatolia nel 1914 (vi fu un censimento in quell’anno) e oggi sono lo 0,2%, ma sopra il fatto è stata fatta calare una cappa di piombo che lo ha reso silenzioso. Il XXI secolo non potrà elaborare alcuna teoria politica innovativa se non prenderà di petto i problemi e correggerà le soluzioni sbagliate  che il XX ci la lasciato e   che lo hanno attraversato immutate.  Negare come non accaduto ciò che è stato, ciò che è, e ciò che quasi certamente sarà riesce solo a far ripetere gli stessi errori; così come classificare qualcuno come “nemico”  per principio rende le guerre eterne fino a che il “nemico” non sia stato spazzato via. E guai a coloro che sbagliano a definire il nemico, confondendo gli uomini con le ideologie: le ideologie possono essere totalmente o parzialmente inconciliabili, gli uomini possono sempre trovare un punto di intesa temporaneo. Ma finché certe ideologie continueranno ad essere predicate il conflitto sarà sempre pronto a riaccendersi.

Il Metz Yeghern è una realtà storica che da più  un secolo  è stata parzialmente occultata e abbondantemente negletta da alcune correnti “culturali”  e politiche. Il “Grande Male” del Genocidio Armeno fu realizzato da turchi, da curdi, da ottomani, da musulmani (figure spesso sovrapposte), ma comunque da persone oggi tutte abbondantemente defunte. Fu realizzato durante la prima guerra mondiale, quando l’Impero Ottomano era alleato della Germania e le altre potenze europee avevano fronti ben più vicini che richiamavano la loro attenzione. Anche allora la divisione dell’Europa la rese fragile: sembra quasi una consuetudine degli Stati europei combattersi tra loro per allearsi, a turno, con i nemici dell’Europa. Ci si allea con il nemico lontano quando  è  nemico del mio nemico vicino,  questo accade anche oggi, ma che succede quando il nemico lontano diventa nemico vicino?

Il Metz Yeghern armeno ebbe certamente una componente religiosa: anche solo  le conversioni forzate dei bambini armeni lo provano. Forse è ormai  necessario che l’analisi politica (almeno in Europa) torni ad affrontare il fatto religioso nella sua dimensione ideologica ragionando con criteri diversi da quelli di due secoli fa, quando il termine “tolleranza religiosa” si applicava a  visioni delle religioni e a  prassi politiche ben diverse. Dopo il XIX secolo (“libera chiesa in libero stato”) che ha fatto ritornare le gerarchie delle religioni cristiane alla dimensione spirituale dopo che avevano esteso la loro area di controllo in aree non di pertinenza (il “date a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio” è puro cristianesimo), e dopo il XX secolo con le sue ideologie atee (nazismo, comunismo, liberismo hanno considerato le religioni cristiane in tanti modi, ma comunque come un ostacolo), in Europa dopo due secoli di successi nel riportare  le religioni cristiane all’aspetto spirituale dei primi  secoli della Chiesa e nel definire cosa fosse religione (quel che riguarda l’aldilà) e cosa ideologia, il problema “religione” si credeva risolto. Forse non a caso proprio in quei due secoli l’influenza politica e militare di stati pervasi da ideologie intrecciate a  religioni non cristiane sull’Europa si era in pratica azzerata, e forse molti pensatori europei  hanno inconsciamente identificato le religioni (con la R maiuscola) con le sole religioni cristiane, e  forse hanno omesso di ricordare che le religioni cristiane sono tra le pochissime che prescrivono (almeno, se sono coerenti con i valori del Fondatore) la separazione tra i valori di Dio e i valori di Cesare. E forse i politici hanno dimenticato che la tolleranza deve essere reciproca. E’ un vecchio adagio che si può tollerare tutto tranne l’intollerante.

Lo sviluppo storico del Metz Yeghern armeno fu una pagina nera non solo della storia asiatica, ma anche europea, perché gli Stati europei non intervennero, coinvolti nella guerra 1914-18.  E su questa multi continentalità, anche in relazione alla storia contemporanea che ha reso attuali le stragi delle  comunità cristiane in più continenti,  gli uomini di cultura e i politici europei  non hanno ancora sufficientemente meditato  nel contesto storico attuale.

