Disposti a tutto per ottenere decine di like. La nostra vita sempre più social e sempre meno sociale, sempre più disposta ad accordare socialità e sempre meno socievolezza, ha routinizzato la propria quotidianità in base al numero di “mi piace” in grado di raggiungere ogni nostro scritto, ogni nostra immagine, ogni nostro fugace pensiero “postato” sui social media. La giornata tipo di un instancabile e indefesso “lavoratore” (perché anche di questo si tratta) utente di qualsivoglia piattaforma di condivisione, è una sfida con sé stessi e con gli altri utenti su chi riuscirà a ottenere maggiore visibilità e attestati di mipiacetudine.
Che siano espressi tramite l’immancabile pollice in su o attraverso un click sull’icona a forma di cuoricino, la sostanza non cambia: è la spasmodica e condivisa ricerca di approvazione. Questa conclusione è il risultato di una ricerca condotta da Kaspersky Lab, un’azienda russa specializzata in produzione di software progettati per la sicurezza informatica. Nello studio di questa potente società di ricerca, emerge probabilmente una tesi che già si poteva immaginare sulle abitudini di gran parte della popolazione online. Ciò che però si ribadisce è la smania da parte di tutti di esserci sui social, nel senso non solo di abitarli ma anche di viverli come occasione magari di riscatto da una vita reale anonima. Far notare la propria presenza, lasciare una traccia, immediatamente pronti a dire ciò che si pensa su qualsiasi argomento o notizia, sembrerebbe essere un continuo rincorrere una generale approvazione da parte degli altri. Bisognosi di sentirci accettati da un gruppo al quale tendiamo in maniera naturale temendo di esserne esclusi, replichiamo online gli stessi meccanismi che ci fungono da guida ogniqualvolta siamo alla ricerca di accettazione nella vita reale.
Solo che mentre nella vita cosiddetta reale non abbiamo spesso modo di trovare manifestazioni di apprezzamento e accettazione delle nostre manifestazioni del pensiero, nel virtuale funzionano meccanismi adatti a notificarci, per esempio, modi e modalità di stima nei nostri confronti. Ecco perché più della metà della popolazione, secondo lo studio Kaspersky Lab controlla ripetutamente lo schermo del proprio smartphone in attesa della tanto sospirata notifica, e quando questa ritarda o, peggio, non arriva a un numero che si era immaginato, ecco giungere un certo stato d’ansia e di profonda delusione da parte dell’utente. La sindrome da delusione da post con pochi like colpirebbe maggiormente l’utente maschio, e il senso di frustrazione aumenterebbe nel momento in cui ci si accorge che a non arrivare è proprio il like delle persone care o per cui si ha un particolare interesse. Ci si chiede a questo punto quale sia la strategia più opportuna da mettere in campo per catturare il maggior numero di like possibili, alla ricerca e per assicurarsi una certa dose di popolarità sui social, anche per non correre il rischio di crescere una popolazione di disadattati e scontenti.
La maggior parte degli utenti sarebbe addirittura disposto, pur di catturare visibilità e attenzione a pubblicare anche cose imbarazzanti, addirittura inopportune e per certi versi inappropriate della propria vita privata: dettagli strani e ridicoli su di sé, informazioni riservate su amici e colleghi, opinioni estreme e provocatorie per tenere sempre vivo il dibattito provocato da un proprio post. Sui social adottiamo e mettiamo in atto comportamenti che nella nostra vita reale non ci sogneremmo di sostenere e adottare, ci adattiamo a una dimensione di pericolosa leggerezza ergendo in nostra difesa l’anonimato e una impunità che erroneamente attribuiamo alla Rete tout court. Spinti alla ricerca costante e senza freni di approvazione sui social, mettiamo ripetutamente in pericolo la nostra privacy. Disinibitamente forniamo e condividiamo informazioni su dove viviamo, sul nostro indirizzo mail, dettagli della nostra vita sentimentale, ecc., tutti dati personali che volano via per altri lidi, planando poi su desktop di voraci e onnivori cannibali informatici.