
Abbasso il fact-checking, viva il laissez-faire. Così, con questa mossa a sorpresa, Mark Zuckerberg si allinea a ciò che il suo principale competitor, Elon Musk, aveva già attuato tempo prima. Le alleanze non sono solo una peculiarità politica alla ricerca di maggioranze per poter governare, ma sono ora anche una realtà nello spazio dei social. Secondo le parole del plenipotenziario di Meta, la decisione di eliminare il programma di fact-checking sarebbe da ricercare in un tentativo di ripristinare la libertà di espressione sulle sue piattaforme. Il fact-checking è il noto programma di verifica dei fatti di terze parti, e ora Facebook ha deciso di sostituirlo con un sistema crowdsourcing, Community Notes, direttamente scritto e controllato dagli utenti e molto vicino e somigliante al modello già utilizzato dalla piattaforma X di Elon Musk. Inoltre Meta ha deciso che verranno eliminate alcune restrizioni su determinati argomenti che fanno parte del dibattito tradizionale; saranno invece implementati i controlli sulle violazioni illegali o molto gravi come il terrorismo, lo sfruttamento a fini sessuali dei minori e la droga.

Lo strumento del fact-checking prevedeva la collaborazione con fact-checker indipendenti di tutto il mondo con il fine di identificare e rivedere la disinformazione sulle sue piattaforme. La vittoria di Trump è stata decisiva, a detta di Zuckerberg, nel favorire i cambiamenti sulle piattaforme controllate da Meta e vi è una evidente volontà di instaurare dei legami politici, e non solo, con la nuova amministrazione americana al potere. I rapporti con l’ex presidente Biden non erano stati idilliaci, dopo che la vecchia amministrazione aveva minacciato di censurare le piattaforme social. Con Trump Zuckerberg, ma non solo lui, spera invece di allacciare proficui rapporti di collaborazione nel nome della propagandistica libertà di espressione, a cominciare con l’insediamento nel cda di Meta di uno stretto collaboratore di Trump, segno tangibile di una joint venture politico affaristico-capitalistica che trova terreno fertile nel comune attacco ai tentativi di censura da parte dell’UE e alle continue minacce di sanzioni economiche verso le piattaforme social. Le conseguenze dell’abolizione del fact-checking sono ora tutte da valutare, ma già si ipotizza un probabile aumento della diffusione di notizie false, contenuti ingannevoli, bassa qualità dell’informazione, tutte situazioni nelle quali a farne le spese sarà direttamente l’utente finale.

Le maggiori piattaforme dunque hanno abbracciato una comune visione del mondo, nella quale i social vengono presentati nella loro veste originale, ovvero come luoghi liberi senza nessuna forma di controllo e alcuna censura da parte di terze parti. È all’interno degli stessi social, dicono CEO e difensori delle piattaforme, che vi sarebbero già gli anticorpi necessari alla difesa dall’inquinamento dell’informazione. Si inaugura una nuova era per le piattaforme, quella di un generale laissez-faire generato da forze politiche allineate con l’ideologia delle Big Tech californiane. Più libertà per tutti è un bello slogan, anche se troppo populista, che però non risolve il quesito su Quis custodiet ipsos custodes? Il fact checking alla fine si presenta all’opinione pubblica solo come un pretesto, un modo ancora una volta ipocrita di inneggiare a certi valori consolidati e generici in nome invece dell’inseguimento del profitto; perché per le piattaforme social la disinformazione rappresenta una miniera d’oro, un business su cui costruire un modello vincente da cui trarre prosperità e denaro in nome di quelli che sono i veri interessi di bottega: la nostra attenzione e il nostro tempo.