Molti Stati europei sapevano e non intervennero. Un’intesa tra persecutori dell’umanità, in nome per alcuni della Ragion di Stato (Ragione che si fa Religione) e per altri della Religione (Religione che si fa Ragione, e non ammette altra Ragione che quella della Religione).  La Germania  all’inizio del XX secolo aveva in  gran considerazione come alleato l’Impero Ottomano,  e il  Gran Muftì di Gerusalemme fu ospite graditissimo a Berlino per anni.   In Europa sembra oggi esserci un rifiuto del negazionismo solo verso le stragi compiute dai tedeschi; forse perché sono stati sconfitti?  Alcuni Stati europei hanno reso addirittura reato negare i milioni di morti  durante la Seconda Guerra Mondiale in Europa, tal quale a definire reato  scrivere che l’acqua è asciutta. Mentre in altre parti del mondo (la Turchia è solo uno dei negatori) negare i genocidi sembra una tendenza irresistibile, ed elencarli inutile, in Europa  si ammettono solo le stragi attuate dagli sconfitti: anzi se ne fanno “Libri Neri”,  forse perché  non si rischia nulla a raccontare la storia delle decine di milioni di morti nei campi della Germania (sconfitta nel 1945) e dell’Unione Sovietica (dissolta nel 1990), mentre su tutti gli altri punti  di scontro  con potenziali nemici forti si stende la nebbia del “politically correct”.  In questo l’Europa non è sola: anche Africa e Asia soffrono al “limes” islamico, ma sembrano voler vedere solo singoli episodi senza percepire l’insieme. Anche Africa e Asia hanno i loro genocidi (o conflitti etnici sanguinosi, se può sembrare un termine più “politically correct”) di cui evitano accuratamente di parlare, segno che l’idolatria della Ragion di Stato è un problema politico generale, e la paura di innescare una reazione nell’avversario  un problema umano. Comportamenti comprensibilissimi, e giustificabilissimi, ma sono costruttivi?

L’Europa è progredita prima degli altri continenti verso una civiltà più umana, negli ultimi secoli,  anche grazie al laicismo, che fu uno dei motivi delle persecuzioni dei cristiani, che rifiutavano di venerare come divinità l’Imperatore. Molti armeni (cristiani dunque, in quanto prima Nazione che accettò la fede cristiana al mondo) furono salvati da ebrei, perché ritenuti laicamente persone da salvare. Molti ebrei furono salvati da cristiani (anzi, persino dalle Chiese come scelta della gerarchia) perché ritenuti cristianamente persone da salvare. Vi è qui una asimmetria: il laicismo è figlio del cristianesimo. Il cristianesimo omicida (che brucia gli eretici, che tortura, che opprime) è una prassi di cristiani: di cattivi cristiani, e di cristiani cattivi che vengono sconfessati (e spesso confessati) da altri cristiani; ma è sconfessato in ogni più piccolo atto dai valori fondanti del cristianesimo.

Nessuna sconfessione vi è, per gli omicidi del passato, da appartenenti ad altre religioni; anzi coloro che tentano di farlo vengono ritenuti, e forse a rigore lo sono, apostati. Ma se (sottolineato “se”) sono apostati significa che la violenza è uno dei valori fondamentali delle ideologie intrecciate con le religioni cui appartenevano prima dell’apostasia.  L’umanità laica, che non passa,  non può  riconoscere come fondamentali le distinzioni e le ideologie religiose che passano con il tempo, e spesso hanno variazioni sui temi,  regole, abitudini e obblighi temporanei e contingenti,  che dopo secoli sono ritenute oggi addirittura ridicole. O qualcuno crede ancora che Giove scendesse sulla Terra in forma di pioggia d’oro? O che la danza della pioggia avesse effetto?

Ci sono poi stati, ieri come oggi, i molti silenzi dei pensatori europei  del XX secolo sui questi temi. Vien da pensare a che servano i tanti cortei sulla libertà e su questioni  forse “di minoranza”, quando non si è capaci di preservare, con dignità, fermezza e tenacia, il ricordo comune, commosso e piangente, dei centinaia di migliaia di martiri armeni di ieri. E vien da porre una domanda ai governanti europei[4]  e a molti  maestri-di-pensiero europei: se accettano il tentativo in atto di cancellazione del ricordo di milioni  di cristiani  uccisi di ieri, con  silenzi  imbarazzati,  cosa dobbiamo aspettarci  per le minoranze cristiane oppresse nel mondo? Se la risposta è la stessa che fu data un secolo fa, l’indifferenza, è evidente che questa classe dirigente europea non solo non è più cristiana, né laicista, ma neanche semplicemente umana. E allora, quale  futuro per l’Europa? È evidente che i “prudenti” politici ed intellettuali più o meno apertamente oggi silenziosi sul  Metz Yeghern armeno lo sono per “opportunità” politica ed economica, le stesse “opportunità” che hanno portato  a una situazione politica, economica e demografica in Europa che gli ottimisti definiscono preoccupante e i pessimisti esplosiva.

Viviamo in una Europa[5]  in cui, non per la prima volta,  si consente che  interessi economici e ideologici giustificati da teorie farlocche  dettino forzatamente, e senza possibilità di critica, gli obiettivi dei politici al potere. E più queste teorie sono confutate dai fatti, e più vengono proclamate come irrinunciabili. Per costoro, come Don Ferrante,  è il mondo che non si adatta alla giustezza delle teorie, non le teorie che sono sbagliate. Come i medici del ‘600 sono sì pieni di presunzione,  ma  incapaci sia  di diagnosticare che  di curare. Ed è così che, per motivi economici, le conquiste, tanto giuridico-sociali che economiche, del XX secolo, negli ultimi decenni sono state esposte e soggette a insidiose erosioni. Si pensi a questo, a una  certa Europa (imbelle, edonista, nichilista e dimentica -scientemente e non- delle proprie viventi radici cristiane, romane e greche) e al fatto che sempre maggiori fette della produttività e dell’economia occidentali sono in mano a capitali stranieri legati a masse monetarie controllate da extraeuropei; con perdita di sovranità economica e quindi potenziale futura perdita di sovranità politica e culturale. E se si inizia “per opportunità” a negare un Genocidio, per motivi di diversa “opportunità” se ne potrà domani negare un altro, chiudere gli occhi su quello dei cristiani di Oriente (e di zoroastriani e yazidi) in corso e magari, perché no, accettarne altri entro l’Europa, anche se tecnicamente la guerra in corso nel Donbass non è un genocidio il numero di morti è già impressionante. Tra laicisti, e  tra uomini, è possibile avere  origini, cultura e confessione religiosa di origine differente e credere, specie nella nostra tormentata e difficile contemporaneità, che la necessaria e continuamente rinnovantesi pacificazione tra le persone e i popoli debba basarsi sul rispetto e sulla vicendevole, approfondita, reciproca e onesta conoscenza. Un cammino difficile, estraneo a silenzi, revisionismi o negazioni della verità. Questo implica il manifestare  piena solidarietà e vicinanza ai figli e alle figlie del Popolo Armeno, al loro Catholicos e a Papa Francesco che ha ricordato la storia.

Nessun uomo vivente oggi dovrebbe sentirsi accusato di quei morti, e nessun uomo vivente onesto dovrebbe quindi avere problemi ad ammettere che fu un fatto storico, e a condannare gli assassini, poiché nessun uomo vivente ne è stato corresponsabile.  Se ciò non avviene, e qualche uomo vivente rifiuta di ammettere i fatti o li sminuisce,  si possono ipotizzare tante, e complesse, ragioni. Ne consideriamo solo alcune, perfettamente coscienti dell’essere questa una classificazione rozza, approssimativa, e che si presta a molte critiche, ma siamo costretti a ciò dalla necessità di essere brevi. 

La prima è che non si vuole condannare chi compì il Grande Male perché non si vuole condannare se stessi, perché non si avverte la distinzione tra chi commise i fatti allora e i moderni; o perché si ritiene di far parte della stessa famiglia, di condividere gli stessi valori (perché pur c’erano dei valori, ci sono sempre) dei massacratori. Questa ragione può riguardare tutti gli Stati che un secolo fa agirono, o omisero di agire, anche d’Europa

 La seconda è che si ritiene che tale azione non meriti di essere condannata, quindi la si approva (per il principio di non contraddizione non esiste una terza possibilità) perché la si ritiene giusta. Il che comporta che nelle stesse condizioni, di presenza di una forte minoranza non islamista anche se da secoli preesistente all’islamismo, si riterrà giusto il procedere nello stesso modo, con lo sterminio. Purtroppo il problema non è teorico ma presente e reale, con i massacri realizzati dagli islamisti jahadisti in Asia e in Africa.

La terza è la meno complicata, anche se è la più vigliacca: non si vuole irritare chi segue le altre due ragioni, o per interesse economico, o per paura. L’elenco di coloro che si potrebbe ipotizzare ricadano in questa categoria è lungo, e copre tre continenti, ma certamente include molti politici d’Europa.

Secondo  il presidente turco Recep Tayyp Erdogan (citato da Today Zaman e Hurriyet) gli oltre centomila armeni che lavorano in Turchia non sono cittadini turchi, “avremmo potuto espellerli ma non lo abbiamo fatto” [6].  Quindi la Turchia “si comporta generosamente” non espellendo i centomila lavoratori armeni, anche se “potrebbe farlo” se volesse. Le posizioni della comunità internazionale nei confronti della Turchia, sul tema del genocidio degli armeni, “non sono accettabili per un Paese che ha offerto tutti questi servizi”, ha affermato Erdogan. La posizione di Erdogan è perfettamente coerente: gli armeni non sono islamisti, i non islamisti sono stranieri, e quindi ospiti. Secondo questa   visione  i centomila armeni sono in realtà “rientrati” in Turchia, loro patria d’origine da millenni ben prima dei Turchi.

Sulla definizione data da Papa Francesco delle uccisioni di armeni nel 1915 come il “primo genocidio del XX secolo” è coinvolta anche la UE, scontato  bersaglio di Erdogan. “Qualunque decisione prenda, mi entrerà da un orecchio e mi uscirà dall’altro”, ha avvertito il presidente islamico  turco poco prima dell’approvazione per alzata di mano da parte del Parlamento europeo di una risoluzione [7]che riconosce il genocidio degli armeni, rende omaggio alle vittime, propone l’istituzione di una giornata europea del ricordo e deplora ogni tentativo di negazionismo. Il documento ha accolto due emendamenti presentati dal Movimento 5 Stelle, che aggiungono al testo un riferimento e la lode al discorso del Papa sul genocidio armeno del 12 aprile 2015. Ma in una nota del ministero degli Esteri, Ankara ha comunicato di “respingere al mittente” la mozione, “un esempio senza precedenti di incoerenza in tutti i suoi aspetti”. Qui ci sono state due novità politiche assordanti: la Turchia di fatto distruggeva per sempre ogni sua ipotesi di adesione all’Unione Europea (qualcuno potrebbe anche chiedersi se abbia senso che sia ancora dentro la NATO), e la sinistra italiana  appoggiava il discorso di un Papa mentre il governo di centro-destra  recitava indifferenza.

Nella sessione plenaria a Bruxelles del 15 aprile 2015 l’Europarlamento ha chiesto alla Turchia di “continuare nei suoi sforzi per il riconoscimento del genocidio armeno” e anche “l’apertura degli archivi per accettare il passato”. Per l’Europarlamento  i turchi ottomani commisero “un genocidio” ai danni degli armeni tra il 1915 e il 1917. I parlamentari dell’Europa centro-occidentale  incoraggiavano i turchi a sfruttare le commemorazioni del centenario del genocidio per “creare le condizioni per un’autentica riconciliazione tra il popolo turco e quello armeno,” si legge ancora nel documento. Probabilmente il linguaggio dei parlamentari dell’Europa orientale (specie dei Russi) sarebbe leggermente diverso, anche perché una delle ragioni avanzate per il genocidio fu la paura di una alleanza russo-armena, mentre gli altri Stati d’Europa tacquero con grande eleganza, limitandosi (quando non tacquero) a esortazioni in perfetto stile europarlamentare.

Il 15 aprile 2015  il primo ministro turco durante una riunione del partito nella quale sono stati annunciati i candidati che parteciperanno alle elezioni del 7 giugno, fu perentorio: il Pontefice si è unito al “fronte del male” nel complotto contro il partito Giustizia e Sviluppo (Akp), la formazione islamica  al governo. Usando così la stessa definizione usata dagli USA prima per gli Stati comunisti, poi per gli islamisti jahadisti. Evidentemente la frase “fronte del male” sui media fa effetto, e fa sentire parte del “fronte del bene” chi la recita.

 “Un fronte del male si sta formando davanti a noi … Ora il Papa si è unito a queste trame…” disse Ahmet Davutoglu aggiungendo che la Turchia era disposta a affrontare la propria storia ma che “non permetteremo che la nostra nazione sia insultata attraverso il passato, non permetteremo alla Turchia di essere ricattata attraverso controversie storiche”. Descrivendo questo “fronte del male”, Davutoglu ha anche puntato il dito contro la principale formazione d’opposizione, il partito democratico del popolo, accusandolo di essere parte di “progetti” stranieri per minare l’Akp prima delle elezioni. Siamo di fronte a un metodo classico di lotta politica: creare un fronte esterno per combattere il nemico interno. Il dramma è che un partito veramente democratico, cioè laico, dovrebbe essere anti-islamista per non trasformare  una contesa politica in una contesa politico-religiosa simile a quella che devastò l’Italia nel XIX secolo tra clericali e anti-clericali, ma senza la via di fuga (attuata in un secolo) teorica dei cristiani laicisti verso la separazione tra Stato e altare, che è impossibile concepire per un islamismo coerente.

Anche gli USA stolinearono  che il massacro di un milione e mezzo di armeni è “un fatto storico”, ribadendo che il chiarimento di quel periodo storico è nell’interesse di tutti, “della Turchia, dell’Armenia e dell’America”. “Le nazioni sono più forti e possono progredire riconoscendo e facendo i conti con elementi dolorosi del loro passato”, ha sottolineato la portavoce del Dipartimento di Stato, Marie Harf.  Ma Erdogan sembra voler far orecchie da mercante. Perché è un dialogo tra ideologia laicista  e non. Se la Turchia ammettesse quel che si vorrebbe che ammettesse, dal punto di vista islamico ammetterebbe come colpa l’aver colpito gli infedeli; dal punto di vista nazionalistico aprirebbe la diga alle rivendicazioni di curdi, greci, e  di tutte le altre etnìe combattute, massacrate o espulse nel XX secolo dai turchi; dal punto di vista del neo-ottomanesimo significherebbe la sconfessione totale del proprio progetto politico.

La vecchia guerra si combatte con le nuove tecnologie. Secoli fa l’islam era visto come la “religione della spada”, e nel 2015  un gruppo di hacker turchi ha rivendicato di aver attaccato  il sito ufficiale della Santa Sede (Vatican.va), mettendolo fuori gioco. Fu una puntura di spillo di nessun significato concreto, ma indicava chiaramente che l’illusione di una tecnologia digitale modernizzatrice negli Stati islamisti era, appunto, una illusione. Esattamente come accadde per il Giappone nel XX secolo,   la modernizzazione tecnologica implica solo la modernizzazione dei mezzi, ma non dei fini né della cultura o della religione o delle ideologie: la rivoluzione tecnologica e militare giapponese convisse perfettamente con i valori nazionalisti, religiosi  e militari della nazione e ne fu docile strumento. Non vi è alcuna ragione perché oggi debba essere diverso.

La Turchia è lo Stato ai confini europei (una parte è dentro l’Europa) con un esercito più numeroso, potente e addestrato degli eserciti di altri stati europei. Soprattutto è uno Stato le cui Forze Armate non soffrono della sindrome “d’insicurezza delle proprie ragioni” che spinge alcuni Stati europei (Italia in prima fila) a definire “guerre di pace” le operazioni militari. In fondo, si potrebbe affermare seguendo la stessa logica odierna, che tutta la Guerra di liberazione conclusa il 25 aprile 1945 fu una “guerra di pace”; mentre quella conclusa con la sconfitta dell’8 settembre del 1943 era una “guerra di guerra”; sono affermazioni prese dai media, ma con cui si cade nel ridicolo, oltreché nel poco serio verso i caduti.

Certamente la  classe dirigente islamista turca non manca d’intelligenza, e il non voler cedere sul genocidio armeno neanche a livello verbale, dopo più di un secolo, dimostra la scelta  di una visione della storia che l’Europa Occidentale, e men che mai gli USA, hanno compreso. L’incomprensione da parte di USA ed Europa Occidentale di questa visione ha portato alla isterica reazione dopo l’11 settembre 2001, alla  sconfitta  in Afganistan, alla  vittoriosa sconfitta in Iraq, alla frammentazione  della Libia, alla interpretazione della cosiddetta “primavera araba” come un passo verso la democrazia all’americana quando si è trasformata in molti casi in una reislamizzazione.  Secondo una certa visione della storia gli armeni, e i greci, e i curdi, e i serbi, potrebbero esigere i territori che furono loro tolti, e questo può solo terrorizzare chi quei territori prese. E’ una visione la cui esistenza non si può più negare, poiché negarla in Europa ha prodotto le guerre iugoslave, l’occupazione del Kosovo, il conflitto nel Donbass, ferite ancora aperte.

Gioverebbe ricordare che la prima guerra mondiale in Europa fu innescata dalla situazione nella penisola balcanica dove, a differenza delle penisole italiane e iberiche, ribolliva ancora il “limes” islamista, e dalla incomprensione dei contrasti in quell’area. Il risultato fu drammatico: mentre gli Stati cristiani si massacravano in Europa lo Stato turco attuava il genocidio dei cristiani armeni. E dopo un secolo la cosa si ripete: mentre gli europei  rischiano  una guerra (e non si riesce a comprendere quale sia la ragione, se non l’orgoglio di una classe dirigente che si è messa nei guai da sola) per l’Ucraina, contemporaneamente  cresce la presenza islamista ovunque nel mondo.  La soluzione, ora come allora, è la stessa : un’Europa laicista unita da Gibilterra a Vladivostok.

Chi analizzi questo scontro dialettico   tra Turchia e alcuni Stati dell’Europa può però leggere tra le righe una implicazione interessante: i popoli europei sono molto più realisti e filo-europei della maggioranza della classe politica (intesa globalmente, poi si potrebbero analizzare le differenze) che, in teoria, li rappresenta.  La Turchia, mantenendo il suo secolare diniego del genocidio armeno (il “piccolo genocidio” greco successivo scompare solo perché piccolo, e successivo)  ha ottenuto una molteplicità di effetti,  e poiché sicuramente i politici turchi sono estremamente intelligenti (la Turchia oggi è una potenza economica e militare che nessuno stato europeo, neanche  la Federazione Russa, oserebbe affrontare militarmente da solo) gli effetti vantaggiosi per la Turchia sono stati considerati preponderanti rispetto a quelli negativi, o che altri ritengono negativi. 

La Turchia ha attaccato diplomaticamente  chiunque abbia espresso solidarietà (a partire dal Papa) con il popolo armeno, anche Stati, come gli USA, che fanno di tutto per non scontrarsi con il governo turco. Fino a qualche anno fa la Turchia era un “modello politico” per tutti coloro che affermavano la possibilità di un islamismo laico, analogo al laicismo europeo: uno stato islamista divenuto laico con un sistema di governo moderno, dove l’islamismo aveva conquistato il potere attraverso elezioni regolari e mantenendolo  ininterrottamente dal 2002, rispettando la democrazia elettiva e realizzando un formidabile sviluppo economico. Una repubblica elettiva, quella turca, sviluppatasi con Kemal Ataturk e che nessuno avrebbe potuto accusare di responsabilità nel genocidio armeno. Sembrava che la Turchia avesse realizzato un islamismo conservatore, che si credeva la versione islamista della democrazia cristiana (e già ritenere la democrazia cristiana, nel suo complesso, un partito conservatore la diceva lunga sull’ideologia dell’autore),  realizzando così un  modello portatore di speranza per un islamismo rivoluzionario, che distinguesse l’aspetto teologico dall’aspetto politico.

 Ora però la suprema carica politica turca, Recep Tayyip Erdoğan, presidente dopo essere stato primo ministro, anche se  pubblicamente non è tornato alle sue convinzioni giovanili tentando di imporre una teocrazia, sta comunque puntando a realizzare un sistema autoritario che respinge di fatto ogni condizione da rispettare per la candidatura turca all’ingresso nell’Unione europea. Ormai  l’adesione all’Unione Europea , già compromessa dalle crisi interne all’Unione europea dove il Nord vuole gestire il Sud e l’Est protesta contro le politiche di immigrazione incontrollata dell’Ovest, è impossibile e inconcepibile; candidatura che era stata fortemente rallentata dal rifiuto di gran parte della popolazione europea che si è mossa “contro” la classe politica, dimostrando un acume e una comprensione delle potenzialità involutive della Turchia ben più completa del rozzo economicismo di Bruxelles che vedeva in un ulteriore membro della UE solo l’incremento del PIL, e non i problemi di ingovernabilità che avrebbe comportato.

La Turchia adesso, forte di un governo autoritario che sta rinforzando le radici islamiste  che Ataturk aveva cercato di modificare, forte dell’essere lo Stato che dopo secoli di convivenza quasi pacifica dopo l’occupazione islamista  ha risolto (annientandolo) il problema dell’ennesimo cristianesimo (quello armeno) entro i confini della “terra dell’Islam”, forte del contrasto con Israele, forte della sua economia in fortissima crescita , delle sue forze armate ben motivate, dell’alto livello di educazione della sua gioventù, ha di fronte gli spazi sterminati del Medio Oriente dove potrà assumere, sol che lo voglia,  il ruolo di Stato – guida, ricostituendo il suo impero con la forza dell’influenza economica e, dopo che si sarà posata la polvere dei combattimenti tra Stato Islamico di Siria-Iraq (ISIS), la Siria, l’Iraq e gli altri, anche con la influenza  della sua forza militare.

Questo progetto è ancora più plausibile da quando le rivoluzioni arabe hanno portato al potere islamisti profondamente interessati all’evoluzione seguita dai loro cugini turchi, e da quando tutte codeste  quelle rivoluzioni iniziate laiche o si sono trasformate in islamiste (come sembra stia accadendo in Turchia)  o sono degenerate in guerre. Se la posizione della Turchia sembra indebolita  nel caos attuale di un Medio Oriente in cui l’Iran sembra affermarsi sempre di più, la situazione non rimarrà invariata a lungo e  la scelta  della Turchia di rifiutare il  riconoscimento del genocidio armeno, rifiuto che di fatto fa assumere alla Turchia il ruolo di continuatore forte della linea politica di un secolo fa seppellendo  il laicismo di un Ataturk e tornando all’ottomanesimo islamico,  rischia di essere una scelta pagante.

Se alla Turchia interessava l’adesione all’Unione Europea solo come mezzo, analogamente a quanto fatto dalla Gran Bretagna, per avere voce in capitolo, libero accesso dei turchi in Europa, e ottenere altri piccoli vantaggi, ciò non è più così necessario: l’assenza di una politica europea verso l’immigrazione illegale non ha certo ostacolato l’ingresso nell’Unione Europea  di milioni di turchi, milioni che grazie sempre a quella che viene ritenuta debolezza dei governi laicisti adesso hanno  cittadinanza e libertà di movimento entro la UE.

La politica russofoba dei politici europei occidentali ha ben bene allontanato l’ipotesi di una confluenza della Federazione Russa nell’Europa politica, riuscendo addirittura a spingerla verso la Cina, mentre una Europa con la Russia dentro  avrebbe realizzato l’incubo mai sopito della Turchia di avere un nemico fortissimo a Nord. Viceversa apparendo il continuatore della linea politica islamista ottomana la Turchia solletica l’orgoglio dell’islamismo del XXI secolo con i suoi successi, appare abbastanza moderata da essere apprezzabile per le classi dirigenti dei paesi islamisti che vogliono sì un cambiamento   ma conservando sia l’islamismo che la ricchezza e il potere che hanno,  e ha dimostrato di saper perseguire l’islamismo con una apertura alla modernità vincente e una tenacia che hanno portato la Turchia, in un secolo, a diventare contemporaneamente di fatto al 99,8% islamista mentre i “cristiani” di USA ed Europa Occidentale la valutavano solo come uno Stato la cui alleanza militare era indispensabile in chiave anti-russa. Ripetendo così secoli dopo lo schema di  potenze europee così in conflitto tra loro che una parte (la Francia, allora) si alleò  con l’islamismo ottomano, che  fu così incoraggiato ad attaccare  Vienna nel XVII secolo. Fu solo grazie ai combattenti polacchi che Vienna non cadde. Oggi come allora l’Europa è divisa. 


[1]     Orhan Pamuk di nuovo indagato per vilipendio in Turchia

[2]     Hrant Dink – Wikipedia

[3]     Turchia: Omicidio Hrant Dink, ergastoli per ex capi intelligence | blue News

[4]     Escusi quelli non “laicisti”.

[5]     In tutto l’articolo intendiamo per Europa non la UE, come è ormai prassi giornalistica, ma tutti gli Stati inclusi nell’Europa geografica.

[6]     Genocidio armeni, Erdogan minaccia: “Non sono cittadini turchi, potrei espellerne 100.000”. Nuovi attacchi al Papa – HuffPost Italia

[7]     Testi approvati – Centesimo anniversario del genocidio armeno – Mercoledì 15 aprile 2015

Data:

4 Gennaio 2025

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